Campos – Latlong

Latlong è il terzo album dei Campos. Il disco è uscito il 27 Novembre per Woodworm ed è distribuito da Universal Italia.

I Campos nascono nel 2011 fa dall’incontro di Simone Bettin, co-fondatore dei Criminal Jokers, e il musicista e producer Davide Barbafiera, ai quali si aggiunge il bassista Tommaso Tanzini. Il loro sound unisce folk rock, melodia e cantautorato. Latlong nelle sue undici tracce riesce a portare nel panorama italiano un album che suona come alcune delle migliori produzioni internazionali fondendo l’elettronica con l’anima melodica della band.

Al primo ascolto vengono in mente il primo album di Motta ma anche alcuni brani di Appino solista. Artisti vicini non solo musicalmente al trio pisano, non a caso uno dei brani parla proprio di Santa Cecilia, una delle strade del capoluogo toscano. Il loro disco infatti, condendo rock acustico ed elettronica, dipinge scenari a tratti polverosi e rarefatti con in cui si muovono personaggi e storie che vanno a comporre una grande metafora di quello che ognuno di noi si porta dentro.

È il caso di ‘Sonno‘, brano che aveva anticipato il disco, e ‘Figli del fiume’. Più avanti su questa falsariga di racconto messo in musica arriva anche ‘Ruggine’ in cui il protagonista non vuole affrontare i problemi, pur rendendosi conto che lo stanno incalzando. Da ciò comincia l suo processo di ossidazione che coincide col procrastinare senza guardare in faccia la realtà. Singolare poi è la storia dei due vulcanologi che valutano la loro esistenza in funzione di un vulcano immobile ed indifferente alle loro vite nel brano ‘Mano’ che si muove su un ritmo scarno e tambureggiante dall’atmosfera polverosa.

Arno, come un fiume elettronico, divide il disco in due portandoci a Blu, una classica ballad acustica, forse uno dei brani più riusciti del disco. Non lontano da quel mood è il brano seguente, Addio, che richiama alcune sonorità dei vecchi dischi di Micheal Kiwanuka.

Latlong è un disco che verrebbe voglia di ascoltare dal vivo, in un set acustico illuminato da poche lampade e tante mani capaci di portare il ritmo delle tante ballad presenti nell’album. Un album che parla sottovoce e cerca di raccontare più che stordire, senza nessun aspetto particolarmente rivoluzionario dal punto di vista musicale ma che trova nella forma racconto il suo punto di forza. Un pugno di canzoni che cercano di mettere ordine nella confusione che molti si portano dentro con le canzoni come coordinate, come già il titolo del disco ci suggerisce.

 

 

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