Stereophonics live a Milano: impeccabili e coinvolgenti

Gli Stereophonics scelgono l’Alcatraz di Milano per chiudere il 20 ottobre la parte europea del loro tour di presentazione del nono album “Keep the village alive”, e il pubblico italiano reagisce partecipando con calore e grande partecipazione a questa data unica del gruppo gallese nel nostro paese.
L’onore e la responsabilità dell’apertura tocca invece ai Viva Lion, duo romano che propone un piacevole indie folk, sonorità abbastanza classiche e una certa spigliatezza nell’interazione con la platea, che si lascia coinvolgere e mostra il proprio apprezzamento per il breve set.

Gli Stereophonics concedono giusto un breve saluto prima di dare il via al loro concerto, all’insegna dell’ultimo disco, pubblicato a settembre del 2015, com’è doveroso che sia.
Si parte piuttosto morbidi con ‘I wanna get lost with you‘, per poi pigiare sull’acceleratore con ‘C’est la vie‘, e Kelly Jones ci tiene a chiarire sin da subito di essere in grande spolvero.
Il “piccolo” cantante fa la voce grossa in senso letterale, pulito e deciso, impeccabile ai limiti del sospetto playback, sostenuto dal basso dell’altro Jones, Richard, con cui forma l’ossatura sia storica che musicale del gruppo. Il primo tuffo nel passato è ‘Superman‘, altro pezzo caldo e incisivo dall’esecuzione inappuntabile.

La panoramica sui due decenni di successi degli Stereophonics prosegue per la grande gioia del pubblico con la ballatona ‘Indian Summer‘, l’arcinota ‘Have a nice day‘, una ‘Vegas two times‘ particolarmente tirata e ben riuscita e le braccia alzate e rivolte al palco per ‘Pick a part that’s new‘. Una partenza in quarta, a toccare un po’ tutte le corde del loro rock classico in cui si vede riflessa un po’ tutta la storia della musica brit, impreziosita dal timbro vocale unico e inconfondibile di Kelly, uno che dà l’idea di beccare parecchie canzoni al primo colpo anche nelle registrazioni in studio. Altra parentesi di novità per gli Stereophonics con un passaggio al piano per ‘White lies‘, e di nuovo il pubblico a schiarirsi la voce su ‘Maybe tomorrow‘, che suona imperfetta e proprio per questo viva, fugando ogni dubbio residuo di playback con una piccola imprecisione vocale. È la prima della serata, e siamo al brano numero undici. Chapeau.

Il tiro si alza nuovamente per ‘Catacomb‘, altro passaggio vivace prima della parte finale del set, con il penultimo album “Graffiti on the train” a farla da padrone e andando a chiudere con una spruzzata di post-britpop e ‘A thousand trees‘, ripescata dagli esordi degli Stereophonics.
I pezzi da novanta sono stati serbati per l’encore, un uno-due che dapprima mostra gli Stereophonics finalmente graffianti che ci vogliono far saltare con ‘The bartender and the thief‘, e porge poi i saluti finali nell’unica maniera possibile, mani al cielo e coro a una voce sola per ‘Dakota‘, che si presta ad essere soprattutto cantata e un po’ meno ascoltata e goduta.

Prendere quello che sai fare meglio e puntare praticamente tutto su quello, non inventandosi nulla di stupefacente: questo fanno gli Stereophonics sul palco, costruendo uno show godibile intorno alle eccezionali doti canore di Kelly Jones e all’immediatezza dei loro successi, senza voler trascinare né strafare.
Risultato pienamente raggiunto, pubblico soddisfatto e applausi più che meritati, il brand della compagine gallese si dimostra ancora una volta vincente.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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