The Return of The Gods, il ritorno dei Pantera
Ad una sola settimana di distanza dalla prima edizione del Knotfest Italy (qui il report, ndr), Bologna si riaccende sotto le luci del metal in una giornata particolarmente infuocata, pronta ad ospitare un altro grandioso evento, il Return Of The Gods, con gli incredibili Pantera in veste di headliner e di ritorno in Italia dopo 23 anni dalla loro ultima performance (la band, in formazione originale con i fratelli Abbott, suonò due sole date nel maggio del 2000 al FilaForum di Assago e al BPA Palas di Pesaro, ndr).
Complice lo show dei Rammstein del giorno precedente a Padova, in molti si erano chiesti sin dal primo mattino in quanti avrebbero presenziato a questa succulenta data e la risposta ci verrà fornita solamente in tarda serata, quando il collinone dell’Arena Parco Nord inizierà a riempirsi di persone, così come il gold circle che, lentamente, inizierà ad ospitare sempre più gente a partire dal tardo pomeriggio, dopo la parentesi live degli Elegant Weapons.
Sarò sincera, in realtà ad annuncio effettuato da Vertigo non sapevo cosa mi sarei potuta aspettare da un evento di una simile portata, in quanto, come già stato detto in passato, non parliamo dei Pantera originali per ovvie ragioni, ma nemmeno di una “cover band”, come è stata etichettata più e più volte.
Sebbene la formazione abbia visto anche la partecipazioni di altri due innesti importanti, quali Zakk Wylde alla chitarra e Charlie Benante alla batteria, lo show offerto a Bologna è stato un grandioso successo, con oltre 12 mila partecipanti presenti ad un’occasione che – diciamocelo – potrebbe essere difficilmente replicabile.
Sadist
Rispetto alla settimana scorsa, dove la lunga attesa di fronte al cancello comune aveva comportato uno slittamento di circa un’ora per l’apertura porte, a questa nuova occasione la prima cosa che salta subito all’occhio è l’assenza totale di una coda chilometrica lungo tutta via Ferrarese.
Al mio arrivo, infatti, ritrovo all’ingresso principale solamente la security che, prontamente, ha smistato gli addetti stampa e i fotografi nelle rispettive sezioni e, solamente varcata l’arena dopo gli adeguati controlli di sicurezza, noto come, ahimé, l’area sia pressoché vuota.
Sarà forse l’orario, ma rispetto alla domenica precedente, qui la gente sembra volatilizzata.
Sono circa le 12.10 quando la prima band è chiamata a fare il proprio ingresso sul palco: esattamente come succedeva circa un anno fa al Rock The Castle di Villafranca di Verona, anche quest’anno i Sadist sono i prescelti ad aprire le danze a questo nuovo festival. Mezz’ora è il tempo messo a disposizione per la band genovese che, di fronte ad un pubblico non ancora numeroso (d’altronde, la band ha suonato circa a mezzogiorno, certamente un orario non propriamente consono), non si è lasciata scoraggiare e ha proposto un buon set composto da appena sei brani.
Nulla è cambiato rispetto all’ultima esibizione italica dei nostrani: Trevor è, come sempre, un frontman eccezionale e nel suo piccolo è in grado di coinvolgere quei pochi astanti già predisposti nell’area gold, incitandoli ad una maggior partecipazione.
Ottime anche le prestazioni di Talamanca che, come sempre, si divide tra chitarra e tastiere, accompagnato dal bassista Davide Piccolo e dal batterista Giorgio Piva, il cui lavoro dietro le pelli è decisamente imponente.
Unica pecca, che sarà ahimé una costante fino a metà pomeriggio, la mal calibrazione dei suoni, forse un po’ bassi o impastati che non ha permesso di godere a pieno della bella performance del quartetto genovese.
Un peccato, ma siamo certi che ci rifaremo molto presto, magari con qualche canzone in più in scaletta.
Vektor
Molto si è parlato lo scorso anno dei Vektor.
Oggetto di cronaca a causa di alcune pesanti accuse di violenza domestica a carico di David DiSanto che ha portato anche ad una rescissione del contratto con una delle maggiori potenze in ambito musicale (Century Media Records), la band americana calca il palcoscenico bolognese poco dopo le 13.
Il sole picchia molto forte, molto di più rispetto alla settimana precedente e questo causerà durante la giornata diversi malori tra il pubblico, creando così un continuo afflusso tra il sottopalco e l’infermiera posta nell’area.
La band, però, sfida le temperature ostiche di questa caldissima giornata e attacca il proprio set sulle note di ‘Charging The Void‘.
Anche per il quartetto di Tempe la situazione acustica non risulta tra le migliori: la voce del frontman non è decisamente pervenuta, forse a causa, appunto, della mal calibrazione di cui parlavamo pocanzi, così come le chitarre e la batteria, che qui risulta un po’ troppo debole.
Sarà, forse, anche a causa della posizione in cui la sottoscritta si trovava, ma il set offerto dai nostri risulta un po’ troppo piatto, sebbene stiamo parlando di una formazione thrash metal storica, con un bagaglio ed una esperienza musicale molto importante.
Il set, inoltre, è assai breve rispetto ad altri contesti live e si sviluppa in meno di 30 minuti, presentando solamente quattro brani, ma vista la consistenza considerevole della scaletta, che si aggira dai 5 ai 9 minuti a pezzo, non possiamo lamentarci più del dovuto.
Fleshgod Apocalypse
Sono passate da poco le 14 ed è con l’ingresso dei Fleshgod Apocalypse che l’atmosfera si scalda ulteriormente.
Considerati da sempre come “il nostro orgoglio internazionale”, la band perugina sfida anch’essa l’ora più calda della giornata, tutta ornamentata dai bellissimi abiti di scena e sferra un attacco micidiale con ‘Fury‘.
Appena calcate le assi dell’Arena, salta subito all’occhio un fattore importante: la formazione è, ahimè, ridotta a cinque elementi anziché 6, come da prassi.
Come era stato precedentemente noto, lo storico bassista Paolo Rossi non ha preso parte alle ultime date del tour della band a causa di alcuni impegni di carattere personale (recentemente lo stesso musicista ha annunciato il suo imminente matrimonio, ndr) ed era stato sostituito da Ludovico Cioffi (Nightland, The Modern Age Slavery, Suns Of The Suns), anch’essi assente in questa particolare ed importante data a causa dei suoi relativi impegni con i Delain, band che recentemente lo ha ufficializzato in pianta stabile in veste di nuovo bassista.
Al basso, quindi, troveremo lo stesso frontman Francesco Paoli, che nonostante la fama di incredibile batterista e chitarrista, in questa occasione farà sfoggio delle sue straordinarie capacità tecniche in veste di polistrumentista.
Presente anche la bravissima Veronica Bordacchini, assente alla sua ultima partecipazione al Luppolo In Rock lo scorso anno, che in questo frangente si è ritagliata un particolar spazio, tanto che la sua voce sarà l’unica a farsi sentire.
La problematica legata all’acustica, purtroppo, è ancora persistente ed i suoni malcalibrati non hanno permesso un ascolto ben definito in questa nuova sede live, penalizzando non poco la performance del combo perugino che, nonostante la grossa pecca, ha saputo regalare un ottimo set che, per l’occasione, ha voluto tributare quel capolavoro di “Agony”, album uscito nel 2011, di cui sono state eseguite ben tre canzoni sulle nove presenti in scaletta.
Non sono ovviamente mancati anche altri grandi classici, quali ‘Minotaur (The Wrath Of Poseidon)‘ e, ancora, ‘Sugar‘, che ha fatto felice la frangia più giovane della band.
La performance, bella concitata e possente, viene ahimé interrotta da un annuncio inaspettato: come un fulmine a ciel sereno, l’organizzazione ha comunicato l’inattesa cancellazione dello show dei Behemoth, causando non poco disappunto in tutti quei fan che erano accorsi proprio per vedere Nergal e soci sul palco dell’Arena Parco Nord.
La cancellazione, stando al comunicato ufficiale, è stata necessariamente dettata a seguito di diversi ritardi accumulatisi all’aeroporto di Varsavia sin dalla prime ore del mattino: i tre musicisti polacchi, infatti, recatisi all’imbarco hanno subito diverse cancellazioni, ora dopo ora e, non trovando una soluzione alternativa che potesse portarli in Italia poco prima dello show, ha giustamente pensato di annullarne lo svolgimento.
Una decisione, questa, che ha avuto un grosso peso, sia sull’organizzazione, impossibilitata a chiamare un’altra band “last minute”, cosa che invece accadde, ad esempio, lo scorso anno al Luppolo In Rock (gli organizzatori dell’evento riuscirono in meno di poche ore a trovare dei validi sostituti e i Katatonia, headliner della seconda serata, vennero sostituiti dai nostrani Fleshgod, ndr), sia sulle band stesse che sul pubblico.
Infatti, proprio le ultime tre band in cartellone, per non deludere gli astanti, hanno allungato i propri set di venti minuti, proponendo così un’ora e mezza di show circa.
Un grosso peccato, ahimè, ma siamo certi che la band polacca avrà modo di rifarsi in futuro.
Coroner
L’unico ritardo in giornata arriva a ridosso dell’esibizione dei Coroner.
La band di Tommy Vetterli e Ron Broder calca il palco con una mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia.
Forse tra tutte le band, insieme agli Elegant Weapons di cui parleremo a breve, è stata tra le più penalizzate, vuoi perché suonare dopo un annuncio importante come quello della cancellazione dei Behemoth, con gli animi belli accesi degli astanti, non deve essere stato facile e, in secondo luogo, perché le temperature fino a poco prima delle 20 non hanno mai accennato a calare.
In tanti, infatti, dal gold circle si sono spostati sul collinone posto dietro al mixer, con la speranza di godere di una piccola pausa d’aria fresca, cosa che, più o meno, è avvenuta a momenti alterni, dando così a molti la possibilità di riprendere fiato, letteralmente.
60 minuti è la tempistica sulla quale si svilupperà il set del combo di Zurigo, che ripercorrerà principalmente due album, “Mental Vortex” e “Grin”, usciti rispettivamente nel 1991 e 1993.
Una scelta, questa, del tutto comprensibile, dal momento in cui la band elvetica non ha più pubblicato album in questi ultimi 30 anni e tale scelta sembra far felici gli astanti che esternano il proprio entusiasmo cantando tutti i brani in scaletta, dalla prima all’ultima nota.
Precisione chirurgica e attitudine da “duri” non rende, però, giustizia alla vetrina live del combo svizzero, lasciando la sottoscritta visibilmente scettica: sarà che dalla postazione in cui mi trovavo i suoni erano più equilibrati rispetto a sottopalco, ma l’impressione comune a molti altri astanti presenti è che il set fosse abbastanza monocorde, pressoché identico. La band, inoltre, è apparsa decisamente statica onstage, gli stessi membri sono stati tutti fermi nelle rispettive postazioni senza concedere la benché minima interazione con il pubblico, ad eccezione forse di un breve scambio di battute tra Broder e, appunto, gli astanti durante l’esecuzione di ‘Serpent Moves‘.
Rimandati, al momento, con la speranza di poter vedere la band elvetica in un contesto più lungo e diverso.
Elegant Weapons
Con l’arrivo onstage degli Elegant Weapons si cambia registro.
Il super gruppo formato da Richie Faulkner (Judas Priest), Ronnie Romero (ex- Lords Of Black, Coreleoni), Dave Rimmer (Uriah Heep) e Christopher Williams (Accept) è stato, forse, l’unica band fuori dal coro all’interno di un bill pensato per accontentare anche la frangia più “generazionale” presente all’arena.
Molti, infatti, erano venuti principalmente per attendere le rispettive performances delle ultime tre band del cartellone, ma nel complesso, il risultato è stato piacevole.
Anche per loro, viene riservata un’ora abbondante di show, nella quale i nostri presentano una grossa fetta dell’album di debutto “Horns For A Halo”, uscito a maggio su Nuclear Blast.
Dieci sono le canzoni che si alterneranno una dietro l’altra, senza troppi intermezzi, a cui verrà ceduto uno spazio anche a ‘Lights Out‘ degli Ufo.
Il set qui proposto suona maledettamente old school, nonostante la formazione sia nata solamente un anno fa, ma l’expertise di ciascun musicista rende il tutto decisamente più interessante e mai monocorde.
Ad attirare, inoltre, (quasi) tutta l’attenzione su di sé è proprio l’axe man dei Priest: gli occhi, infatti, sono tutti puntati su di lui, sulla sua precisione e sulla sua strabiliante padronanza tecnica che, ad oggi, lo rendono uno dei migliori chitarristi in circolazione.
Lo stesso, inoltre, poco prima della chiusura del set, affidata a ‘War Pigs‘, celebre brano dei Black Sabbath, “omaggerà” il nostro paese intonando una sequela di imprecazioni che ha fatto la felicità di molti astanti.
Decisamente promossi questi Elegant Weapons, da rivedere certamente anche in altri contesti.
Kreator
Il momento cruciale della serata arriva con l’esibizione allungata dei Kreator, a cui è stata dedicata ben un’ora e mezza, vista la defezione precedentemente annunciata dei Behemoth.
A distanza di appena un anno dalla loro ultima calata italica, i tedeschi tornano live e, anche questa volta, portano con sé quella sana dose di cattiveria e aggressività che va ad insaporire ulteriormente un bill già di per sé molto gustoso.
La scenografia è la stessa utilizzata al Rock The Castle lo scorso anno, con manichini impalati vestiti di rosso ed un enorme telone nero che richiama in parte la copertina dell’ultimo album della band, “Hate Über Alles”, uscito l’anno scorso su Nuclear Blast.
Certo, assistere ad una scenografia così imponente a cavallo del tramonto non fornisce una resa massima come potrebbe succedere in un contesto più notturno, ma i Kreator sanno perfettamente come concitare adeguatamente gli animi belli accesi degli astanti, pronti ad esplodere sulle note dell’omonima traccia di apertura, seguita da ‘People Of The Lie‘ e da un breve accenno di ‘Awakening Of The Gods‘, a cui si sussegue un’infervorata ‘Enemy Of God‘.
Ottima anche la prestazione del “nuovo” innesto Frédéric Leclercq, il cui battesimo in terra italiana era avvenuto proprio un anno fa a Villafranca di Verona, ora perfettamente integrato nel gruppo, il quale attesta di sapersi destreggiare in passaggi ben elaborati e regalare sferzate cattive al basso, dimostrandosi di essere decisamente all’altezza della situazione.
Nei novanta minuti concessi, il quartetto di Essen opta per una scaletta bella articolata che ripesca a piene mani brani da “Gods Of Violence” ed “Extreme Aggression”, di cui verranno presentati alcuni pezzi da novanta, quali ‘Hail To The Hordes‘, ‘Satan Is Real‘, ‘Betrayer‘ e l’omonima titletrack, alternati ad altri grandi classici, come ‘Phantom Antichrist‘, ‘Flag Of Hate‘, ‘666 World Divided‘, per citarne alcuni.
Una parentesi a parte verrà dedicata proprio agli amici Behemoth con l’esecuzione di ‘Strongest Of The Strong‘, quasi a voler augurare ai polacchi di non mollare ed andare avanti a muso duro.
Come da prassi, non mancano anche i momenti goliardici da parte del pubblico che si cimenta in vari circle pit, che sollevano da terra diversi polveroni, e regalano diversi sorrisi sul viso di Mille Petrozza, sornione e contento di assistere a così tanta voracità da parte di coloro che, pazientemente, hanno atteso il loro ritorno in Italia.
Anche questa volta i Kreator hanno regalato l’ennesima dimostrazione di uno show con i fiocchi, fatto di cattiveria, ferocia e quel pizzico di aggressività che ci si aspetterebbe da un contesto del genere.
Pantera
Dopo un’estenuante lotta contro il caldo, vero protagonista di questa giornata di luglio, il sole cede finalmente il passo a temperature più vivibili.
Il tramonto è dietro l’angolo e la crew posta sul palco si appresta a preparare l’imperiosa scenografia che i Pantera utilizzeranno da lì a breve.
Un enorme tendone nero raffigurante il logo della band viene calato per nascondere, appunto, il lavoro dietro le quinte, alimentando così l’enorme eccitazione dei fan presenti a questa particolare occasione.
I nostri sanno come farsi desiderare ardentemente e, per scaldare maggiormente gli animi e – diciamocelo – far scendere anche qualche lacrimuccia ai più nostalgici, decidono di trasmettere sui tre maxi schermi posti sul palco alcuni video inediti che ci mostrano i fratelli Abbott, Rex Brown e Phil Anselmo nel loro periodo di massimo splendore, quello di “Vulgar Display Of Power”.
Ed è proprio “Vulgar Display Of Power” a dare inizio alle danze con una coppia di pezzi da novanta: ‘A New Level‘ e ‘Mouth For War‘ incendiano letteralmente il palco, anche grazie ad una scenografia che vede dislocate lungo l’area alcuni bidoncini dai quali fuoriescono impetuose fiamme.
Non lo negherò: essendo nata a fine degli anni ’80, per me vedere anche seppur parzialmente una formazione che ha segnato un’epoca e un’intera generazione, è stato come un sogno che si è avverato, specialmente perché quel disco è stato l’album per eccellenza, quello che mi fece entrare in contatto con la cattiveria e la brutalità di Anselmo, dei tecnicismi di Dimebag, dei giri di basso ipnotici di Rex e delle sferzate di batteria di Vinnie.
Ahimè, i tempi sono purtroppo cambiati, due dei membri storici non ci sono più, sebbene le loro anime questa sera siano sempre state al nostro fianco, al loro posto troviamo due validi sostituti, Zakk Wylde e Charlie Benante che, nonostante l’importante ruolo che andavano a ricoprire, hanno saputo regalare uno show degno di nota e, soprattutto, all’altezza della situazione, nonostante le malelingue ne abbiano solamente evidenziato i difetti (inesistenti).
Essendo questo un evento di grossissimo spessore e di altissimo livello, la band americana punta il tutto e per tutto sui due dischi storici per eccellenza, tra cui il già sopracitato “Vulgar Display Of Power” (di cui verranno presentati ben cinque pezzi) ai quali si alterneranno altri grandissimi e graditissimi classici, come ‘5 Minutes Alone‘, ‘Becoming‘, ‘I’m Broken‘ e ‘Strenght Beyond Strenght‘, tratti da un altro album monumentale, “Far Beyond Driven”.
L’atmosfera è bella caliente, ciascun astante presente canta a squarciagola ogni singolo brano, accompagnando zio Phil per tutti i novanta minuti di esibizione.
Nonostante i diffidenti abbiano più e più volte sottolineato l’impossibilità di Anselmo nel raggiungere note alte e di aver abbassato di qualche tonalità tutta la scaletta per non rovinarsi eventualmente le corde vocali, possiamo fieramente attestare di non aver mai riscontrato una sola pecca.
Certo, Anselmo non ha più 25 anni, la sua voce, con gli anni, è mutata insieme al suo corpo, ma zio Phil ha saputo tenere alta la sua incredibile performance e, diciamocelo, anche quell’attitudine di cattivo ragazzo, etichetta cucitagli addosso proprio dagli anni ’90 e anche ancora, fieramente, si tiene stretta.
Una piccola pecca, ahimè, che mi sento di evidenziare arriva a metà set: sulle note iniziali di quel capolavoro assoluto chiamato ‘Cemetary Gates‘, gli occhi di molti spettatori iniziano a diventare lucidi, in quanto sui mega schermi appaiono le scritte «Dime / Vinnie», mentre sullo schermo posto dietro la batteria di Charlie Benante si susseguono immagini raffiguranti, appunto, i fratelli Abbott.
Ma è appena terminato l’intro che l’emozione di sentire live questa meraviglia cede il passo alla delusione più totale, in quanto la band ha optato per l’esecuzione di una celebre cover dei Black Sabbath, ‘Planet Caravan‘, vanificando quindi il desiderio di molti fan, inclusa la sottoscritta, di poter sentire live il suddetto omaggio ai due musicisti scomparsi. Una scelta, questa, che personalmente non ho ben compreso: c’è chi ha additato Anselmo accusandolo di «non avere più la voce di una volta», quindi si sarebbe risparmiato figuracce ed imbarazzi inutili puntando a canzoni più nelle sue corde.
E chi, invece, semplicemente è andato oltre, non curandosi più di tanto della questione.
Ad oggi, non comprendo perché proporre solo la parte iniziale di una CG che rimarrà appunto solo un lontano ricordo.
Lasciatosi alle spalle il “piccolo” disappunto, Zakk Wylde infiamma il pubblico con un riff ormai noto a tutti: ‘Walk‘ esplode in tutta la sua aggressività all’Arena Parco Nord e tutti insieme accompagnano Anselmo nello storico ritornello, cantato all’unisono dai presenti. Non manca, ovviamente, una “dolce” parentesi dedicata proprio al “ragazzaccio”: due giorni prima si era svolto il compleanno di Anselmo, il quale ha spento ben 50 candeline proprio quest’anno.
Il pubblico, quindi, ha voluto dedicargli un piccolo coro, facendo commuovere l’uomo d’acciaio che si è lasciato scappare persino una lacrimuccia.
Ringraziando il pubblico per l’enorme affetto dimostratogli, il vocalist americano è pronto a regalare un’altra sferzata con l’esecuzione dell’immancabile, storica ‘Cowboys From Hell‘, che evidenzia ancora una volta l’incredibile tecnicità di Wylde negli assoli e nei passaggi più complessi, supportato dal drumming possente di un Benante che ha saputo essere il degno erede di Vinnie.
Con ‘Yesterday Don’t Mean A Shit‘, i Pantera si apprestano a salutare l’infuocato pubblico bolognese in quest’ultima data che conclude definitivamente il tour europeo della band.
Una conclusione, questa, incendiaria e che sarà ricordata negli anni a venire, in quanto siamo certi – e speriamo di essere facilmente smentiti – che questa sarà un’occasione veramente unica.
Ad oggi, non sappiamo se gli organizzatori avranno in serbo di proporre una seconda edizione o se, al contrario, vaglieranno di richiamare Anselmo e soci per una data futura. Ciò di cui siamo certi ed orgogliosi è che aver assistito ad un concerto del genere non solo è stato un grandissimo piacere, ma è stato un onore enorme, una testimonianza, questa, che necessariamente dovrà essere tramandata di generazione in generazione.
Grazie zio Phil, grazie Pantera, grazie Vertigo per aver proposto una data che certamente farà la storia della musica.