La persecuzione del nome: intervista agli Aemaet

La storia che lega Oca Nera agli Aemaet è lunga quasi un anno, ci credete?
Il caso vuole che una sera una nostra fotografa sia sotto palco al Circolo degli Artisti, storico club capitolino, per realizzare un photo report – non chiedetemi di quale concerto, lo ignoro.
Mentre attende che cominci il live conosce un ragazzo in transenna e che le chiede dove può vedere gli scatti l’indomani mattina.
Ne nasce una storia d’amore?
No, questo non è un romanzetto Harmony, è un magazine di musica!
I due protagonisti di questa vicenda finiscono semplicemente col parlare: lei della webzine “nata per dare voce agli emergenti” e lui del gruppo nel quale suona, gli Aemaet.
Si scambiano gli indirizzi di posta elettronica, e il giorno dopo, come promesso, arriva una mail in redazione con del materiale per essere recensito.

Il lavoro qui è tanto, spesso le cose si accavallano e noi siamo anche un po’ lenti.
Gli Aemaet non hanno desistito – per la precisione, parlo di Cristian, colui che ha firmato tutte le email che ci sono arrivate
E’ stato tenace e paziente, e non avendo ricevuto risposte ha riscritto ancora alla redazione chiedendo esplicitamente di intervistare il suo gruppo.
Cotanta dedizione mi ha colpita, ed anche se sono passati diversi mesi, eccoci a parlare col gruppo.

Ci avete cercato, ci avete scritto…possiamo finalmente dire che “ci siamo”.
Cosa c’è di tanto urgente da raccontare ai nostri lettori? Aemaet, diteci tutto.

È tipico di un particolare membro della band andare in giro a rompere le scatole a professionisti che fanno bene il loro lavoro in ambito musicale: è solo mania di protagonismo e sfrenata voglia di fama.
Noi siamo gente seria e per bene! Ci dissociamo dai suoi comportamenti.

Partiamo dagli albori, dall’inizio della vostra storia come gruppo. Il vostro nome deriva dall’ebraico ed ha a che fare con la famosa leggenda del Golem: come avete optato per questa scelta?

Questa è una brutta storia. La parola aemaet è sacra, perché emanata dalla divinità Astaroth per dare la vita al Golem.
Ci piaceva questo sottile gioco letterario: sentirsi vivi suonando.
Il nome è anche un omaggio all’espressionismo cinematografico tedesco, in questo caso di Wegener, ma solo ora stiamo meditando sull’infausta scelta.
Stiamo incontrando un sacco di problemi durante i concerti: succedono le cose più incredibili e inverosimili, che ci costringono ogni volta ad interrompere lo spettacolo.
Cominciamo a credere che Astaroth sia arrabbiato con noi.

Parliamo della vostra discografia: due dischi all’attivo, dei quali l’ultimo, Human Quasar, ha ricevuto parecchie critiche positive. Ci raccontate il concept del disco

Il disco è diviso in due parti, quasi fosse un vinile o una musicassetta.
Il lato A è quello della materia bianca, luminosa, razionale, diurna. È il mondo che viviamo ogni giorno. La società è sempre la stessa da secoli: oppressiva e gerarchizzata; controllata da furiosi iconoclasti che ribaltano i sistemi per nuove restaurazioni sempre uguali a se stesse.
C’è chi trova rifugio nell’arte, chi nell’amore, chi nella morte. Ognuno vive come può.
La seconda parte, quella del lato B, rappresenta invece in maniera sfuggente l’influsso nefasto di tutto ciò sulla nostra parte oscura, che è quella che viviamo senza coscienza di notte, nel sonno.
Le due materie, quella bianca e quella oscura, creano una sorta di circolo vizioso.
Un Tao rovesciato nel segno del male, perché ci sembra che il mondo vada così.

Avete partecipato al contest del Postepay Rock In Roma e siete saliti recentemente sul palco del Backstage Pub la sera del concerto dei Placebo. Che cosa vi ha spinti a partecipare a questo contest? Senza togliere nulla a voi, ma con un po’ di verve polemica, il pubblico è lì per altri artisti…siete riusciti a catturare la loro attenzione?

E’ l’impresa più ardua. Siamo saliti su quel palco soprattutto perché uno di noi non aveva di meglio da fare quel giorno e ha inviato una mail per iscriverci. Alla fine su quel palco ci siamo saliti davvero, e cosa potevamo fare se non fare il nostro dovere, cioè suonare?
Capannelle è un posto come un altro, se non sali sul palco principale. C’era un sacco di gente però e qualcuno ci ha chiesto il disco: a noi interessa questo.
Del resto abbiamo avuto un sacco di problemi tecnici, non dipendenti da noi, che ci hanno costretto a interrompere il concerto a metà. Ma quello crediamo sia sempre Astaroth

Quando si dice “un nome, una maledizione”…qual è la domanda più importante che vi aspettavate da me e che ancora non vi ho fatto?

Hai già posto domande intelligenti e sensate.
Poi se non hai voglia di formulare un’altra domanda e vuoi far fare il tuo lavoro a noi…beh, puoi scordartelo.

Siete proprio simpatici, devo ammetterlo. Personalmente spero di incontrarvi presto ad un concerto: stavolta, però, voi sul palco più importante. Quali sono i prossimi appuntamenti live per gli Aemaet

Dovrai aspettare un po’: stiamo lavorando al nuovo disco, che ha già preso forma.
Poi, onestamente, siamo stanchi di suonare in situazioni poco consone. Basta.
Fatte le dovute eccezioni, se dobbiamo suonare male o in condizioni disagiate, preferiamo non suonare.
Non ha alcun senso profondere energie in situazioni spiacevoli e inutili.
Chi avrà voglia di ascoltare gli Aemaet potrà venire a trovarci al nostro Alveare Studio: come sempre, potremmo organizzare dei concerti privati per pochi intimi.
Astaroth permettendo!

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