«A Berlino il pubblico è meno annoiato»: intervista ai Betty Poison

Spesso accade che le cose belle, sebbene nate in Italia, decidano di spiccare il volo verso altri lidi.
E’ qualcosa che succede dalla notte dei tempi, ci mancherebbe.
E’ anche qualcosa di giusto, andare oltre i confini di casa propria per scoprire com’è “il mondo fuori”.
Ciò non toglie che sia comunque triste, da un punto di vista strettamente patriottico, notare quante persone scelgono di spostare la propria vita all’estero.
E’ il caso di molti giovani, che qui non trovano lavoro.
E’ il caso di studenti universitari, che hanno scelto corsi di laurea particolari e che non danno, ahimé, sbocco né futuro nelle aziende italiane.
E’ il caso di artisti che trovano più semplice promuovere la loro attività fuori dai confini di casa propria.

Il motivo che ha spinto i Betty Poison a lasciare l’Italia non è strettamente legato all’economia, ma ha a che vedere soprattutto con l’opportunità di sostenere al meglio la loro carriera, che sin dagli inizi è stata di spessore e di rilievo internazionale.
«Lo spostamento da Roma a Berlino deriva indubbiamente ragioni di comodità geografica. Frequentando già da tempo la scena europea, trovavamo faticoso spostarci ogni volta da Roma. La Germania è proprio al centro dell’Europa e venirci a vivere ci ha senza dubbio agevolato, da questo punto di vista.»
E’ così che ci racconta Lucia, frontwoman di una delle band alternative rock più interessanti del circuito italiano.
Che dal 2012 si è spostata, appunto, a Berlino, la città che negli ultimi anni ha rubato a Londra l’appellativo di “cuore pulsante dell’arte e dell’intrattenimento”.

Avendo vissuto in grandi città, entrambe in totale fermento dal punto di vista musicale, quali differenze notate fra Roma e Berlino?

In entrambe le città c’è una scena molto attiva, nella quale le band riescono a funzionare in modo abbastanza autarchico.
Forse a Berlino il pubblico è meno annoiato e non si respira l’indolenza “hipsterica” di alcuni contesti e circuiti romani.

Ci sono, a vostro avviso, strade più semplici per fare musica all’estero?

È più semplice la vita, nel senso che è meno costosa e offre più garanzie e possibilità di “stare sereni” con poco.
Questo permette agli artisti di concentrarsi sui loro progetti con meno patemi.

In Italia c’è da sempre un rapporto particolare fra gestori di locali e gruppi emergenti.
A meno che tu non sia famoso, uno “col nome”, è raro che i musicisti vengano pagati per il loro lavoro. Anche all’estero c’è lo stesso problema, economicamente parlando?

Non pensiamo sia un problema nazionale, ma piuttosto una questione di mercato e di flessibilità, specie quando le band suonano in locali non ancora affermati o in difficoltà ed entrambe le parti decidono di venirsi incontro.
Questo accade ovunque.
Di sicuro, però, suonare senza essere pagati non è e non può essere mai un’opzione.

Due dischi all’attivo (‘Poison for you‘, 2009 e ‘Beatury is over‘, 2011) e un video uscito da pochissimo, presentato in anteprima nella testata web Mitte. Quando uscirà ufficialmente il vostro terzo lavoro?

A giorni uscirà un secondo video, un’altra anticipazione acustica del nostro nuovo lavoro.
Entriamo in studio a settembre e siamo molto felici e curiosi, anche perchè stimiamo molto il nostro nuovo produttore artistico.

Vi va di anticiparci quali saranno i temi trattati, il concept sul quale si basa il disco?

Ti rispondo con la frase che ha accompagnato l’uscita del video di ‘Noone left‘: «When you live through a battle, the only thing you know is that noone’s left and you’re no longer yourself.»
Il concept è esattamente questo.

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