Luca Cavina: l’iperproduzione è una caratteristica della nostra era

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un’incessante proliferazione di gruppi formati da componenti di varie band, che si uniscono e collaborano tra loro nei progetti più diversi e disparati: personalità diverse, abituate a generi ben definiti, che si mettono in gioco con altri artisti per sperimentare, provare, mescolare, tagliare e cucire nuove identità creative, nuove atmosfere.
In questa galassia impazzita avviene che varie band esplodano o entrino in contaminazione con altre, musicisti e fonici vengano assorbiti e prestati professionalmente ai vari progetti dando vita a delle stelle nane pronte a brillare nel cosmo underground.
Ovviamente il fenomeno ha avuto origine all’estero con la nascita delle super combo – vedasi Them Croocked Vultures, per citarne una su tutte – e così, anche in Italia, le collaborazioni son fioccate tanto quanto i dischi prodotti.
Certo, alcune funzionano meno di altre, ma nascono e crescono andando a creare un sottobosco parallelo che arricchisce una già nutrita scena musicale.
Se questa esigenza espressiva quasi disperata sia positiva o meno lo abbiamo chiesto, tra tante altre domande, a Luca Cavina, bassista di Calibro 35 e Zeus! cercando di capire se le continue collaborazioni tra artisti non stiano trasformando i musicisti italiani in veri e propri operai della musica.

Sei un artista che suona in un gruppo affermato e sulla cresta dell’onda come i Calibro 35: come mai senti l’esigenza di portare avanti, parallelamente, un altro progetto con sonorità, atmosfere e dinamiche completamente opposte come quello degli ZEUS!?

Innanzitutto per il fatto che ZEUS! è una creatura che sento più affine al mio background musicale rispetto ai Calibro 35. Non a caso (assieme a Paolo) sono autore di tutte le musiche di ZEUS! e mi muovo con un maggiore margine di libertà personale nella ricerca delle soluzioni musicali.
Nei Calibro ci sono più paletti (il che non è assolutamente un male) legati al fatto che si tratta più di un “progetto” che di una band classica da sala prove.
E in quanto progetto ha quindi delle caratteristiche ben connotate (per quanto liquide e cangianti di album in album), come ad esempio il fatto di avere un’estetica (musicale e non) che in qualche modo ha un sapore retrò.
In secondo luogo, credo faccia bene in generale una sana alternanza di progetti musicali che nutrano esigenze e mettano in gioco gusti e abilità completamente diversi. Gli ZEUS! stimolano parti di me non toccate dai Calibro 35 e viceversa. Avendo più tempo metterei in piedi ancora più situazioni!

Nel solo mese di gennaio con gli ZEUS! avete suonato in 30 posti diversi in tutta Europa: ti eri appena fermato con i Calibro 35 a dicembre, coi quali sei poi ripartito nuovamente a febbraio.

Alla base di tutto c’è sicuramente la passione e il piacere di suonare dal vivo e stare in giro.
Soprattutto nei tour più da battaglia come facciamo con ZEUS!, in cui sperimentiamo anche situazioni e pubblici molto diversi.
Stare in tour è un’accezione diversa del termine “viaggiare”, in qualche modo, poi non saprei dirti se è una necessità.
Le esigenze cambiano in continuazione, quindi dipende: a volte sono le cose che facciamo a prendere il sopravvento su di noi, anche se questo fatto ha a che fare inevitabilmente con l’indole peculiare di una persona.
Altre persone, per inclinazioni e carattere, non arriverebbero mai a stare così tanto on the road.
Io pure a volte arrivo al limite di sopportazione e avrei solo bisogno di stare a casa mia a Imola.
C’è però anche un aspetto di sopravvivenza.
Economica, nel senso che un musicista come me per sostentarsi ha bisogno di stare in giro tanto.
Inoltre, un progetto musicale, per crescere e diffondersi ha bisogno di tempo: tempo per la creazione musicale, tempo per fare dei dischi, tempo per suonare dal vivo.
Se ZEUS! e Calibro 35 sono due nomi che la gente incomincia a ricordare è anche perché abbiamo battuto molto il ferro in questi anni.

La tua vita ricorda quella di tantissimi artisti anni ’80 che caricavano i propri strumenti su una macchina e partivano per suonare in tutti i locali possibili in giro per l’Europa.
Una vita da vero rocker, mi verrebbe da dire.
Quanto pensi possa aiutare oggi la tecnologia in questo?

ZEUS!
Zeus! © Mattia Zoppellaro

La tecnologia (leggi Internet) è ovviamente un mezzo comodo e veloce rispetto al passato se vuoi organizzare un tour in Europa o altrove. Dall’altro lato, non si può prescindere da relazioni “reali” quando vuoi costruire qualcosa.
Esempio: a volte funziona molto di più un house concert organizzato tramite passaparola attraverso una rete di persone che hanno “realmente” interesse per un certo tipo di musica, che non un concerto nel club grosso che fa l’evento Facebook con tot partecipanti e poi non viene nessuno…Certi concerti sappiamo che avranno buon esito proprio perché si è costruito nel tempo un rapporto di fiducia tra noi e certi promoter.
Altro esempio.
Il terzo disco degli ZEUS! “MOTOMONOTONO” è il secondo uscito per l’americana 31G.
Anni fa avevamo scritto (via internet) all’etichetta per sondare un interessamento, ma guarda caso l’interessamento è arrivato solo quando abbiamo conosciuto personalmente Justin Pearson (padre di 31G) durante un breve tour di apertura dei suoi Retox.
Vero è anche che nel tour europeo 2016 degli ZEUS! siamo riusciti a chiudere un paio di date last minute mentre eravamo già in tour, grazie al supporto tecnico del wi-fi…

Spesso mi sento chiedere da vari gruppi se conosco locali in cui possano suonare perché riesce difficile trovarli: avete mai incontrato questo tipo di difficoltà?
In cosa vi sentite diversi dagli altri, o meglio, di cosa peccano i colleghi musicisti alle prime armi?

Non saprei, io mi ricordo che quando avevo 17 anni suonavo nei pub attorno alla mia città e se capitava di suonare a Bologna era come dire “si va nella metropoli”. Ovviamente era così perché il mio orizzonte era limitato.
Quando allarghi gli orizzonti aumentano anche le prospettive, cambiano le scelte che fai e queste ti portano altrove.
Non significa però nemmeno che i risultati arrivino subito.
Prima di suonare così tanto abbiamo mendicato concerti per un bel po’ di tempo.
Poi pian piano ti costruisci dei contatti.
In questo c’è un miscuglio di dedizione e Caso.
Se poi fai pure della buona musica, a volte aiuta. Ma non sempre è necessario…

Ascoltando ‘Krakatoa song‘, tratta da “MOTOMONOTONO” mi sono tornate alla memoria ‘Pantokrator‘ e “Cortar Todo” degli Zu: un po’ vi somigliate, a mio avviso.
Secondo te, se ci sono, quali sono i punti in comune tra voi?
In fondo siete due gruppi molto apprezzati all’estero, quale potrebbe essere la chiave di lettura?

Sicuramente ci sono affinità e divergenze fra noi e gli Zu, ognuno si diverta a trovarle.
Loro rispetto a noi hanno un primato di anzianità. Ovviamente noi rispetto a loro abbiamo un primato di gioventù.
Riguardo all’essere entrambi apprezzati oltre i patri confini, dipende in parte dallo sbattimento di noi e Zu di suonare tanto fuori dall’Italia.
In più devo dire che soprattutto in posti come Francia e UK ho notato un orecchio più allenato a certe sonorità. Ovviamente pure in Italia ci sono persone che apprezzano la nostra musica, ma capita un po’ più spesso rispetto all’estero di essere percepiti come degli alieni che “lo fanno strano”.

È difficile inquadrare lo stile degli ZEUS!: come vi presentate al pubblico che non vi ha mai ascoltato? Come una band punk, sludge, hard rock?
O attaccate a suonare e basta lasciando agli strumenti il compito di provare a spiegarlo, come dire, ‘Grindmaster Flesh‘ docet?

Una buona cosa di noi ZEUS! è che per qualche strana ragione riusciamo ad essere trasversali pur suonando musica che può essere percepita genericamente come “estrema” o “di nicchia”.
Quindi riusciamo ad avere ascoltatori differenziati. Il fatto divertente è che sono gli ascoltatori ad etichettarci e che le etichette cambiano guarda caso in base ai riferimenti personali di ognuno. Per cui c’è chi ci percepisce “grind”, chi “avantgarde”, chi “minimalisti”, chi dei “performer”, chi dei “clown”.
E in ognuna di queste etichette che ci affibbiano probabilmente c’è una piccola percentuale di verità.

All’estero come vengono accolte le band Italiane?

Mi viene da risponderti che dipende dalla band!
Però ci sono alcuni gruppi che spesso ci vengono nominati quando andiamo fuori dall’Italia: OvO, Zu, Appaloosa, IoMonadeStanca, La Quiete, Raein e, incredibilmente, pure gli ZEUS!.

Quante avventure possono capitare in un tour Europeo così lungo?

Devo dire che la vita da tour non ha sempre delle cose incredibilmente straordinarie da raccontare, anzi, c’è molta più ripetitività e routine di ciò che la mitologia sul rock’n’roll ci ha tramandato.
Quindi non ho troppa aneddotica di quel tipo a parte dei tizi che dopo un concerto tirano di coca sulla mia cassa da basso o io che pesto una merda di cane trenta secondi prima di salire sul palco.
Roba da ridere paragonata a Lemmy.

Negli ultimi anni la creatività da parte degli artisti sembra schizzata alle stelle, tantissimi musicisti hanno in piedi più progetti con cui registrano dischi praticamente ogni anno.
Quanto c’è di buono in tutto ciò?

Zeus! © Mattia Zoppellaro
Mattia Zoppellaro

Ognuno ha tempistiche diverse nel curare i dischi. E ogni musica richiede tempistiche diverse.
Alcune musiche si nutrono dell’estemporaneità e del guizzo de panza, altre sono concepite con procedimenti più complessi che richiedono più tempo.
C’è chi sforna dischi molto belli a distanza di cinque anni come Iosonouncane e chi ne fa di altrettanto belli a cadenza annuale come gli iperprolifici Uochi Toki. Coi Calibro facciamo dischi in una settimana di studio.
A volte la ciambella esce col buco e a volte no. C’è poi chi fa dischi brutti, indipendentemente dalle tempistiche. L’iperproduzione è sicuramente una caratteristica della nostra era con vari pregi e difetti ma va anche detto che non tutta la discografia mondiale va approcciata come quando ci si accosta a un Capolavoro Necessario della Storia della Musica. C’è musica e musica: quando faccio i lavori di casa mi capita anche di ascoltare cose che non vanno oltre il “carino” e il “mediocre”.

Mi piace pensare che questa intervista finisca in pasto anche a persone che la musica la fanno e che, nello specifico, venga letta dal numero maggiore di bassisti possibile.
Il basso è il tuo compagno di avventura: quanti ne hai amati?
Quali sono gli effetti e i pedali che usi abitualmente o che più supportano la tua fase creativa?

Nasco bassista, ma ho suonato anche batteria e chitarra.
Sono sempre stato più legato al fare musica in senso lato che non al singolo strumento.
Non sono mai stato un bassista che studia sui bassisti e che ha i suoi bassisti preferiti. Quindi, in una certa accezione, non sono mai stato un bassista. Sono sempre stato autodidatta.
Non ho estremismi sui bassi “belli” e “brutti”, vintage o moderni che siano: mi piace utilizzare strumenti appropriati al contesto in cui suono. Suono anche in maniera diversa a seconda dei contesti: con gli Incident On South Street (qui la gallery, n.d.r.) suono solo a dita, con ZEUS! solo col plettro, coi Calibro non uso praticamente effetti, con ZEUS! ne uso in continuazione.
Se compro un effetto è sempre perché prima ho un’idea musicale che quell’effetto può aiutarmi a raggiungere.
Non ho la fotta di andare in giro per negozi di strumenti, anzi il più delle volte quando ci vado mi rompo i coglioni!

La storia della musica ci insegna che sonorità così estreme come le vostre col tempo sono destinate a evolversi in qualcos’altro: quali orizzonti musicali ti catturano e attraggono?

Diciamo che ho bisogno di un momento per poterci riflettere su e lasciar fluire quel che mi passa per la testa.
Gli orizzonti sono vasti e talvolta nebulosi, se poi sono sempre in giro a suonare è difficile trovare quell’attimo di raccoglimento per mettere meglio a fuoco le idee.
Ecco un difetto della vita on the road intensiva, che si può riflettere negativamente sulla produzione musicale!
Di sicuro vorrei fare qualcosa di diverso da ciò che ho fatto sino ad ora, ma al momento non ho la minima idea di che forma potrebbe prendere.

Consigliaci un libro, un disco o una città europea viva musicalmente da visitare assolutamente

Un libro potrebbe essere “Mente e natura” di Gregory Bateson mentre un disco “Meet the Residents” dei Residents.
Per la città, non sono stato abbastanza tempo in città europee da dirti quale sia particolarmente più viva di altre a livello musicale. L’unica città che mi ha lasciato addosso quella sensazione di grande vitalità e varietà musicale non è europea ed è New York.


Foto di copertina © Juliane Schutz

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