The Kills – Little Bastards


Un nuovo disco dei The Kills è sicuramente una notizia.
Parliamo, anzi, stiamo per parlare di un gruppo che ha sempre dosato e razionato le produzioni e le apparizioni concedendosi pause pluriennali.
Tra l’altro, spesso con divagazioni su progetti paralleli, tra un’uscita e l’altra.
Che ciò sia una notizia per me è un’affermazione che rasenta l’ovvio, alla luce della passione ultradecennale che mi lega a loro, della sconfinata ammirazione artistica che provo nei loro confronti e della quasi banale fascinazione che mi ha sempre inesorabilmente indotto la metà femminile della formazione angloamericana.

“Little Bastards”, preannunciato da alcuni mesi e pubblicato a dicembre 2020, non contiene materiale nuovo dei The Kills.
È una raccolta di b-side, demo e altre rarità risalenti al periodo compreso tra il 2002 e il 2009, nel quale uscirono i loro primi tre album e che dagli esordi li condusse alla consacrazione definitiva.
Questo tipo di raccolte è in genere adatto ai veri fan più che agli ascoltatori occasionali ma il percorso attraverso i 20 brani permette di cogliere e distinguere le anime dei The Kills che hanno caratterizzato ciascuno dei tre dischi del decennio ‘00, apprezzandone l’evoluzione.
I suoni manovrati ed eleganti di “Midnight boom” appaiono ben diversi dai timbri graffianti e ruvidi dell’esordio di “Keep on your mean side”, passando poi attraverso il mood incalzante e diretto di “No wow”.

“Little Bastards” è un disco che vale di più se preso nel suo complesso, regalando una visione dei The Kills ancora più sfaccettata sebbene anche nei singoli passaggi spunti qualche piccola perla che vale da sola il prezzo del biglietto.
Possiamo raccomandare l’ascolto con attenzione della felina ‘London hates you‘, della psichedelia post-velvetiana di ‘Sugar baby‘, la limpidezza di ‘Baby’s eyes‘, il groove ronzante di ‘The search for cherry red‘, il classico tiro a perdifiato di ‘Kiss the wrong side‘.

Se vuoi capire i The Kills, in questa raccolta puoi trovare un sacco di nuovi indizi.
Se vuoi farti impressionare da loro, non è qui che appaiono in tutta la loro maestosità.
Ma se li vuoi amare ci sono qui un’altra decina di buone ragioni che vanno ad aggiungersi ai cinque album precedenti.
E, naturalmente, ai loro live – per chi ha avuto la fortuna di vederli, magari anche più di una volta.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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