Battles live a Milano: la scomposizione del suono

Appuntamento ai Magazzini Generali di Milano, il 29 marzo, per la prima di tre date in Italia per i Battles, il trio newyorkese il cui stile musicale è arduo da inquadrare e definire, che ha pubblicato da pochi mesi il terzo LP “La Di Da Di”. Nella leg italiana del loro tour il cartellone prevede per tutti i loro concerti il supporto di Kaitlyn Aurelia Smith e dei Niagara, tre act al prezzo di uno. Ricorrente e ridondante nella descrizione di questo evento, il tre è il numero della perfezione. Il candidato (o inviato?) di Oca Nera Rock ha il compito di dimostrare musicalmente l’affinità dei Battles a questo concetto di perfezione.

Prima apertura: dagli Stati Uniti, Kaitlyn Aurelia Smith. Un tavolone, una console, in perfetta solitudine la ragazza cresciuta nello stato di Washington porta un suono elettronico quasi totalmente privo di ogni forma di basso, un tentativo di ipnosi che sfiora pericolosamente le tonalità new age, e che risulta molto accattivante quando percorre sentieri più rumorosi. Il fumo in attesa dell’arrosto, nel contesto della serata ci sta.

Kaitlyn Aurelia Smith - Milano

Seconda apertura: i Niagara hanno fatto meno strada, arrivando da Torino, ma non per questo sono meno bravi. Funzionano un po’ da prova generale per l’esibizione di chi verrà a seguire, presentandosi in tre, con una batteria al centro del palco, riscoprendo l’uso della cassa e aggiungendo la voce, o qualcosa ad essa riconducibile. Ci si accorge che la musica sta cambiando dalla prime battute, il suono è nevrotico e a tratti legato dal concetto di tempo, si spostano anche su atmosfere vagamente rilassate e balneari, scaricando tutta l’aggressività sul pezzo finale. L’aperitivo ai Battles viene così servito, e pure apprezzato.

Niagara - Milano

Ancora una batteria al centro del palco, su cui svetta un piatto altissimo, e tutto intorno un universo di strumenti e strumentazione. I Battles sono una sommatoria di elementi, di suoni musicali, di musicisti con altre carriere alle spalle, di generi tra loro diversi, e l’ingresso sul palco a rate chiarisce ancor meglio questo concetto. Quando i termini della somma algebrica sono tutti al loro posto, ha inizio il suono quasi tropicale di ‘Dot Com‘, una musica felice dalle tonalità acide e in levare. Grandi legnate sulla batteria, un po’ scenografiche ma non per questo meno violente, per ‘Ice cream‘, che si chiude con una sorta di pestaggio a mano armata -di bacchetta- all’altissimo piatto.

L’inizio dei Battles è molto caldo, il suono è sperimentale ma l’approccio è quasi tradizionale. Ma c’è sempre spazio per l’artefatto, ‘Futura‘ ne è un esempio, un visibilio di suoni elementari che ad un certo punto vengono portati via dal suono di fondo che sale, come se stessimo guardando un kolossal e fosse giunto il momento del climax. L’inizio di ‘HI/LO‘ è alieno, la batteria ridà umanità al tutto, le chitarre sono pulite e hanno un suono quasi amichevole. Un pezzo dalla struttura schematica che si chiude con una tastiera dalle fattezze quasi progressive.

Battles - Milano

È talmente facile da sembrare quasi banale definire ‘Atlas‘ come il momento più alto di tutto il concerto dei Battles. Il problema è che non esiste un altro modo per descrivere quello che è successo, è un manifesto che racconta la costruzione della musica, la generazione della sintesi. È un inno alla scomposizione del suono, una salita in progressione a cui si aggiungono elementi su elementi, fino a raggiungere il suono definitivo e pieno. Il pubblico di Milano bolle, serve ‘Summer simmer‘ a portare un po’ di freddo, con un po’ di richiami passatisti, per chiudere la scaletta.

Ancora l’ispirazione matematica dei Battles riapre l’encore, ‘B+T‘ viene costruita su suoni puntiformi, come una semplice addizione di elementi semplici. Più complesso, oltre che compresso e dai suoni quasi esausti, il gran finale di ‘The Yabba‘. Gli amplificatori sono ingolfati, l’incedere è marziale, si passa attraverso un secondo attacco violento del pezzo, un intermezzo di sola compressione e un finale con un suono a spirale.

Impeccabili nell’esecuzione, eppure per niente freddi, con nove pezzi (cioè tre pezzi al quadrato, ovviamente) i Battles prendono il suono, lo smantellano e lo ricostruiscono, un lavoro che appare aritmeticamente semplice nei modi e che porta a un risultato strutturato e sfaccettato. Concetti che si imparano ad un concerto dei Battles: c’è del rock, e nemmeno poco, anche nella sintesi dei suoni.


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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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