Cinzella Festival, foto e report del Day 03

Grottaglie (TA), 19/08/2019

Il terzo giorno al Cinzella è targato Afterhours ed è inutile negare che tutti sin dal tramonto aspettiamo la band di Agnelli; spazio prima però a due band sul Cinzella stage: i Sound’s Borderline, giovanissima band di Fasano dalle forti connotazione grunge (un sacco di Soundgarden nei suoni) macchiate di leggera elettronica e i Mother Nature, band evergreen di Taranto (attivi sin dal 1993) fautori di un potente hard rock vecchia scuola.

Sound’s Borderline

Mother Nature

Ci spostiamo al main stage dove prima degli Afterhours ci attende il live interessante e stravagante dei Winstons super trio formato da Dell’Era che questa sera farà la doppietta, Enrico Gabrielli e Lino Gitto.
Sin da subito l’atmosfera intorno a noi si fa molto anni settanta, tentazioni psichedeliche, lo spettro di Syd Barrett, suggestioni prog sullo stile Canterbury: i tre sul palco si divertono tanto e si lasciano andare a suggestioni sonore davvero molteplici.
Gabrielli si alterna tra organo (che durante il secondo brano darà problemi tanto che si rivolgerà al pubblico chiedendo se “qualcuno ha un organo da vendere”) e sax con pura maestria impreziosendo i brani, mentre Dell’Era e Gitto spingono più che mai alternandosi alle voci. 
I brani scorrono veloci legati uno all’altro e chiudendo gli occhi potremmo, tranquillamente, immaginare di essere in un raduno rock di tanti anni fa, immerso tra i figli dei fiori.
Poco prima che l’esibizione finisca i nostri ci regalano una cover magistrale di “Golden brown” che mette i brividi, cosa che apprezzo molto. Chiudono il live con “Nicotine Freak” e lasciano il posto ai tanti attesi Afterhours.

Cosa posso raccontarvi del live degli Afterhours?
Vi giuro che mi ero appuntato un sacco di cose sul cellulare, volevo fare uno di quei live report precisi e puntuali ma credo che non sarebbe la cosa giusta da fare, non renderebbe giustizia a quello che io, personalmente, ho visto su quel palco ieri e quello che ho sentito nello stomaco: quasi tre ore di live, adrenalina continua e costante, sei musicisti perfetti e convinti di quello che giorno dopo giorno fanno nella loro vita, un pezzo di storia musicale italiana combattuta e vissuta e un pezzo della mia vita! Forse questa volta sarò di parte, sarò poco professionale ma voglio raccontarvi e raccontarmi quello che ho sentito sottopelle.

Sul fondale, alle spalle della band, troneggia un angelo della morte a fare da custode allo spettacolo che parte senza troppi fronzoli con “Rapace” che ci gela subito il sangue, non ce lo aspettavamo ed è tutto bellissimo, seguono veloci i brani che hanno segnato più generazioni underground italiane “Male di Miele”, una splendida “Strategie” che non sentivo da troppo tempo, “Ossigeno” e “Germi” che per molti tra il pubblico è una vera e propria liberazione. Prima di “Non voglio ritrovare il tuo nome” Manuel introduce il brano parlando di sogni “ho combattuto tutta la vita per poter fare quello che faccio e in questo paese non è per niente facile… quando vi rubano i sogni è brutto ma quando siete voi stessi a rubarveli è terribile” il resto è pura poesia.

Quando siamo stati invitati al festival di Sanremo abbiamo scoperto però che c’era anche qualcosa di bello nel nostro paese nonostante fosse una merda, in realtà non avevamo visto quello che sarebbe successo dopo” queste parole annunciano “Il paese è reale” brano quanto mai profetico, sul quale tutti urlano e si liberano da tutte le tossine costretti ad ingoiare giorno dopo giorno. “Bianca” è pura apoteosi, seguono una splendida “Oppio” e “Cetuximab” inno alla follia noise e all’improvvisazione, sorta di delirio collettivo sul palco in cui soprattutto le chitarre di Xabier Iriondo e Stefano Pilia si lasciano andare come non mai e molti vorremmo non finisse mai!
Spazio anche all’ultimo disco della band da cui viene scelta una commovente “Grande”, “Ti cambia il sapore”, Nè pani né pesci”, e “Se io fossi il giudice”.
Immancabili dei brani diventati oramai dei classici collettivi come “Non è per sempre” , “Ballata per la mia piccola iena” e “La sottile linea bianca”.
Tutto viene però suonato con una nuova forza e una nuova linfa vitale, Manuel Agnelli lo aveva annunciato all’inizio del concerto: “è bellissimo che voi siate qui in tanti, noi ormai viviamo alla giornata non diamo più nulla per scontato”. Queste parole trovano conferma da quello che vediamo sul palco, una band che regala tutto quello che ha dentro e che vive fisicamente brano dopo brano lo show.
Si chiude il concerto con “Il sangue di Giuda” vera e propria esplosione finale, ma è solo uno scherzo, la band non regalerà un bis al pubblico in sala, molto numeroso, ma ben tre, lasciandoci sempre più felici ed emozionati e consapevoli che quello che stiamo vivendo questa sera non è roba da tutti i giorni ma è qualcosa di più: è resistenza, è vita è voglia di testimonianza.
Nel primo bis siamo travolti da “Le verità che ricordavo” e da un Agnelli a torso nudo che sembra non essere mai invecchiato e che mentre fa roteare in aria il microfono orchestra tutta la voglia di urlare del pubblico in sala; “La vedova bianca” mette i brividi come sempre ma è una inaspettata “Bunjee jumping” che mi fa davvero venir voglia di pogare come quando ero uno stupido adolescente con la maglia dei Ramones. Si chiude il lotto con l’immancabile mantra di “Bye bye Bombay” con Agnelli che affida al pubblico il compito di cantare gran parte del ritornello.
Ma signori non è ancora finita: fuori un’altra volta per regalarci quella preghiera pagana che è “Quello che non c’è” e un omaggio sentito e riuscito per l’anniversario della scomparsa di Kurt Cobainsapete chi è Kurt Cobain vero? Mi è capitato di dover suonare in piazza a Roma e nessuno lo conosceva. Quando è morto Kurt Cobain abbiamo capito che era davvero tutto finito e che niente sarebbe cambiato anche se ci eravamo illusi!” queste le parole prima di un’esplosiva versione di “You know you’re right”.
Dalle quinte i tecnici avvicinano un piano per Manuel che si lascia andare anche a un simpatico siparietto mentre “litiga” con gli effetti: “c’è sempre Elton John che si insinua da qualche parte!” e “potete gentilmente togliermi questo effetto frocio, non che ci sia niente di male eh”.
Ci sono molti modi” sembra essere la chiusura perfetta per questa splendida serata ma non sarà così, la band esce una terza ed ultima volta e ci saluta con “Voglio una pelle splendida” inno di quello che potevamo essere, di quello che avremmo voluto e di quello che ci è rimasto.

Manuel Agnelli è una persona fantastica, pochi avrebbero avuto il coraggio di fare tutto quello che ha fatto e pochi in realtà hanno costruito e regalato a questo paese di merda tanta bellezza e questa sera ce lo ha voluto, semplicemente, ricordare abbracciandoci tutti.


Ph. © Domenico Giovane

 

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