Sanremo 2018, la prima serata: i Big

Sanremo è un po’ come i matrimoni, per quanto si provi a far bene qualcuno che lo critica ci sarà sempre.
Quindi, giusto per non rischiare, eccoci qui anche quest’anno – polemici come al solito.

Pronti, partenza, via.
Guardando la sigla di questo Festival di Sanremo 2018 assale subito un dubbio: stiamo per assistere alla kermesse che celebra la canzone italiana o si tratta di uno spot per una casa di cura per anziani?
Ad un certo punto spuntano i The Kolors e comincia a serpeggiare il dilemma che si tratti invece del SERT.

Come nella migliore delle tradizioni nemmeno si comincia che subito sul palco Fiorello viene interrotto da un contestatore – che risulta di gran lunga meglio della sigla, va detto.
Lungo monologo del Rosario nazionale, per mettere subito in chiaro che al Festival di Sanremo 2018 la musica, qualora qualcuno la stesse aspettando, è solo l’ultimo dei problemi sul palco.
E infatti, fa il suo ingresso il direttore artistico Claudio Baglioni, e dopo una serie di citazioni arriva subito la pubblicità.

Come più o meno dall’inizio della storia del Festival di Sanremo, che quest’anno giunge alla sua 68^ edizione, è stato detto più volte che “quest’anno vogliamo mettere al centro le canzoni”: ma tu guarda un po’, tocca ripetere la geometria perché dopo più di mezz’ora dall’inizio di questa puntata non si è ancora sentita nemmeno una nota.

Sanremo 2018

Spunta la prima in gara, Annalisa (‘Il mondo prima di te‘), un po’ alla  Tori Amos, ma il pezzo funziona.
Come dicono quelli del mestiere, “è radiofonico” il giusto anche se chiudendo gli occhi non sapresti indovinare se lo canta lei o un qualsiasi altro suo clone.
La canzone c’è ed è un ottimo modo per rompere il ghiaccio.

Subito dopo l’amico di Lucio Dalla con una canzone di Lucio Dalla.
Ah si, è Ron.
Io direi anche basta con questo tipo di operazioni.
Poi forse sono cattivo e insensibile, pur amando a dismisura Dalla.
Ma quante volte abbiamo già sentito questa storia?
Detto ciò la canzone è bella ma non bellissima.

I Kolors, “una band amatissima dai giovani”, frase che più vecchio non si può.
Frida‘, scritta insieme a Davide Petrella, e dopo cinque secondi netti pare di risentire la cover degli NSYNC fatta dai Sottotono con ‘Mezze Verità‘ – colpevole il refrain “Mai Mai Mai”.
Lo stile è scarno ed essenziale ed anche se da loro mi aspettavo qualcosa di più ardito la loro ‘Frida‘ prende bene.

Max Gazzè in quota “quelli che ce l’hanno fatta ed ancora sono considerati dei giovani”.
Il titolo sembra rubato a Battiato, ‘La leggenda di Cristalda e Pizzomunno‘ è una vera favola ambientata sul Gargano.
Sulla spiaggia di Vieste si trova un roccia che leggenda vuole sia in realtà Pizzomunno, un giovane trasformato in pietra da delle sirene gelose per colpa del suo amore per Cristalda.
Richiede tempo, ed è il contrario di quel che si dispone a Sanremo.
Camminerà coi suoi piedi su una strada parallela.

Di nuovo pausa e di nuovo intermezzo, con Fiorello che sostituisce la Pausini che interviene al telefono: con la sua raucedine risulta più intonata di alcuni partecipanti della serata.

Dopo la cover di ‘Call me by your name‘ di Fiorello e Claudio Baglioni che si esibisce in ‘Adesso tu‘ arriva sul palco Ornella Vanoni, accompagnata da Bungaro e Pacifico.
Forse solo la Vanoni in quanto a carisma poteva reggere il calo di tensione dopo il siparietto precedente.
Bisogna imparare ad amarsi‘ è un po’ la versione da camera di ‘Fatti bella per te‘ dello scorso anno: una canzone ricca di stile con Bungaro e Pacifico, un po’ a sorpresa – forse la canzone migliore fino a quel momento.

Subito dopo è la volta della supercombo Ermal Meta e Fabrizio Moro: come dei provetti chimici sanno dosare parole e note in modo da scrivere canzoni che sembrano piene di sentimento ma che, al sottoscritto, sembrano solo studiate perfettamente a tavolino.
Il brano cresce ed è perfetto per vincere ed andare a ripetizione in radio, peccato che tutto sembri tranne che sincero.
Sembra un collage di due canzoni scritte dai rispettivi interpreti: il risultato è pari alla loro somma, nulla di più.
Una sorta di ‘Il mio nome è mai più‘ in versione floreale.

Mario Biondi che interpreta Mario Biondi in versione swing ballad, un pezzo elegante e delicato che scivola via leggero (nel dimenticatoio).

Segue la carrellata di canzoni storiche di Favino, bello e simpatico il suo medley.

Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, la storia della musica italiana che vorremmo dimenticare – esattamente come la loro canzone, ‘Il segreto del tempo‘, che nonostante tutto non li ha fatti desistere dal ritornare su quel palco.
Niente di nuovo (da almeno 20 anni).

Poi è il momento de Lo Stato Sociale.
Non sanno cantare – e lo sapevamo.
Il primo brano con un arrangiamento dalla parvenza contemporanea, che sembra uscito dal loro primo album (“Turisti della democrazia”) con tanto di citazione masiniana del “perché lo fai”.
Nel bel mezzo dell’esecuzione entrano in scena anche due ballerini che ricordano un video dei Coldplay (‘The Hardest Part‘).
Alla fine ottengono un buon riscontro in sala perché hanno fatto quello che sanno fare meglio: baldoria.

Noemi, dopo tre note già pareva cantare una cover di Noemi.
Poi il brano cresce e sembra una cover di Vasco Rossi ultima maniera.
Il ritornello di ‘Non smettere mai di cercarmi‘ ridà vita alla canzone e la rende una delle possibili sorprese del Festival, accompagnata dalla voce graffiata della rossa cantante.

I Decibel con ‘Lettera dal Duca‘ sono schietti e sinceri, a tratti sembrano più che la band new wave che conoscevamo il “progetto di Enrico Ruggeri” – ma la canzone è onesta.
Devo ammettere che Ruggeri in quanto a voce non mi è sembrato proprio in formissima e il brano ne ha risentito, ma il brano ha qualcosa di oscuro che lo rende diverso dagli altri in gara.
In qualche modo fuori gara, estraneo al glamour sanremese e questo non può fare altro che piacerci.

Elio e Le Storie Tese con la loro ‘Arrivedorci‘, una sorta di epitaffio ed anche di sintesi dei loro brani, forse più spompata e senza il solito guizzo ironico.
Poi durante l’interpretazione sale la malinconia, non c’è niente da ridere: “siamo giunti ai titoli di coda di una storia unica, di una bella musica…”.
Hanno ragione loro.

Giovanni Caccamo in versione precarnevalesca in cui imita Mengoni con l’eccezione che sul modello di Clint Eastwood lui ha solo due espressioni, con la barba e senza.
Stavolta era con la barba, la canzone invece non c’era.

Red Canzian con ‘Ognuno ha il suo racconto‘.
Posto che nessuno ha chiesto di sentire il suo, la canzone ha un tiro migliore di quella dei suoi ex compagni di band.
Ora, diciamocelo, anche una tisana al finocchio sembrerebbe un pezzo rock dopo Caccamo, ma il pezzo di Red ha dalla sua almeno il ritmo che quantomeno ti tiene sveglio fino alla fine (è quasi mezzanotte).
I Pooh, tra l’altro, sono riusciti nell’impresa di presentarsi più divisi della coalizione di Centrosinistra.

Luca Barbarossa, non contento di passare buona musica su Radio 2 porta il cantautorato in romanesco sul palco.
Una storia di risentimenti, una separazione affrontata a tavola.
Luca Barbarossa era un po’ Mannarino prima che lo stesso Mannarino fosse sé stesso: un brano fedele al suo autore, che continuerà a camminare con lui su una strada diversa da quella sanremese.
In generale mi ha dato l’impressione di aver portato un brano così introspettivo da essere fuori contesto su quel palco.

E’ finalmente la volta di Gianni Morandi che con sé porta anche Tommaso Paradiso, uno degli autori più prolifici degli ultimi anni della musica leggera italiana.
Il suo caso è particolare poiché nel giro di tre anni o poco meno è passato dall’essere un perfetto sconosciuto a super ospite, senza passare né tra le nuove proposte né tantomeno tra i big.
Quando si dice il tempismo.
In più ci ha ficcato anche la marchetta del “Love Tour” prossimo venturo.

Diodato e Roy Paci, anche se la Hunziker non sa come si pronunci Diodato, hanno portato sul palco dell’Ariston un brano che colpisce sin dal primo ascolto.
Un crescendo, condito dall’inconfondibile tromba del produttore siciliano con un ritornello che si fissa nella mente.
Adesso‘ è tutto ciò che abbiamo ed un brano che lancia in alto questi underdog della kermesse.

Nina Zilli con un brano diretto, che però la relega ad un’orbita molto più pop di quella che ci si aspetterebbe da lei.
Il funk e l’r’n’b che fine hanno fatto?
Il compitino è da sufficienza ma non entusiasma.

Intanto a mezzanotte e mezza ancora si procede con intermezzi al pianoforte perché tanto lagggente, il giorno dopo, non ha nulla da fare.
Ed ecco che tutto il cast dell’ultimo film di Muccino sale sul palco senza un vero perché, introdotto dalle note di ‘Bella senz’anima‘ di Cocciante: un’altra marchetta, un altro momento pubblicitario del quale non si sentiva l’esigenza. 

Ad introdurre Renzo Rubino ci pensa Stefania Sandrelli.
Comincio a credere di essere in uno di quegli incubi popolati da Freddy Kruger e invece, dopo una strofinata di occhi e di orecchi, mi rendo conto che no, purtroppo sono sveglio ma a giudicare dalla canzone in gara sarebbe stato meglio essere una delle vittime designate di Nightmare.

Enzo Avitabile e Peppe Servillo uniscono due tradizioni musicali importanti.
La loro fusione più che credibile, emozionante direi.
Si parla di radici, di Scampia, i ritmi sono quelli mediterranei tanto cari ad Avitabile.
Personalmente non mi sono mai sentito così vivo e per essere una delle ultime canzoni in gara, dato l’orario, probabilmente qualcosa di buono lo hanno portato su quel palco.

Quasi in chiusura ecco la reunion de Le Vibrazioni, che rende di botto credibile addirittura anche i progetti solisti dei Pooh. Sarcina con l’aria di essere il vincitore più dell’after-party che della classifica porta a casa coi suoi compagni un brano che sfrutta a pieno anche l’orchestra.
La sua voce risulta più debole del previsto ma la canzone non lascia tregua, con qualche distorsione di chitarra di troppo.
Altro pezzo ben pensato per andare in radio senza soluzione di continuità.

Teatro Ariston 2018La classifica, quantomeno quella provvisoria, non regala sorprese a parte forse l’inaspettato riscontro per Lo Stato Sociale.
In un clima di generale buonismo non si conoscono le esatte posizioni, solo i piazzamenti in zona alta, bassa o media.
In perfetto mood sanremese, le canzoni all’apparenza migliori vengono bocciate e quelle più anonime premiate.
Dopo averle ascoltate tutte resta la consapevolezza, fatta notare anche da Fiorello in uno dei suoi monologhi, che la musica che gira davvero in questo paese sia lontana da questo palco.
Un nome per tutti: Ghali.
In generale all’Ariston quest’anno manca il rap che è l’unico genere che muove davvero le classifiche anche a dispetto dei giochi delle grosse etichette.
Ma lo show deve continuare e quello sanremese non si fermerà certo qui, anche a dispetto di quello che metteremo tra i preferiti su Spotify.

 

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