Kill Your Boyfriend – The King is dead


I gruppi emergenti cercano la stampa. La stampa cerca i gruppi emergenti. Tutta questa ricerca diventa improvvisamente inutile nel momento in cui un recensore inciampa per caso in una band, e le frequenze vanno subito in armonia.
È successo così al sottoscritto con i Kill Your Boyfriend, rientrando in un venerdì sera autunnale dopo un altro concerto e decidendo alla cieca di fermarmi al locale dietro casa, ché tanto lì suonano sempre tardi. Dal parcheggio si iniziano ad avvertire le vibrazioni, non quelle dei Beach Boys ma quelle dei bassi, ed entrando dalla porta vengo pressoché travolto dall’onda. Quanti saranno questi sul palco per fare un casino del genere? Due. Chi sono poi? I Kill Your Boyfriend. A che punto è il concerto? A metà circa. Mi godo il semi-show residuo, alla fine compro il disco “The King is dead“, me lo ascolto qualche settimana, e ora ne scrivo.

Da dove provengono i Kill Your Boyfriend? Abbassi la puntina in una posizione random del disco e non c’è dubbio, Manchester. Alzi e sposti in un altro punto casuale, ed è improvvisamente Berlino. Cambi facciata e ripeti l’esperimento, e stavolta viene da pensare a Glasgow. E invece no, la risposta esatta è Treviso. Matteo Scarpa e Antonio Angeli arrivano dalla Marca Trevigiana portando con sé badilate di anni ’80 e una ventata di cupa ipnosi da lasciare intimoriti i deboli di cuore. Le influenze di tutto ciò che è oscuro e ha più di venticinque anni si avvertono, ma non significa che ci troviamo di fronte a una sorta di tribute band del periodo, in questa seconda fatica full-length ci sono un sacco di idee e il termine che ti fanno ronzare incessantemente in testa è dark wave.

Dieci tracce, otto nomi maschili, quattro per ogni facciata, ciascuna delle quali introdotta da un breve passaggio strumentale a fare da cappello alle due Death List, perché “The King is dead” non ha un lato A e un lato B. Otto persone che probabilmente non ci sono più, e hanno pure fatto una brutta fine se diamo retta alla brutalità dei suoni con cui i Kill Your Boyfriend ne ripercorrono le gesta.

Abbiamo ‘Alan‘ sballottato da un basso post-punk e una tastiera goth, ‘Charles‘ che è rimasto elettrificato su un oscuro dance floor, quello che se l’è passata forse meglio di tutti è ‘Frank‘ graziato dal lato buio della new wave comunque martellante, e forse ‘Jesse‘ che ha subito una solenne esecuzione ma con una marcia che tende ad aprire con un accenno di speranza. Capovolgendo il disco, questa speranza va rigorosamente abbandonata. Ce lo suggeriscono i bpm ossessivi di ‘Lewis‘, ce lo ribadisce il riverbero sintetico di ‘Neil‘, il passo lento di ‘Martin‘ rende tutto inesorabile e maestoso, e si chiude con ‘Rudolph‘ che fa leva sull’ipnosi dei riff per dare il colpo di grazia finale.

I volumi alti rendono giustizia a questo “The King is dead” dei Kill Your Boyfriend, ed è forse per questo che l’esecuzione live risulta così accattivante. I riferimenti sono chiari, e vengono messi bene in fila e sovrapposti ottenendo una frenetica commistione di bassi analogici ed elettronici, di cadenza pesante e di accelerazione, per la gioia del vostro subwoofer e un po’ meno del vicino di casa (a cui dedico questa recensione).

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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