
Warrior Soul, un’apocalittica colonna sonora
I Warrior Soul chiudono il tour italiano con un’esibizione infuocata
La voce arrabbiata di una generazione che ha visto infrangersi il sogno americano risulta ancora rilevante e corrosiva, oggi come allora
Rho (MI), 29 marzo 2025 | Ph. © Giulia Di Nunno
«Here’s to the losers, substance abusers
To the rejects
All the imperfects
To the retarded
And the broken-hearted
To the starving masses And the lower classes
‘Cause I think we’re beautiful
No matter what anyone says
I think we’re beautifulThe most beautiful in the world»
In una scena di “The Dirt”, il biopic che narra la rocambolesca carriera dei Mötley Crüe, possiamo vedere una breve sequenza in cui in una Los Angeles notturna e bagnata da una pioggia battente, la telecamera inquadra un grande murale che raffigura la copertina di “Ten” dei Pearl Jam. Una scena breve ma tutt’altro che causale, con quella pioggia che scorre come lacrime sugli anni ’80. In quei pochi secondi viviamo la fine di un’era, quella che vede l’Hair Metal, la musica di riferimento di quell’epoca, esalare gli ultimi respiri e dissolversi per venir rimpiazzata da una nuova generazione di musicisti e di suoni, dal grunge, dal rock alternativo, da una scena che non ne poteva più di Aquanet e di torte alla ciliegia, e che al Sunset Boulevard contrapponeva le piovose vie di Seattle.
Improvvisamente lo stato di Washington rimpiazzò la California nell’immaginario di una moltitudine di GenXers, più interessati ad analizzare ed esternare il proprio disagio che non ad affogarlo nel Jack Daniels. Una generazione che all’improvviso si rese conto di come il sogno americano non fosse altro che un sogno infranto. Di quel sogno infranto, uno dei maggiori cantori è stato (e grazie al cielo continua ad esserlo) proprio Kory Clarke. Poeta sovversivo, spirito anarcoide ed araldo di quell’ultima decade di un secolo morto. Trasferitosi sul finire degli anni ’80 a New York dalla natia Detroit, non a caso la città che ha visto nascere gli MC5 e gli Stooges, fondò i Warrior Soul catturando immediatamente le attenzioni delle major, impegnate nel trovare il più in fretta possibile l’ennesima new sensation in campo alternative, con cui rimpiazzare gli oramai stantii ultimi sussulti della morente scena Hair Metal.
La spuntò la Geffen, già casa dei Guns’N’Roses, che nel 1990 ne pubblicò il primo album, “Last Decade Dead Century”. E se pensavate che non si potesse essere più incazzati con il mondo dei Rage Against The Machine, vi basterà posare la puntina su quel fenomenale disco d’esordio per cambiare subito idea. Il rapporto con l’etichetta di David Geffen non fu comunque propriamente idilliaco.
I Warrior Soul sono sempre stati una band scomoda, poco gestibile e sicuramente di rottura. Kory divenne, di volo o di nolo, il paladino degli ultimi, dei disadattati e dei falliti. Di quelli che con il sogno americano si sono scontrati frontalmente, uscendone perdenti. Il sound dei Warrior Soul era apocalittico, sovversivo e nichilista. Le liriche, violente e corrosive, si sposavano alla perfezione con un muro di suono che era un concentrato di energia punk annegata in una miscela iperaggressiva di hard rock, metal e rock alternativo. Come se nella stessa band convivessero lo spirito dei Guns’N’Roses, dei Nirvana e dei Killing Joke.
Neil Young sosteneva che era meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente. In effetti, il fuoco che alimentava la creatività dei Warrior Soul si esaurì in fretta, tra eccessi, dissidi interni ed una relazione con la casa discografica in caduta libera. Nel giro di tre anni e tre album (al già citato “Last Decade Dead Century” seguirono “God, Drugs And The New Republic” nel 1991, ed il capolavoro “Salutations From Ghetto Nation” nel 1992) i Warrior Soul dissero un po’ tutto quello che potevano dire. E dopo un quarto album (“Chill Pill” del 1993), buono ma non all’altezza dei suoi predecessori e rilasciato più per ottemperare agli obblighi contrattuali che non per reale necessità, la band si ritrovò senza contratto e dilaniata dal conflitti interni.
Nonostante tutto, i Warrior Soul non hanno mai cessato di esistere. Con Kory saldamente in cabina di regia, ed una progressione infinita di cambi di line-up (ed anche di nome, vedi il progetto Space Age Playboys) i Warrior Soul assomigliano sempre più ad un marchio sotto il quale si cela, fondamentalmente, la carriera solista del buon Clarke. Una carriera tutt’ora in essere, che alterna nuove produzioni a lunghi tour. Ed è proprio in occasione di uno di questi tour estemporanei che presso il minuscolo Rock’n’Roll Club di Rho, incontreremo nuovamente i Warrior Soul. L’attuale incarnazione vede Kory Clarke accompagnato da Adam Arling e dal nostro connazionale Parker Barrow alle chitarre, dal bassista Christian Kimmett e dal batterista Ivan Tambac.
L’attesa per lo show dei Warrior Soul, previsto per le 23:10 (e meno male che è sabato…) viene stemperata dalla presenza di ben due gruppi spalla, Il primo dei quali, gli emiliani Vicolo Inferno, si presentano sul palco alle 21:30.
Vicolo Inferno
Fondati dall’ottimo cantante Igor Piattesi e dal chitarrista Marco Campoli, questo gruppo proveniente da Imola non è esattamente di primo pelo: sono attivi da una ventina d’anni ed hanno alle spalle tre album, l’ultimo dei quali, “Circles”, è stato rilasciato lo scorso anno su Rockshot Records. La loro proposta musicale vive di larghi orizzonti, che spaziano dall’hard rock melodico a suoni più tipicamente metal, non disdegnando incursioni dal taglio decisamente più moderno ed alternativo.
Nel breve spazio a loro concesso è stato dato ampio spazio al materiale tratto dall’ultimo album, senza peraltro dimenticare i due precedenti. Una performance solida, con i due fondatori sugli scudi. In particolare, ci ha colpito la performance vocale di Igor Piattesi, davvero un ottimo cantante sia sulle parti melodiche che su quelle decisamente più pesanti.
Furious Jane
La seconda band chiamata a riscaldare il pubblico arriva da Napoli. Si tratta dei Furious Jane, sono attivi dal 2021 e propongono una buona miscela di hard rock, sleaze e alternative, non particolarmente originale ma comunque gradevole all’orecchio.
L’attenzione del pubblico viene subito catturata dal frontman Salvatore Ferretti, che nelle movenze e negli atteggiamenti da palco può ricordare – con le dovute proporzioni – il compianto Scott Weiland, specie nella sua versione velevet-revolveriana. Anche per questo, gli perdoniamo un paio di uscite un po’ cringe, d’altronde il rock’n’roll vive anche di questo.
Nello show di questa sera la band ha portato sul palco i pezzi dei due Ep e del singolo che al momento hanno in discografia, tra cui citiamo ‘Policeman’, ‘Rodeo 69’ e soprattutto ‘Killers Of Rock’n’Roll’, registrato a Los Angeles sotto l’egida di un nome altisonante come quello di Fabrizio Grossi. E per quanto il piccolo club di Rho non sia prestigioso come il Whisky A Go Go di Los Angeles, riconosciamo a questi ragazzi l’aver affrontato la prova di questa sera con una buona dose di cazzimma, come peraltro il genere richiede.
Warrior Soul
In una notte che fin dall’inizio si prospettava piuttosto lunga vista la concomitanza con l’entrata in vigore dell’ora legale, gli animi si risvegliano prepotentemente quando i Warrior Soul entrano in scena aprendo il concerto con i 2 minuti introduttivi di ‘Drugs, God And The New Republic’ che si fondono con un’acidissima rilettura di ‘Interzone’ dei Joy Division.
A dispetto di una popolarità che non è più quella degli anni ’90, Kory Clarke non ha mai smesso di essere una rockstar. Certamente non nell’attitudine. Pantaloni glitterati, t-shirt e giubbotto di pelle, occhialoni bianchi e incorniciati dai lunghi capelli biondo cenere, Kory domina il piccolo palco del Rock’n’Roll affrontandolo così come oramai più di 30 anni fa affrontava le grandi arene, con il chiaro intento di non fare prigionieri.
Coadiuvato di una band che ci ha stupito per efficacia e coesione, con i due chitarristi sugli scudi e una sezione ritmica precisa e potente, il Clarke di questa sera non pare aver perso mezzo grammo dello smalto che ne ha sempre contraddistinto la presenza scenica. Una pedana strategicamente piazzata davanti allo stage gli consente di approcciare in modo diretto il pubblico che sta affollando il club di Rho, cercando il contatto e concedendosi ad una full immersion tra le prime file densamente popolate da ex-ragazzi che quegli anni li hanno vissuti in prima persona.
C’è spazio per ricordare gli Space Age Playboys con una inequivocabile ‘I Want Some Pussy’ ma da lì in poi il concerto si trasforma in un treno in corsa attraverso tutta la carriera dei Warrior Soul. ‘Punk And Belligerent’ più che una canzone, è una dichiarazione d’intenti. Su ‘Jump For Joy’ si innescano anche i primi tentativi di pogo, onestamente poco gestibile senza far danni in uno spazio così ristretto. Le chitarre ruggiscono, ed altrettanto fa Kory, con la voce resa ancora più abrasiva dagli eccessi e dallo scorrere dell’età. Più che cantare sembra sputare veleno, agitandosi come una tigre in gabbia, saltando da una parte all’altra del parco, cadendo in ginocchio, sdraiandosi per riprendere fiato mentre i suoi compagni macinano riff su riff, scuotendo le mura del Rock’n’Roll e spettinando le prime file.
Troviamo una vetriolica ‘The Party’, rilevante come all’ora se non di più, alla luce di quanto sta succedendo negli USA. ‘Fuck The Pigs’, ‘Blown’ ‘Charlie’s Out Of Prison’, ‘The Drug’ vanno a comporre una scaletta da urlo. Quasi da non credere di essere ad un palmo dal microfono di Kory! E dover spesso e volentieri esser costretti ad arretrare un poco, per schivare il manico della chitarra di Adam Arling, veramente strepitoso questa sera. E il nostro Parker Barrow (i.e. GG Rock) non essergli assolutamente da meno.
L’ora e mezza circa di concerto vola via fino al gran finale con quelli che sono i due brani più rappresentativi dei Warrior Soul. Con ‘The Loosers’ e ‘The Wasteland’ il pubblico va in delirio nonostante la stanchezza accumulata in questo set, in cui era impossibile stare fermi ed il sudore è scorso a fiumi.
Davvero incomprensibile constatare come la gente sia disposta a spendere una marea di soldi per dei concerti iper-pompati, quando con il misero investimento di dieci euro finisci per goderti uno dei live più belli di questi primi mesi del 2025, a diretto contatto con l’artista che, come nel caso di questa sera, una volta smessi i panni della rockstar ribelle si è rivelato di una gentilezza squisita e di un’umiltà spesso sconosciuta ai più, confermando – se mai ce ne fosse ancora bisogno – che c’è una bella differenza tra fare la rockstar ed esserlo intrinsecamente.
Tutto giusto. Tutto perfetto.