VeiveCura – Goodmorning Utopia

Un po’ per (de)formazione adolescenziale, un po’ per la naturale evoluzione degli eventi, mi sono sempre ritrovato spettatore di una scena indipendente italiana fortemente settorializzata; la matrice della stragrande maggioranza degli episodi ai quali assisto costantemente è fatta di quella materia dura e scura che comunemente chiamiamo “rock” (che non è assolutamente morto, precisiamolo).
Davide Iacono, eclettico polistrumentista siciliano, in questo inferno si siede, prende un profondo respiro e crea VeiveCura, ovvero come costruire una camera a tenuta stagna fatta di etere e cristalli immersa nella lava.

Goodmorning Utopia vede la luce in questo freddo mese di maggio; porta tepore e scioglie i muscoli in una stagione che sta facendo tutt’altro.
Persepolis, in apertura, sembra uscita da una collaborazione tra il Thom Yorke di Kid A e il Burial di turno; a dir poco spettrale, si distacca nettamente dal clima generale dei brani che seguiranno.
Ad Astra, infatti, snocciola un’atmosfera amena degna dei migliori Sigur Ros, evocando scenari quanto mai islandesi.
Utopia Pt. I-II-III sfoggia una classe invidiabile con un assolo di sax che fa tremare i polsi ed un finale molto cinematografico.
Il mood generale del disco poggia interamente su un pianoforte dilatato e trasognato, vocalizzi quasi incorporei e trapunte strumentali che danno una sapiente spinta in più.
Il polistrumentismo è indubbiamente un altro elemento fondamentale, dal momento che Iacono registra sia le parti di pianoforte sia quelle di batteria (oltre ad occuparsi voci e della maggior parte degli arrangiamenti), andando a plasmare perfettamente la realtà del suo lavoro con le sue idee.
Nei tuoi occhi legno diventa quindi una vera e propria perla, malinconica e dolcissima, chiusa da un’esplosione percussionistica di grande sentimento.
La magniloquenza tipica del genere viene sapientemente alleggerita da tracce brevi ed intense, preferendo la qualità alla quantità (scelta mai sbagliata).
Utopia Pt. IV-V e Oxymoron costituiscono invece gli spezzoni più sincopati e sostenuti dell’intero lavoro, a dimostrazione di una poliedricità che comunque non è mai passata inosservata (vedasi Persepolis).
In chiusura, Goodnight Utopia è esattamente la canzone che ci aspettavamo: un congedo spettacolare, un’immensità troppo grande per essere descritta, il rischio lacrime è elevatissimo.

 

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