Blastema – Tutto Finirà Bene

Il disco dei Blastema è rimbalzato in redazione tra più persone, e quest’affermazione va letta esattamente così come state pensando: nessuno li voleva ascoltare.
Alla fine mi son detta: perché no?
Con la band di Forlì io ho un “conto in sospeso”, e questa mi è sembrata l’occasione giusta per cercare di andare oltre e vedere un po’ come stanno le cose ora, a distanza di qualche anno.

La prima volta che vidi la band fu a Roma, nel 2013, in quello che fu il Circolo degli Artisti.
Arrivavo al concerto da totale profana, pronta a lasciarmi stupire dall’esibizione di quella band scoperta per caso da Luvi De André e Dori Ghezzi – e poi promossa e prodotta, di conseguenza, dalla Nuvole Production.
Sono andata sulla fiducia, diciamolo pure: quando a sostenere a spada tratta un gruppo è la figlia di uno dei più grandi cantautori che l’Italia abbia mai avuto, qualcosa vorrà pur dire.
Quella sera andai dunque al Circolo carica di aspettative che, naturalmente, si son perse man mano che il concerto entrava nel vivo.
All’epoca giustificai alcune cose, ma non ne apprezzai parecchie.
Capii che Matteo Casadei, frontman della band, dal vivo è catalizzante: un grande intrattenitore sicuro di sé e di ogni movenza sul palco. Con fare ipnotico, Casadei si muove sinuoso come se sul palco ci fosse nato, come se da sempre quello fosse il suo habitat naturale.
Capii anche che aveva, nonostante tutto, un atteggiamento da rock star consumata: non mi piacque l’aria spavalda con la quale beveva birra in faccia al pubblico, come se la gente davanti a lui non esistesse e non meritasse rispetto.
La prima cosa che i musicisti di oggi dovrebbero capire è che non siamo più negli anni ’70, quelli degli eccessi e del rock’n’roll: lo dovrebbero capire perché ad oggi, musicalmente, non c’è nessuno in grado di fare musica in quel modo, con innovazione.
E vista la fatica che si fa oggi nel promuovere la musica, sia essa intesa come concerti o come supporti fisici (cd, vinili), l’unico atteggiamento possibile per guadagnare un minimo di credibilità è quello di rispettare chi paga per ascoltare.
Perché chi paga per un cd o per un biglietto ad un concerto, è sostanzialmente quello che ti permette sia di fare dischi che di stare su un palco.
La sera del live dei Blastema a Roma io pagai per vedere uno che giocava sul palco circondato da ragazzi che suonavano, sì, ma che erano completamente invisibili.
Quando lo scrissi nel famoso articolo fui investita dai commenti più improbabili da parte dei fan, che mi etichettarono in modo sbrigativo come una persona bigotta.
Non potendo parlare di musica con persone evidentemente immature al punto da non capire né l’italiano né il fulcro di quella polemica, ci riprovo oggi con la recensione al terzo disco della band.

Tutto Finirà Bene” contiene 12 brani, e ascoltandone il primo (‘La parte pura‘) è evidente il cambio di rotta musicale.
Se “Lo stato in cui sono stato” (2013) era un disco indie rock all’italiana, nel quale chitarra e batteria han cercato di appesantire alcuni passaggi per tentare un suono più incisivo, “Tutto Finirà Bene” si presenta come una buona ed inaspettata evoluzione.
Sarà forse la presenza di un elettro-pop leggero e piacevole o sarà la fluidità dei testi?
Non lo so, sicuramente premendo play quel che si sente non è quel che conoscevamo dei Blastema.
Orso Bianco‘ lascia ancora spazio alle distorsioni della chitarra, ma i synth in questo album fanno gioco forza.
L’alternarsi di brani più intimi e pacati (‘Perle ai porci‘) ad altri che strizzano l’occhio alle vecchie produzioni (‘Asteroide‘) sono il giusto compromesso per un ascolto che resta vigile ed attento ad ogni passaggio e che non cade mai nel baratro della noia.

Quando vidi i Blastema non apprezzai, tra le tante, neanche il loro disco, credo si fosse intuito.
Da una band in attività dal 1997 mi aspettavo qualcosa di più completo e invece, a tutti gli effetti, ritengo ancor oggi che il loro “Lo stato in cui sono stato” sia un disco scritto per compiacere la massa: poco gusto, poco talento, tanto marketing.
Questo nuovo capitolo è invece quel che sarebbe dovuto arrivare qualche anno fa, ed indica sicuramente un nuovo percorso che la band deve proseguire in crescendo.
Mantenendo, o ancor meglio, migliorando ancora la snellezza dei testi: esprimere concetti troppo filosofici per poi cantarli non sempre è un bene.

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