Dal Primavera Sound al Covo Club: Angel Olsen live a Bologna

Angel Olsen si è esibita allo storico Covo Club di Bologna in uno dei primi concerti della nuova stagione invernale del granitico locale di Via Zagabria, una costante universale di tendenza e amore per la musica indipendente.

L’attesa all’ingresso del locale ha regalato una pletora di accenti “stranieri”: non parlo soltanto di marchigiani e rovigotti presi a commentare le ultime uscite discografiche e le recensioni alle recensioni delle riviste di recensioni.
Oltre ad un surreale sosia di Mac DeMarco con tanto di cappellino e parlata yankee, sono rimasto colpito da un’improbabile parlata latinoamericana di alcune ragazze – il che, avrebbe dovuto farmi intuire qualcosa sulla serata.

L’apertura dello spettacolo è stata affidata all’incredibile Rodrigo Amarante, un cantautore e polistrumentista brasiliano già parte di band come Los Hermanos, Little Joy (con il batterista degli Strokes) e Orquestra Imperial, di cui ha anche presentato un brano.
Armato di una  chitarra anonima e trasandata quanto il suo abbigliamento,  la parvenza sfatta e l’aria stralunata al pari di un barbone appena prelevato da strada per essere piazzato per caso sul palco, Amarante è stato in grado di incantare e tenere in pugno da solo la gremitissima sala fin dalle prime note delle sue ballate.
Parla poco Amarante, ma la sua musica è in grado di dipingere con i pochi movimenti precisi delle corde  melodie e mondi esotici in grado di toccare l’anima anche ad un morto, attraversando ogni cromia dell’emisfero emotivo umano, accompagnando con voce cristallina e vibrante canzoni imbastite su accompagnamenti ingegnosi con naturale maestria e semplicità.

Vi sarete chiesti perché parlo poco. Ma come fate? Sono stato a mangiare e mi hanno portato primo, secondo, terzo, quarto, quinto, poi il tirami su. Ma al posto di tirarmi su…

 

Il nuovo album di Rodrigo si chiama Cavalo. Il cantante, che ha recentemente partecipato al Primavera Sound Festival,  ha rassicurato il pubblico che sul disco ci sono più strumenti ma non troppi.
O Cometa
Nada em vao sono già dei piccoli inni per cuori infranti indie-snob.
Che incredibile e inaspettata apertura: Brasile uno, Stati uniti zero.
La ballad nuovamente al centro.

Per tutti gli appassionati di folk americano Angel Olsen non ha bisogno di presentazioni.
I richiami più diretti della indie rocker di St. Luis possono essere cantanti come Sharon Van EttenCourtney Barnett, ma nel dolce alternarsi di aspre ballad dal sapore country-colto-balera alla Almost Blue e gli episodi più sanguigni e Weezeriani alla Frakie Cosmos/Best Coast come “Forgiven/Forgotten” si percepivano anche sfumature brit alla Camera Obscura e l’eleganza sensuale di Hope Sandoval.

L’attrazione magnetica di Angel è stata in grado di calamitare il pubblico fin dal suo ingresso sul palco. La formazione quella più classica del più classico dei concerti rock, con la chanteuse alla chitarra, la fedele bassista, un batterista essenziale ma adrenalitico, una seconda chitarra ad aggiungere preziose sfumature ai precisissimi e attenti accompagnamenti della front-girl. Il gruppo di Angel Olsen è riuscito a costruire in modo sapiente una dinamica perfetta senza sottrarre forza alla voce della cantante, rivisitando in modo convincente anche i brani più intimisti. L’acclamata “Hi-Five” “High And Wild” forse gli episodi più riusciti, con un giusto equilibrio tra rock e melodie americanissime  a metà tra un Roy Orbison distorto e lisergico e una Chrissie Hynde parzialmente sedata. L’unico brano solistico verrà lasciato per il finale, una coraggiosa prova di sette minuti in grado di mettere in evidenza la conturbante fragilità e il deciso carattere della voce, con un finger-picking mesmerico e una esibizione di grandissima classe in grado di lasciare il segno.

Piccole coriste crescono. Non è passato troppo tempo da quando Angel Olsen era solo una timida e imbronciata seconda voce per LeRoy Bach dei Wilco e Bonnie “Prince” Billy and the Cairo Gang. La cantante è riuscita ad affermare il suo spazio con un sound solido, recentemente rafforzato da una nuova dinamica fatta di beat e distorsioni, encomiabili brani pop e una presenza affascinante e carismatica. Pochissimi i sorrisi  e una richiesta di grappa le uniche parentesi concesse dal palco. “Tornerai a suonare per noi?” le chiedono dal pubblico. “Certo che tornerò”. Per ingannare l’attesa sulla strada di ritorno non mi rimane che riascoltare in loop Unfucktheworld, tenebroso cono d’ombra tra Joan Baez e Lana Fel Rey. Dear Angel, you may not be around.

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Mark Zonda

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Mark Zonda debutta come editor musicale nel 2003 per Ephebia arrivando in breve tempo ad intervistare artisti del calibro di Emiliana Torrini e i Cardigans, non mancando di curare diversi live reports su è giù per l'Italico Stivale. Cercando una voce indipendente gestisce nel tempo i blog 7Sunday5, SleepWalKing (curandone anche un podcast in Inglese settimanale) gestendo un gruppo di scrittori musicali internazionale e Loft80, prima di iniziare la sua collaborazione con Oca Nera Rock. Mark fa inoltre parte di un progetto musicale indie pop chiamato Tiny Tide ed uno più cantautorale a nome Zondini Et Les Monochrome, con il quale è stato candidato al Premio Tenco nel 2013. Nel 2009 fonda l'etichetta KinGem Records. Mark lavora come copywriter e ha pubblicato il romanzo breve "Dodici Venticinque".

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