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Siren Festival 2020, come rinascere dalle proprie ceneri

Il Siren Festival, noto festival di musica internazionale e non che ha luogo nella splendida cittadina abruzzese di Vasto dal 2014, lo scorso anno ci aveva lasciato orfani.
Con poche spiegazioni e tanta malinconia, l’edizione del 2019 è saltata e, personalmente, avevo pochissime speranze per quella del 2020 dato l’anno funesto in corso.
Ma a fine luglio ecco un annuncio che rischiara il nostro oscuro presente: l’edizione 2020 ci sarà.
Una versione ridotta, una preview, un piccolo assaggio di quello che, Covid permettendo, ci regalerà il 2021.
Infatti, il titolo dell’evento è molto esplicativo: “Road to Siren”, navigare in direzione dell’anno prossimo.

E così, col cuore in gola, il 22 agosto le splendide porte del palazzo D’Avalos riaprono per permetterci di ascoltare 3 giovanissime band nostrane.
Ovviamente seduti e rispettando tutte le regole che la pandemia attuale comporta, ma rivedere quel palco, dove qualche anno fa si esibirono nomi dal calibro di James Blake, The National e Notwist fa sempre sentire le farfalle nello stomaco.

Si inizia con i Coma Berenices, duo campano insieme dal 2015 e che nell’aprile scorso ha pubblicato l’ultimo Lp di nome “Archetype”.
Sonorità dream pop che richiamano paesaggi malinconici ed onirici, come può trasparire dal nome della band, che richiama una piccola costellazione visibile solo in determinati periodi dell’anno e dedicata ad un’antica regina che sacrificò la propria chioma come pegno di passione per la dea Afrodite.
Chitarre acustiche e sonorità sognanti per un inizio leggero ed ovattato.

Coma Berenices

Di tutt’altro stampo la band successiva: i The Tangram.
Boyband abruzzese dalle sonorità funk, anche se sia per il canto in falsetto che per le tutine brillanti ed attillate mi hanno riportato alla mente i The Darkness.
Rumorosi, accattivanti e carismatici, riescono a far ballare da seduti tutti i presenti, dominando il palco come se fosse il loro habitat naturale, nonostante l’album di debutto sia previsto il prossimo anno con IRMA Records.

The Tangram

Last but not least, come si direbbe nella vecchia Inghilterra, arriva l’ultimo artista della serata: Lucio Corsi, classe ’93, a presentare il disco uscito ad inizio di quest’anno (“Cosa faremo da grandi”).
Il suo fare scanzonato ed ironico, i lunghi capelli chiari e il suo sorriso sghembo rendono l’artista toscano genuino e spontaneo, conquistando immediatamente la simpatia del pubblico.
Non fa mistero delle sue ispirazioni musicali, elogiando più volte sul palco il vecchio cantautorato italiano ed eseguendo alcune cover: da ‘Hai un amico in me‘ di Cocciante a ‘Bufalo Bill‘ di De Gregori.
Risate e commozione si alternano in un live affascinante, divertente ma anche intimo ed intenso.
Viene proposto anche un bis, che Lucio tende a sottolineare che prende alla lettera, ed infatti ripropone due brani che aveva eseguito già all’inizio del concerto – ‘Frecciabianca‘ e ‘Cosa faremo da grandi‘ – ed il pubblico dimostra di non averne mai abbastanza, cantando di nuovo a squarciagola.

Lucio Corsi

Il secondo e ultimo giorno di Siren Festival ha come location sempre il palazzo storico che spicca nella piazza Vastese, ma niente musica live: ad aprire la serata c’è un dj-set di Umberto Palazzo, personaggio storico della musica underground italiana.

Successivamente c’è la proiezione del docufilm “A dog called Money” che racconta il viaggio della nota cantante inglese PJ Harvey assieme al fotografo Seamus Murphy nei villaggi del Kossovo, Afghanistan e Washington.
Luoghi e persone incontrati in questo road trip, molto spesso incastrate in contesti sociali difficili, lasceranno un segno profondo nell’animo dell’artista britannica e le saranno punto d’ispirazione per il disco uscito nel 2016 “The hope six demolition project”. 
Il documentario, dunque, ha la capacità di mostrare sia l’umanità dell’artista, in grado di spogliarsi dal ruolo di diva e mostrare la sua fragilità e commozione davanti alle scene di povertà che incontra, sia di far vedere la sua forza in studio di registrazione, dove mostra la rabbia e l’incomprensione per alcuni tratti del mondo che permettono l’esistenza di tanta miseria.

Il Siren Festival dimostra, ancora una volta, di essere sinonimo non solo di buona musica ma anche di atmosfere accoglienti e genuine che ti fanno sentire sempre a casa.
Senza contare che ci vuole un certo coraggio per riproporre un festival che molti davano per morto, specialmente in questi tempi bui, dimostrando che, con olio di gomito ed un po’ di fortuna, la canonica luce in fondo al tunnel c’è e forse iniziamo anche a scorgerla.
Can’t wait to Siren 2021!

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