Trent’anni di evoluzione, lunga vita ai Marlene Kuntz

I Marlene Kuntz sono un pezzo di storia dell’alt rock italiano, ma questo status non li ha fatti mai sentire appagati.
Recentemente sono tornati sui palchi portando in giro per l’Italia il tour “30:20:10 MK
2″ , che in una sola formula celebra una serie di anniversari importanti.
Ne abbiamo parlato con Riccardo Tesio, chitarrista del gruppo.
A lui abbiamo chiesto come si riesce a trovare, tra incroci buoni e scelte difficili, la forza e la voglia di raccontare ancora il mondo circostante – ma soprattutto quello interiore.

Il tour “30:20:10 MK2 ” vede una serie di anniversari legati ai numeri, ma cosa significano 30 anni di carriera per i Marlene Kuntz?
A trent’anni si è maturi o c’è ancora spazio per indagare nell’identità di un progetto per trovare nuove strade da percorrere?

I trent’anni di Marlene Kuntz sono innanzi tutto i nostri trent’anni insieme, quindi sì, il percorso artistico ma anche umano di tre persone.
A me piace parlare di percorso, che è sempre stato di ricerca ma non ricerca della “maturità” bensì sperimentazione, sviluppo, confronto, sfida.
Quindi sì, abbiamo ancora molte nuove strade possibili da percorrere, e lo stiamo già facendo.

In questi trent’anni com’è cambiato il panorama circostante rispetto agli inizi?  

Sono cambiate ovviamente moltissime cose, le più importanti sono quelle derivate dalla diffusione di Internet.
Il fenomeno più importante ed evidente è il cambiamento della distribuzione della musica: in questi anni abbiamo assistito alla morte del vinile, dell’audiocassetta, del CD – ed infine alla parziale rinascita del vinile.
In parallelo abbiamo assistito alla nascita e morte dei CD masterizzati e del download digitale (legale ed illegale) mentre in questi ultimi anni viviamo invece il boom dello streaming.
Questo cambiamento ha ovviamente “ribaltato” le case discografiche, ma anche il modo di ascoltare la musica per quasi tutti noi: il fatto di poter accedere a tantissima musica, senza difficoltà, ha reso gli ascolti mediamente più veloci e superficiali.
Un altro cambiamento importante è legato alla diffusione dell’informazione musicale: informazione che anni fa passava soprattutto tramite le radio, le riviste di settore e le fanzine; poi i canali televisivi musicali (Videomusic e MTV).
Ora invece i mezzi di comunicazione principali sono i “social” e ci si aspetta una comunicazione diretta con l’artista.

E quanto sono cambiati i Marlene Kuntz rispetto a tutto questo?

Quest’ultimo punto è forse quello che più ci ha cambiati, o meglio, che ha cambiato il nostro modo di lavorare.
La comunicazione diretta e frequente con il nostro pubblico – mediata dalla tastiera di un computer – è favolosa ed interessante, ma molto spesso anche impegnativa e frustrante.
E toglie molto tempo all’attività puramente creativa.

All’interno del vostro percorso artistico ci sono tappe che rappresentano una sorta di spartiacque?
Ripenso alle dichiarazioni sul tour con cui portavate in giro il disco “UNO”.

Non riesco a vedere degli “spartiacque” lungo il nostro percorso, sicuramente però non è stato un percorso perfettamente lineare, anche perché stiamo parlando di un arco temporale lungo trent’anni. Siamo persone curiose, questo significa anche sperimentare nuovi percorsi che possono poi rivelarsi non del tutto soddisfacenti.
Ma quando si sperimenta è una eventualità che si mette in conto.

“Ho ucciso Paranoia” compie 20 anni e la celebrazione di questo disco è stata anche l’idea alla base del format che avete portato sui più importanti palchi italiani.
Com’è nato il “concerto doppio”?

L’idea del concerto doppio non ha a che fare con “Ho ucciso Paranoia”, piuttosto con la dualità che il progetto Marlene Kuntz ha avuto fin dall’inizio, a partire dal nome stesso: i Marlene sono sempre stati dolcezza e poesia ma anche ruvidità ed assalto.
In questo tour abbiamo deciso di esplicitare questa doppia essenza distinguendola in due momenti ben precisi: il primo acustico, in cui suoniamo alcuni dei brani più adatti ad essere trasposti in forma “intima”, ed il secondo elettrico, dove sprigioniamo la consueta energia rock che contraddistingue i nostri live.
Anche dal punto di vista visivo, abbiamo incaricato due artisti diversi per curare i visual che vengono proiettati alle nostre spalle durante i due momenti.

Rispetto agli inizi, e dati i 30 anni di carriera, com’è cambiato il vostro approccio alla scrittura delle canzoni?
Dove si trova e come si lavora sull’ispirazione e sulla scrittura cercando di non ripetersi?

Quello che è cambiato in questi anni è che abbiamo sempre aggiunto nuovi approcci alla scrittura al nostro armamentario, approcci che facciamo spesso ruotare o rimescolare.
Si va dal songwriting solitario all’improvvisazione tutti insieme, dall’utilizzo di batterie elettroniche alle percussioni africane, dall’acquisto o noleggio di nuovi strumenti musicali (anche quelli che non sappiamo suonare) al cambio di accordature delle chitarre, dall’autoproduzione alla collaborazione con altri musicisti ed arrangiatori.

Come vi rapportate al cataclisma che i social e lo streaming hanno portato nel mondo della musica?
Ha cambiato in qualche modo il vostro approccio al vostro mestiere o il vostro pubblico?

Il “cataclisma”, come lo chiami tu, ha sicuramente cambiato il nostro modo di essere musicisti.
L’aspetto più evidente è che da ormai molti anni è richiesto che il musicista sia sempre presente sui social.
Questa attività ci assorbe molta energia e tempo che prima potevamo dedicare alla musica.
I social, che all’inizio sembravano molto “democratici”, sono diventati entità gestite da algoritmi che decidono che cosa farci e che cosa non farci vedere.
Siamo tutti totalmente in balìa di software scritto da poche multinazionali americane, una situazione molto preoccupante!
Siamo tornati ad un sistema che premia chi può permettersi di spendere denaro, e “punisce” tutti gli altri.
Quando cerchiamo qualcosa su internet gli algoritmi ci mostrano per primi i risultati in qualche modo simili alle nostre ricerche fatte in precedenza…se questo aspetto è a volte comodo, da un altro punto di vista crea delle “bolle autoreferenziali” che ci nascondono quello che succede al di fuori: abbiamo la sensazione di avere tutto il mondo a disposizione, sotto i nostri polpastrelli, ma in realtà il raggio d’azione è piuttosto limitato.
Senza parlare delle – ben più gravi –  interferenze politiche e di opinione.
Parlando proprio dello streaming, come forse saprete sta riportando un po’ di denaro nelle casse delle case discografiche.
Quel denaro arriva per la maggior parte dagli ascolti fatti dagli adolescenti, che passano ore su YouTube ed affini ad ascoltare la musica.
Quindi l’obbiettivo attuale delle case discografiche è – principalmente – intercettare i gusti degli adolescenti; mentre qualche anno fa i target erano le persone più adulte, che potevano permettersi di spendere per acquistare gli album senza particolari difficoltà.
Possono sembrare piccole cose ma spiegano perché gli investimenti discografici (e le proposte rivolte al pubblico) vanno verso prodotti dal contenuto (musicale ma anche testuale) di un certo tipo.
Il nostro pubblico?
Inevitabilmente, il “cataclisma” è un fenomeno che ha cambiato un po’ tutti gli appassionati di musica, anche se alcuni dei nostri ascoltatori non si sono fatti influenzare: persone poco o niente “social” che ascoltano la musica su vinile.
La differenza principale credo che sia legata alla facilità di accesso alla musica: poter avere così tanta musica a disposizione, immediatamente e a costo quasi zero, è ovviamente fantastico.
Che cosa si è perso, però?
L’acquisto dell’album, proprio perché aveva un costo e richiedeva un impegno, era molto più ponderato.
Ci si informava, si chiedevano consigli, si ragionava.
E poi l’album appena acquistato veniva ascoltato più volte, proprio perché frutto di uno sforzo.
Di conseguenza la conoscenza musicale era magari meno ampia, ma molto più approfondita.
Adesso, per la maggior parte delle persone, è tutto più superficiale.

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