The White Buffalo, storie d’amore e sofferenza

Dopo lo show che lo scorso anno ha incantato il pubblico del Circolo Magnolia a Segrate (MI), reduce dal successo del suo ultimo album “Darkest Darks, Lightest Light” è tornata in Italia la band di Jake Smith, The White Buffalo, con la collaborazione di Matt Lynott alla batteria e Christopher Hoffee al basso.
Il cantante, che molti conoscono grazie a “Sons of Anarchy”, poco prima dell’esibizione al Carroponte ci ha raccontato un po’ dei suoi progetti furturi e dei sogni nel cassetto (e se vi siete persi le foto del concerto, basta cliccare qui).

L’animale sacro ai nativi dell’America del Nord è il nome scelto per raccontare le tue scricchiolanti cronache di affanni, lotte, perdite e redenzioni.
Un simbolo di grande forza interiore, ma anche di determinazione nel raggiungere qualsiasi obbiettivo.
Uno spirito sacro che ci invia continuamente messaggi per aiutarci a ritrovare noi stessi, un po’ come le tue canzoni che vanno a colpire dritto al cuore.
Ti ritieni un “ bisonte bianco ” dei giorni nostri?

No, sono solo un uomo.
Cerco di scrivere canzoni che tocchino le persone e il loro cuore ma non mi ritengo un messaggero e non pretendo affatto di cambiare la vita delle persone.
Semplicemente mi piace far emozionare con ciò che racconto nelle mie canzoni.

“Darkest Darks, Lightest Lights”, il sesto e ultimo album risalente al 2017, ci racconta l’epopea delle terre dell’Ovest selvaggio mettendo in mostra una vocalità intensa e passionale.
Sappiamo che c’è in cantiere un nuovo album, puoi anticipare qualcosa a riguardo?

Sì, lo abbiamo registrato in circa 6 giorni.
È un po’ differente dagli album precedenti e lo abbiamo creato con un’impostazione più basata sull’esperienza dei live, decidendo tutti insieme.
Il produttore, Jannings, ha suonato il piano in questo album che parla d’amore (da strappacuori) e di gente che muore.
Amore e sofferenza: un connubio perfetto per il pubblico che apprezza sempre questi contrasti.

Il tuo stile è quello di costruire piccole narrazioni incentrate su singoli personaggi, storie brevi in cui la gente si può riconoscere.
A volte sei attratto da storie di fuorilegge che anche se hanno qualcosa di bestiale hanno una loro umanità.
Questi racconti musicali sono ispirati da personaggi esistiti nella realtà oppure sono tutti fittizi?

Guarda, alcuni sono personaggi americani esistiti nella vita reale, alcuni sono effettivamente personaggi inventati prendendo spunto anche dalla mia biografia.
Mi piace molte volte mischiare queste fonti per creare personaggi più interessanti.
Cerco di ispirarmi a persone vere ed episodi veri, come anche gli omicidi di massa avvenuti negli USA, e cerco di raccontare tutto con la mia massima onestà.

Quale personaggio ti sta più a cuore?
Quale storia ti trasmette più carica emotiva quando la canti e racconti al pubblico?

Dipende dalla serata anche se in genere preferisco i personaggi più bilanciati ma apprezzo anche i personaggi più tristi poiché mi fanno “sentire” di più.
Di fronte al pubblico comunque è tutto sempre diverso, e dipende appunto dalla serata, dalle emozioni.
C’è chi piange e chi ride, è tutto un’insieme di sensazioni.

Le tue piccole storie musicate a cavallo tra folk, country e rock ci ricordano un po’ i grandi maestri quali Bob Dylan, Leonard Cohen, Johnny Cash.
Hai mai fatto qualche loro cover?

Nei live ho suonato, ma di rado, ‘The Highwayman‘ perchè mi piace Johnny Cash, ma noi non vogliamo fare covers.
Occasionalmente abbiamo collaborato per colonne sonore di film o serie televisive ma non è la nostra strada, preferiamo vivere il percorso che ci stiamo costruendo.

A proposito, la tua musica è presente in molte serie e film, tra cui “Sons of Anarchy”, “Californication”, “This Is Us” e “Sleepy Little Town”.
Ti piacerebbe comporre la colonna sonora di un film o una serie tv partendo dal copione?

Oh sì, penso che sarebbe molto interessante e motivante.
Penso che sarei in grado di scrivere e comporre musica per il grande o piccolo schermo riuscendoci alla grande, sicuramente sarebbe qualcosa che potrebbe occupare il mio tempo in futuro.

Una volta hai dichiarato che che la musica live è il tuo principale mezzo di sostentamento e fai all’incirca una sessantina di concerti all’anno, sempre in pista con il tuo van e gli altri musicisti del gruppo sui palchi di tutto il mondo. C’è un posto in particolare dove ti piacerebbe suonare, una meta ancora non raggiunta?

Non siamo mai stati nel Sud America.
Ci piacerebbe andare in Brasile, Cile o in Messico.
Mi piacerebbe anche tornare in Australia, dove sono stato ormai molti anni fa, ma mi piacerebbe davvero tornarci per esibirmi e vedere cosa è successo in questi anni.
Sarebbe interessante anche in Oriente, magari in Giappone.

Hai qualche aneddoto sui tuoi viaggi qualcosa che ti fa sorridere ogni volta che la racconti?

Veramente non saprei, ogni viaggio è un’avventura sempre diversa e ricca di emozioni.
Cerco di vivere al meglio il presente ogni volta che usciamo sul palco, godendo anche di un buon caffè e delle birre.

Com’è stata la gavetta prima di sfondare?
Hai mai pensato di smettere?

No, non ho mai pensato di smettere e negli ultimi 20 anni non c’è nemmeno mai stato un piano B.
Ho iniziato a suonare la prima chitarra quando avevo 19 anni, una vecchia chitarra, e da allora non ho mai smesso.

I fans italiani sono molto calorosi e sono un pubblico molto leale. Vuoi mandar loro un messaggio?

Amiamo venire a suonare in Italia e ci piace lo spirito degli Italiani.
Avete una cultura entusiasmante e coinvolgente, così come vi trovo sotto palco.
Vi do emozioni con le mie canzoni e voi ricambiate altrettanto.

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