Jesse Hughes: un’idiozia all’americana o un’ipotesi da considerare?

Questa settimana Jesse Hughes l’ha fatta fuori dal vaso.
Doveva essere la settimana del ritorno sul palco degli Eagles of Death Metal, con la ripartenza del tour europeo a tre mesi di distanza dal massacro del Bataclan (ne avevamo parlato qui) e il simbolico ritorno a Parigi dopo il 13 novembre, per riprendere idealmente quel concerto interrotto dall’irruzione di tre terroristi legati allo Stato Islamico.
E invece la ragione per cui il frontman della band californiana ha fatto principalmente parlare di sé è una dichiarazione rilasciata nel corso di un’intervista alla TV francese iTelé:
«Forse l’unica cosa che è cambiata nel mio pensiero è che fino a quando nessuno avrà più armi, tutti dovrebbero averne una».
Un pensiero tipicamente americano, da parte di un personaggio come Jesse Hughes che non ha mai nascosto di essere a favore del possesso di armi.
Possibile però che tanta violenza, vissuta con i propri occhi e sulla propria pelle, non abbia instillato qualche dubbio, provocato qualche ripensamento, causato un moto di repulsione nei confronti dell’uso delle armi?
Ecco due pareri discordanti discussi in redazione.


Pro

Chi più chi meno, immagino che tutti noi europei lo abbiamo guardato storto, Hughes, tacciandolo di idiozia assoluta.
E se invece avesse ragione?
Siamo sicuri che la politica del disarmo ci stia tutelando e garantisca la nostra sicurezza?
Come sottolinea oggettivamente Jesse Hughes nel corso della stessa intervista, la politica francese del controllo delle armi non ha impedito che accadesse una delle stragi più cruente che il mondo occidentale abbia vissuto recentemente.
Le armi nelle mani sbagliate finiscono sempre e comunque, e una serie di inchieste e documentari pubblicati negli ultimi mesi ci hanno mostrato come questo succede.
Una pistola nella mano giusta, o nella tasca giusta, può forse evitare escalation violente.
Se uno o più privati cittadini avessero potuto sfoderare un’arma da opporre ai commando terroristici in azione a Parigi, avremmo conteggiato qualche vittima in meno.
O forse non sarebbe mai accaduto nulla, perché il pensiero di trovarsi di fronte a cittadini in grado di difendersi, anziché a una folla di centinaia e migliaia di persone inermi controllabili e terrorizzabili con l’uso di un solo fucile a caricamento automatico, fungerebbe da deterrente e renderebbe estremamente complicata l’organizzazione di raid sanguinolenti di questo tipo. In un mondo ideale, nessuno dovrebbe possedere un’arma, e possiamo leggere questo pensiero nelle parole di Jesse Hughes.
Ma non viviamo in un mondo perfetto, e finché siamo esposti al pericolo possiamo avere il diritto di proteggerci?
O confidiamo nell’autoregolamentazione e nella bontà umana?
O facciamo affidamento sulla sicurezza nazionale e sulla protezione da parte dello Stato e della collettività?
La prima è utopia e inapplicabile concettualmente, la seconda è follia e inapplicabile numericamente.
Un’arma in tasca, sperando ovviamente che rimanga sempre impolverata e col caricatore pieno, potrebbe essere quello scudo che non riusciamo ad avere in altro modo.
E l’idiozia di Jesse Hughes potrebbe essere un lucido spunto di estremo pragmatismo.

© Matteo Ferrari


Contro

Far parte di una società evoluta significa avere delle regole di base da rispettare per la sana e quieta convivenza tra più persone.
Jesse Hughes esprime il suo favore nel trasformare tutto in un bel western, dove alla fine basta che il tizio di turno ci sia antipatico per i motivi più svariati che tanto le cose si risolvono in un solo modo: con le pistolate.
Può essere questa una soluzione per salvaguardare e tutelare la vita delle persone?
Poniamo in essere la legittimità nel possedere un’arma da fuoco: dovrebbero forse averla tutti? Solo alcuni? Come ci si rende abili ed idonei al possesso?
Quando e come essere autorizzati all’uso di un’arma?
È impensabile essere d’accordo con un’affermazione simile, e mi rendo conto che dall’intento originale di Hughes io ho un po’ buttato volutamente in caciara il tutto – ma è esattamente così che andrebbe a finire, nella realtà.
Sin dalla nascita, la cultura e le tradizioni Occidentali ci insegnano ad essere persone libere ideologicamente, che crescono all’interno di nuclei famigliari nei quali viene trasmessa quella che col tempo varia, si plasma e diventa personale: l’educazione.
In Italia come in Francia e negli Stati Uniti ai bambini non viene insegnato come sparare, come sopravvivere all’invasore, come combattere nel nome di un dio e di una religione: non accade perché siamo senza vincoli mentali, non fa parte del nostro essere, non è nella nostra già citata educazione.
L’assenza di una società militarizzata non ci rende, al contempo, più deboli dinanzi ad eventi come quello del Bataclan: l’errore di pensiero nasce da qui.
Basti pensare agli americani stessi: i massacri scolastici, causati nella maggioranza dei casi dall’introduzione di armi da fuoco in istituti con minori e, spesso, ad opera di minori stessi, non sono eventi evitabili ma solo arginabili.
Quella di Jesse Hughes è stata la classica spacconata americana.
Il terrore, la paura e l’angoscia provate quel giorno a Parigi al Bataclan sono sensazioni che nessuno potrà mai alleviare nei ricordi di tutti i presenti al concerto e penso sia più che plausibile spendere parole di rancore verso chi ha compiuto il gesto.
Si poteva evitare?
Come ci si può proteggere da questi eventi?
Le uniche domande devono essere sempre e solo queste ma la risposta, lo sappiamo da soli, non è sicuramente quella di armare i privati cittadini.

© Emanuela Vh. Bonetti

Jesse Hughes

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