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Umberto Maria Giardini: la rigorosa ricerca della perfezione

Lo scorso febbraio Umberto Maria Giardini ha pubblicato il quarto lavoro con questo nome.
Per l’ex Moltheni si tratta del tredicesimo lavoro se si da uno sguardo al suo vasto repertorio, iniziato nel 1999, e come per il precedente album (“Protestantesima”, 2015) anche “Futuro Proximo” è uscito per La Tempesta Dischi.

È da poco iniziato il tour successivo all’uscita di Futuro Proximo”, come sta andando?

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Il tour sta andando bene.
Non sarà fitto di date come negli anni scorsi, sia perché molti promoter non guardano più alla bellezza e qualità dei concerti ma all’incasso eventuale, e quindi, ingenui, ci hanno dato uno stand-by; sia perché anche noi preferiamo passare meno tempo in tour e dedicarci alle nostre famiglie e alla nostra vita privata.
Di conseguenza, i nostri live sono diventati esclusivi, ma chiunque viene non se lo scorda per molto tempo: il livello è altissimo e il messaggio che viene trasmesso è estremamente legato ad un classicismo-psichedelico, condito di tecnica ed estrema eleganza.
Qualcosa che in Italia decisamente manca.

Quindi cosa ci dobbiamo aspettare dalla tua performance live?

Programmo sempre poco di eccezionale, non faccio promesse che non mi appartengono o che non potrei mantenere.
I miei live, soprattutto quelli degli ultimi anni, si sono sempre basati sulla semplicità ma anche sulla rigorosa ricerca di fare bene e di cercare sempre la perfezione della performance stessa.
Noi non siamo mai stati un collettivo artistico da pubblico “‘na biretta e ‘na canna”.
I giovani, anche quando ero giovane anch’io, mi sono sempre stati indifferenti, il pubblico che vedo nelle date sold out delle band che oggi tirano di più non mi piace.
Sono strafelice di non avere quel pubblico a costo di avere cachet (giustamente) più bassi, nonché di stare nella bocca di tutti come un pagliaccio da rivista indie – o, peggio ancora, come qualcuno che fa schifo ma che comunque piace a tutti.
La data di Roma sarà identica alle altre, colma di professionalità e buona musica.
Spesso il pubblico fa la differenza, quindi conto di avere sempre vicino tutta quella gente che a Roma mi ama per ciò che sono.

“Futuro Proximo” è un disco maestoso ed introspettivo, un’altra perla rara da incastonate in quel gioiello che è la tua produzione musicale. Come è nato e come si differenzia dai precedenti?

È nato come gli altri, quindi con un grosso lavoro di pre-produzione, anche se onestamente a questo giro molto più rilassato e meno impegnativo.
Il disco ne ha risentito di questa marginalità ma forse solamente nella mia testa e non in quella degli affezionati e degli addetti ai lavori, che invece lo hanno considerato più diretto e dinamico.
Rispetto agli album precedenti come “La Dieta” e “Protestantesima”, “Futuro Proximo” è un album molto disilluso ma estremamente fruibile, soprattutto, sempre registrato con metodologia all’antica.
Senza guardarmi indietro, nel lavoro, io non potrei mai guardare avanti.
Questo album è autentico, genuino come latte bevuto dopo la mungitura.

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Anche stavolta hai usato termini aulici e particolari per dare un nome alle tue canzoni.
Ad esempio da dove proviene la ‘Graziaplena’?

Graziaplena‘ è la mia stirpe. È semplicemente il cognome dei miei antenati, in cui come dna era già presente qualche esempio di artistiode, legato alla follia misantropa che mi appartiene.
È da considerarsi solamente un omaggio ai miei avi vissuti alla fine dell’800 nella mia terra d’origine.

Esiste un concreto “Futuro Proximo” per il rock italiano a tuo parere?

Non lo so, non mi occupo da svariati anni del rock nazionale.
È un argomento che proprio non mi interessa.

Tanti artisti “alternative” si stanno piano piano vendendo alle logiche dei talent.
Da Morgan a Boosta, sino a Manuel Agnelli: secondo te è plausibile l’idea di usare questi mezzi per veicolare la musica ad un pubblico maggiore?

Ho detto e scritto moltissime volte come la penso in riferimento sia al fenomeno dei talent show sia ai personaggi da te nominati e ad altri che tutti conosciamo.
Concettualmente il problema di base non sono certi nomi citati che si vendono a determinati target televisivi di basso profilo, il problema e il male parte dalla gente.
Da una parte, i milioni di genitori scemi che si aspettano per i propri figli il successo immediato attraverso queste schifezze di programmi; dall’altra la pochezza dei fan che dimenticano tutto in pochi istanti, complici di questo gioco sempre al rilancio.
L’italiano medio, e ancor di più le persone con meno di 30 anni, oggi non ha memoria storica per
qualsiasi cosa, fatto, evento, atteggiamento e via dicendo, non si riesce più a tradurre nulla.
Tutto va bene e tutto si può fare, chissenefrega.
Il denaro, il potere e tutto ciò che ne consegue dopo aver partecipato ai talent show va benissimo per costoro, poiché nessuno protesterà mai, né si accorgerà di nulla.
La gente è tonta, il pubblico è tonto, nessuno si accorge più di nulla.
Se io domani decidessi di fare un disco, ad esempio, con Claudio Cecchetto, nessuno si accorgerebbe dell’errore stilistico o concettuale commesso e io potrei solo aumentare il mio pubblico ridendo sotto i baffi perché chiunque sarebbe ignaro della leggerezza commessa.
Questo è esattamente quello che fanno tutti coloro che vivono di talent show: fanno i cazzi loro.
I nomi che venivano nominati all’inizio (Morgan, Boosta, Agnelli n.d.r.) non sono artisti “alternative”, sono solamente ottimi musicisti che nelle loro carriere hanno scritto musiche e canzoni meravigliose.
Musicisti pazzeschi.
Fatto sta che gli scemi sono coloro che credevano altro di loro, o si illudevano della loro intoccabilità artistica. Oggi chiunque si può comprare, e poi non bisogna mai dimenticare che nella vita si cambia: si possono scrivere canzoni bellissime che resteranno negli annali della misica italiana e poi diventare dei pagliacci e manager nel nome del dio denaro.
Ribadisco e sottolineo, tanto nessuno se ne accorge: quindi, perché no?
Pensate che Manuel Agnelli avrà meno pubblico perchè si è rivelato un musicista che fa scelte legate ai suoi guadagni stratosferici e ai suoi interessi professionali?
Oggi tutti sono legittimati a fare tutto, perché tutti dimenticano tutto in fretta.
Anzi, spesso non se ne accorgono neppure.

Umberto Maria Giardini

Parlando di cose belle, hai da poco comunicato la nascita di un nuovissimo progetto, Stella Maris: ti va di parlarcene?

Stella Maris sarà un esordio discografico molto importante per me.
È la concretizzazione di una forma canzone tanto a me legata ma mai potutasi sviluppare per una serie di coincidenze e presupposti non verificatosi negli anni.
Grazie all’incontro avuto con persone con le quali sono amico che si sono fidate di me (Cappadonia e Gianluca Bartolo) abbiamo messo a fuoco ciò che volevamo fare.
Siamo addirittura partiti da un suono sviluppato da un “solo” amplificatore al mondo degli anni ’80 perché era quel suono che volevo comandasse sotto a ciò che avrei scritto e intonato con la mia voce.
Lo stimolo prima, e il risultato poi, ci ha resi consapevoli che quello che avevamo per le mani era qualcosa di bellissimo.
Il quadretto poi è stato completato da Emanuele Alosi e Paolo Narduzzo, altri due geni che stanno chiudendo un cerchio perfetto.
Questo cerchio è Stella Maris, qualcosa di estremamente romantico e perfetto.

Ad oggi qual è il tuo pezzo cui ti senti più legato?
E qual è quello che ami maggiormente eseguire nei live?

Non mi lego mai particolarmente a nessun brano in particolare, semmai vado a periodi, ecco, questo sì.
In questi ultimi tempi mi piace molto suonare brani come ‘Onda‘ e ‘Mea culpa‘, che considero perle assolute del nuovo ciclo di “Futuro Proximo”.

Ascoltando l’ultimo disco de Il Pan del Diavolo sono rimasta colpita dal magnetismo di ‘Gravità Zero‘, brano che non a caso porta il segno della tua collaborazione con il duo.
Come è stata questa collaborazione?

Siamo amici, molto amici con Il Pan del Diavolo. Me l’hanno chiesto e io ho detto sì. Stop.

Puoi anticiparci altre collaborazioni in fase di progettazione?

Nessuna in particolare.
In tutta onestà, da un po’ di tempo a questa parte non amo più le collaborazioni.

 

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