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Senhit e i mille colori della musica

Il fenomeno della rifrazione della luce si ha quando un raggio di luce bianca attraversa un prisma di vetro e si separa nei suoi colori costituenti, ciascuno di una specifica lunghezza d’onda, dalla quale dipende l’angolo di uscita di ciascuno di essi. Cambiando la prospettiva dalla quale osserviamo questo fenomeno, cambia il colore della luce che investe i nostri occhi. Quando sono davanti a una persona come Senhit, davanti a me si forma sempre un’immagine come questa. Può essere tante persone diverse e non so mai se è lei a mutare forma con la quale si manifesta al mondo, o io a cambiare punto di osservazione. Può arrivarti da qualsiasi parte, per me è molto divertente, per altri meno.

«Mia mamma mi ha detto ieri “sei una forza della natura” ma ci ha aggiunto “maledetta!”», ma si sa che l’attendibilità di un genitore in questi casi raggiunge livelli di misurazione quantistici e questa è solo la fine.

Per cominciare, partiamo da un viaggio. E non poteva essere diversamente.

Senhit

Intanto bentornata, sappiamo che sei stata fuori dall’Italia.

Sì, son tornata da Dubai due giorni fa. Ora sono a Bologna, che nel mio peregrinare per il mondo è la mia Itaca. Poi giusto il tempo di disfare la valigia e rifarne un’altra.

Cominciamo dalle origini: come nasce la tua passione per la musica e quando da passione si è trasformata in un lavoro?

Nasco e vivo a Bologna, i miei genitori sono venuti in Italia dall’Eritrea e ho sempre sentito forte il legame con la cultura africana. Mamma ha sempre avuto una grande passione per la musica, sono cresciuta tra le note. Da ragazzina cominciai come tutti, suonando nelle cantine e nei garage. Paradossalmente lo sprono vero me lo diede mio padre, che avrebbe voluto facessi il medico o l’avvocato, l’esatto contrario di quello che volevo io. Lo assecondai per un paio d’anni durante i quali mi iscrissi all’università, poi scelsi di seguire la mia strada ed è stata la classica frase «se esci da quella porta poi non rientrare più eh» (ride, n.d.r.) a darmi la grinta e la spinta definitiva a lanciarmi e a tener duro. Ho cominciato con i musical, perché avevo voglia di unire la musica teatro, la disciplina per me più completa e formativa. Volevo avere un confronto diretto con il pubblico e soprattutto cimentarmi in una forma espressiva che coinvolgesse non solo la voce, ma anche il corpo, la recitazione, la danza, la gestualità, il movimento. Ho avuto grandi pigmalioni, uno su tutti Massimo Ranieri, dai quali ho imparato tantissimo. E poi mi sono spostata all’estero perché sentivo l’esigenza di far cose in una lingua diversa.

Poi sei tornata in Italia.

E mi ha preso sotto ala protettrice la Panini, l’azienda leader mondiale della produzione di figurine. Non aveva esperienza nel campo musicale, ma decise di entrare nel settore con entusiasmo e di investire su di me, quasi fossi una loro “figurina cantante”. Ho iniziato dall’Italia, poi mi sono spostata all’estero: sono passate tante produzioni, pubblicazioni, eventi, fino ad arrivare all’Eurovision Song Contest.

L’Eurovision è stata un’occasione che hai colto alla grande. Per due volte, nel 2011 e nel 2021, hai rappresentato San Marino. Ci racconti la tua esperienza?

Nel 2011 ero andata senza particolari attese, per curiosità e non mi aspettavo di trovare la macchina da guerra che è di fatto l’Eurovision. Non riuscii a far passare San Marino in finale e promisi a me stessa che ci avrei riprovato. San Marino mi richiamò nel 2020 e io e il mio team eravamo strafelici. La cancellazione per pandemia fu inizialmente un duro colpo, ma per fortuna da San Marino mi dissero subito che mi avrebbero confermata per l’anno successivo. Arrivai a Rotterdam reduce da un anno e mezzo chiusa in casa senza far musica: ero carica a pallettoni, di quella tensione positiva che ti porta a dare il massimo. E non ero da sola; tutti gli artisti avevano una grande voglia di fare. Non ci importava della competizione, eravamo solo felici di poter finalmente esibirci di nuovo e cantare. Nonostante i tamponi a ripetizione, le restrizioni, le mascherine, avevamo dentro la felicità di poter tornare a far musica. Ciliegina sulla torta: entrai in finale e quindi tornai a casa ancor più felice. Obiettivo raggiunto, per me e per San Marino!

Partecipi ancora oggi a diversi eventi di Eurovision in diverse parti del mondo. Recentemente Angelina Mango ha raccontato invece che gli artisti avrebbero sofferto di una tensione eccessiva e logorante. Come mai secondo te?

Ho incontrato Angelina Mango in uno dei party che hanno preceduto l’evento finale di Malmö e le ho detto «Angelina, vivitela e cerca di godertela così come viene». Però ti dico che oggi l’Eurovision Song Contest è una manifestazione sempre più importante ed appetibile, e le tensioni sono ben diverse. Inoltre, benché si cerchi di negarlo, è anche diventato un evento politico e con le situazioni internazionali che stiamo vivendo, capisco il suo stato d’animo.

Il pezzo che hai portato nel 2021 si chiama Adrenalina e vede il featuring di Flo Rida, un pezzo da novanta del rap mondiale. Come ha preso forma il pezzo e la collaborazione?

Con la cancellazione del 2020 e i vari lockdown dell’inverno 2021 io e Luca Tomassini, il mio direttore artistico di allora, avemmo tutto il tempo di lavorarci. Ai primi ascolti la produzione era dubbiosa, Luca la trovava un’ottima hit estiva ma sosteneva che era un po’ debole per l’Eurovision. Allora pensammo ci volesse qualcosa di diverso, di fortemente caratterizzante ma anche di inaspettato. Decidemmo di inserirci qualche barra rap e mandammo il pezzo negli USA per farlo ascoltare a diversi artisti. Il primo a rispondere fu Pitbull con un «no», e il mio ego ricevette un bel colpo. Invece poco dopo arrivò l’e-mail di Flo Rida: «Wow, mi piace. Facciamolo insieme!».

Ma non si limitò solo a inviarvi le sue parti, se non sbaglio.

Non sbagli, perché Eurovision diede l’ok per il featuring ma mise il vincolo della presenza fisica del rapper a Rotterdam. Il problema era la pandemia che rendeva difficile, se non impossibile, lo spostarsi tra un continente e l’altro e le prove del pezzo in presenza. Fortunatamente a maggio riuscì a prendere un volo per Rotterdam e ci vedemmo per la prima volta il giorno prima del Festival. Lì è nata la magia, è stata subito festa e adrenalina. Aprimmo proprio noi la prima semifinale ed è stato un capolavoro. Da lì prese le mosse una bella collaborazione e un rapporto di amicizia che va avanti da allora nonostante la distanza. Tramite Flo Rida poi ho conosciuto Steve Aoki, altro grande producer e dj, con il quale abbiamo realizzato il primo mix di ‘Adrenalina’.

Hai ora parlato di “ego”: spesso è il punto debole di ogni artista. Come sei messa con il tuo?

Beh, sì, a volte mi incazzo e devo contare fino a cinque quando lo sento minacciato. Ma lo tengo sotto controllo. Anche se credo sia un problema “umano” prima ancora di essere dell’artista, magari chi si esibisce davanti a un pubblico è semplicemente più sensibile alla cosa. Io sono una che si ascolta tanto, forse questo mi aiuta a governarlo, spesso mi riesce. Qualche volta un po’ meno, ma in fondo credo siamo tutti un po’ così.

Hai iniziato con i Musical: il corpo, la danza, la gestualità, la fisicità è fortemente presente nella tua musica. Cosa è per te il corpo?

Il corpo è presenza, comunica una gran parte di me. Anche adesso, sto parlando con te ma non sono ferma, gesti, movimenti. Il corpo ti aiuta a stare nell’attimo del presente e a rafforzare la comunicazione dei messaggi più importanti. Sono molto attenta anche alla comunicazione corporea delle persone che mi circondano, mi accorgo quando sono nel proprio corpo. È il più grande insegnamento del teatro che porto con me, sentire in ogni istante il mio corpo nello spazio e nel tempo presente. Potrei parlarti di una sorta di animalità che sento sempre in me se sono su un palco, o anche se sto girando un videoclip.

Senhit

Proprio una ballerina è la protagonista di Colombia’, il tuo singolo uscito poco tempo fa. Il testo racconta una storia.

Quella di una donna che si racconta attraverso la sua sensualità e ha voglia di essere sé stessa. Una donna contesa da uomini e donne, che combatte contro ogni pregiudizio. Una donna che potrebbe essere ognuno di noi. È un messaggio di lotta per l’autonomia, confezionato dal lavoro di una produzione che ha messo in piedi un brano che porta inevitabilmente a muovere il corpo mentre lo si ascolta. Nelle prossime settimane ultimeremo la versione remix che ci accompagnerà durante tutta l’estate. Poi a ottobre tutto questo materiale, insieme a quello uscito negli ultimi anni, sarà racchiuso in un album.

Sarà il tuo quarto album in assoluto, esce a quindici anni dal precedente. Oggi le esigenze legate al mercato e al cambiamento della fruizione della musica spingono verso la scelta di pubblicare tanti singoli. Cosa ti ha fatto decidere di pubblicarlo? Che aspettative hai e cosa significa per te?

Non sono stata troppo a far calcoli, è stata una necessità che mi è emersa da dentro. Come dicevi tu, uscire con dei singoli è una scelta della produzione, ma mi sono battuta in prima persona per pubblicare i singoli usciti negli ultimi anni all’interno di un lavoro che facesse emergere il filo che lega le canzoni e raccontasse una storia. Poi ho voglia di farlo perché, nel prossimo futuro, farò un tour mondiale grazie ad Eurovision, e quale migliore occasione per regalare qualcosa di me che possa restare fisicamente alle persone e simboleggiare la conclusione di un percorso artistico prima di aprirne un altro.

Canti indifferentemente sia in inglese che in italiano. In molti paesi europei è normale cantare in inglese, mentre in Italia, salvo alcune eccezioni, si privilegia sempre l’italiano. Secondo te quanto condiziona il mercato musicale l’esclusività della lingua italiana nella maggior parte delle canzoni, e quanto limita la diffusione della musica italiana fuori dai nostri confini?

Sicuramente lo è, o quantomeno lo è in parte. Per questo, come dicevo, con i musical decisi di sperimentare situazioni fuori dall’Italia e oggi ho ancora la fortuna di avere la possibilità di lavorare all’estero. L’Italia è sempre stato un Paese molto tradizionalista, ma alla fine è anche giusto così, in Francia in fondo è la stessa cosa. Nei due paesi la gran parte delle canzoni che passano in radio sono di artisti del posto. Però, contrariamente alla Francia, l’Italia la trovo più accogliente e possibilista. Io, comunque, mi sento un’artista internazionale, ma anche molto, molto italiana. Mi capita di cantare e parlare in italiano anche durante i concerti all’estero, e passo da una lingua all’altra senza alcun tipo di preconcetto.

Se mi chiedessero di raccontare tua musica con un aggettivo, io direi “colorata”. I colori sono protagonisti dei tuoi video; vivaci, non di rado con accostamenti arditi uno accanto all’altro. Tutto è colore abiti, animazioni, grafica. Sei grafica pubblicitaria, quanto c’è anche di questo retroterra in queste scelte artistiche?

Tanto, tantissimo. Non so se è il mio segno zodiacale (Bilancia n.d.r.) a rendermi esteta, ma mi piace mettere lo zampino non solo nella canzone, ma in tutto il suo contorno. Do carta bianca al fotografo o al regista, ma chiedo sempre loro di metterci del colore dentro, che siano parrucche, vestiti, oggetti, Non perché abbia paura del nero o dal grigio, ma colori vivaci me li sento esplodere dentro, ho un’attrazione magnetica verso i colori accesi. Se volessimo far un gioco di parole potrei dirti che mi sento sempre in-colore, nel colore. Poi il colore è una metafora dell’inclusione. Se mi dici inclusione, penso a tanti colori diversi. Perché dovresti sempre avere la possibilità di scegliere qualunque cosa tu voglia essere o diventare. È una regola della mia vita, non solo della musica. Sono molto possibilista, molto fatalista e molto curiosa, vivere vuol dire mettere le mani su qualsiasi tipo di “colore” e giocarci.  E vorrei vedere nell’altro davanti a me la stessa libertà e lo stesso rispetto. È proprio questo il messaggio che cerco di trasmettere in tutto quello che faccio. Anche nell’uso dei diversi suoni, che siano sonorità africane o richiami latini, voglio sempre essere aperta e sperimentare. Se dovessi desiderare qualcosa per il futuro mi piacerebbe che sia sempre pieno metaforicamente di colori diversi.

Sempre a proposito di possibilità e diversità, tre anni fa, insieme al tuo direttore artistico Luca Tomassini hai portato avanti il progetto “A Freaky Trip to Rotterdam”. Un avvicinamento all’Eurovision Song Contest del 2021, in cui interpretavi dei brani delle passate edizioni della manifestazione dandone una rilettura personale, che ti permetteva di esprimere al mondo i tuoi diversi aspetti.

Con Luca Tomassini siamo partiti dal titolo del brano che avrei dovuto portare all’edizione 2020, poi annullata. ‘Freaky’ era inteso nel suo senso di “bizzarro” e “capriccioso”. Man mano che si avvicinava l’evento di Rotterdam, ogni mese facevamo uscire un video in cui rivelavo al mondo sempre una Senhit diversa. Luca mi ha dato questa possibilità, è una grande mente oltre che una persona umanamente piena. Ha un pieno “cosmico”, la sua età anagrafica lascia il tempo che trova perché dentro di sé ha l’entusiasmo di un fanciullino giocoso. Ci siamo incontrati e riconosciuti come simili e mi sono letteralmente plasmata nelle sue mani. Ricordo una sessione di ore e ore di trucco per un video che doveva avere un’ambientazione greca. Ho cantato in greco, in portoghese e in tantissime altre lingue e i fan di Eurovision hanno coniato per me l’appellativo di “Freaky Queen” che ho fatto mio.

Nel periodo intercorso tra ‘Adrenalina’ e ‘Colombia’ lo scorso anno hai fatto uscire un singolo in cui omaggi Gloria Gaynor e la sua ‘I Am What I Am’. Nel video decine di ballerini danzano con te in Piazza Maggiore a Bologna sotto gli occhi divertiti dei cittadini. E allora la domanda più difficile te la faccio in chiusura di intervista: tanti colori, tante trasformazioni, tanti viaggi, tante possibilità da esplorare, tanti modi diversi di essere al mondo e un perenne cambiamento; ma oggi 23 maggio, alle tredici e diciotto chi è Senhit?

Senhit è “freaky”, Senhit è quello che canto, è adrenalina, una grande voglia di vivere e fare. Senhit è una persona che ama il mestiere che fa in maniera viscerale, ma senza farlo diventare una fede e prendendosi sul serio, ma non troppo, perché, comunque non sono una cardiochirurga che opera a cuore aperto in sala operatoria. E ora che ci penso, a dirti la verità mi riesce difficile rendere chi sono in un’unica parola o una sola metafora. Anzi, dimmelo tu chi sono, in fondo anche questo è il tuo mestiere.

Per la mia risposta dovete ritornare alle prime righe dell’intervista; per la vostra, avete tutta l’estate per “andare” in Colombia e ballare con lei.

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