Vintage Trouble, shake, rattle and roll

Inizialmente prevista presso la Santeria in Via Toscana, e successivamente spostata nella più periferica (e meno capiente) cornice del Legend Club, la serata odierna non si presenta sotto i migliori auspici in termini di presenza di pubblico, complice forse anche l’elevatissimo numero di eventi che costella il calendario concerti di questa estate milanese. 
Ed infatti arrivando al Legend la prima cosa che notiamo è la facilità di parcheggio nello spazio retrostante il locale. La seconda è la disarmante presenza (ma sarebbe meglio dire assenza) di persone in attesa.

Giusto il tempo di un panino e di una birra ed è già ora di presentarsi sotto il palco per assistere alla performance degli Standin’ Man, chiamati a riscaldare il clima della serata agli headliner Vintage Trouble.
Non avendone mai sentito parlare, ci siamo preventivamente informati scoprendo che trattasi del nuovo progetto solista del cantante/chitarrista/produttore/autore britannico Dean Fairhurst degli Slydigs, in procinto di uscire a brevissimo con l’album di debutto “Life Intimidating Art”, peraltro già disponibile in anteprima al banchetto del merchandise.
In madre patria hanno già avuto modo di mettersi in evidenza aprendo i concerti di diversi artisti di caratura internazionale, ed a fine luglio faranno da spalla agli Who quando suoneranno allo stadio di St. Helens.
Entrando in sala la visuale è scoraggiante: va bene che son solo le 20:30, ma vedere non più di una dozzina di persone (inclusi i fotografi accreditati) in transenna non deve essere stato per Fairhurst e la sua band motivo di grande entusiasmo.
La cosa non sembra però averne minimamente intaccato la voglia di suonare, tanto che il loro breve (poco più di una mezz’oretta) set viene comunque proposto con lo stesso piglio con cui si affronterebbero audience di ben diversa entità numerica, conquistando la simpatia e l’apprezzamento dei pochi presenti, che comunque tenderanno con lo scorrere dei brani ad aumentare progressivamente di numero.
Dal punto di vista stilistico, il sound del progetto Standin’ Man affonda le proprie radici nella psichedelia e nelle sonorità dei ‘60s, inserite in un contesto classic rock di chiara matrice anglosassone, rivisto in chiave moderna e sorretto da un song-writing di sicura efficacia, che conferisce ai pezzi presentati un appeal non trascurabile, soprattutto in quelli più groovy come ‘Be Your Own Messiah‘, ‘Changin’ Wind‘ e l’ultimo singolo rilasciato ‘All That I’ve Been Looking For‘.
In scaletta, oltre ai brani appena citati trova spazio anche una bella cover di ‘Eleanor Rigby‘ dei Beatles.
Fairhurst è comprensibilmente protagonista assoluto sul palco, con quel look a metà strada tra John Lennon e Noel Gallagher che fa tanto Albione e quell’attitude che fa tanto rock’n’roll star, comunque messa subito da parte non appena sceso dallo stage, dimostrandosi persona assolutamente umile e di una gentilezza squisita, al pari dei musicisti che lo accompagnano in questa nuova avventura.

Standin’ Man

Per il sottoscritto la curiosità di vedere finalmente dal vivo i Vintage Trouble era altissima: pur seguendoli fin dagli esordi, e nonostante negli scorsi anni non si siano mai fatti negare sui palchi nostrani, per mille e più motivi non ero mai riuscito a presenziare ad un loro concerto.
L’occasione è ancora più ghiotta perché praticamente concomitante con la release del nuovo album (“Heavy Hymnals”, uscito non più tardi di un paio di settimane or sono).
Bene, dopo i primi due pezzi (‘Run Like The River‘ e ‘Blues Hand Me Down‘) ho già la mascella per terra: su disco mi son sempre piaciuti tantissimo, ma è quando salgono sul palco che mi rendo finalmente conto di che razza di band da paura siano i Vintage Trouble, e che front-man di altra categoria sia Ty Taylor: voce di un altro pianeta, carisma a profusione e presenza scenica di quelle che ti restano impresse indelebilmente nella memoria.
Nei primi dieci minuti ha già conquistato tutti, saltando, ballando, sfoderando quella voce che passa con nonchalance dal rock al soul facendo sembrare il tutto cosa da niente.
Si arrampica sulla transenna e si getta tra il pubblico, che lo accoglie a braccia aperte.
Ed è evidente lungo tutto il corso del concerto la ricerca del contatto con i fans, un contatto che non è più solo visivo ma è tattile, è tangibile.
Lo vedi girare nel parterre, ti si ferma davanti, ti guarda negli occhi sempre cantando impeccabilmente con quel vocione meraviglioso che si ritrova.
Più volte nel corso dello show Ty richiama il periodo del Covid, durante il quale – ci racconta – è nato il nuovo disco, frutto della collaborazione a distanza tra i membri, e di come il senso di solitudine e di separazione abbia influito sulle vite di ognuno di noi.
Parla molto, Ty, tra un brano e l’altro.
Parla di quanto accade del mondo, della situazione razziale negli USA, parla di George Floyd e di come quell’episodio abbia impattato sulla vita delle minoranze, parla della guerra e di come la storia continui a ripetersi, concetto questo su cui si sviluppa uno dei migliori pezzi del nuovo disco, la meravigliosa ‘Repeating History‘.
Parla della madre, di come festeggiavano il 4 di luglio, e di come quest’anno il 4 luglio lo festeggi proprio qui al Legend, in mezzo a noi.
E mentre gli occhi di tutta l’audience faticano a staccarsi da questo animale da palcoscenico, rimango impressionato dalla micidiale sezione ritmica, con il biondissimo bassista Rick Bario Dill e il batterista Richard Danielson che passano tranquillamente dal soul all’hard rock passando per il funk ed il rhythm and blues, stendendo una sorta di tappeto rosso per la chitarra di Nalle Colt e il vocalismo totale di Ty Taylor, una specie di via di mezzo tra Sam Cooke e Marvin Gaye, ma con l’anima rock, un po’ come Cory Glover dei Living Colour – forse l’unica band a cui è possibile accostarli.
Ma se il sound dei Living Colour tende a virare prevalentemente su territori hard rock e funk, quello dei Vintage Trouble si orienta maggiormente verso il soul ed il r’n’b.
Non so se si possa davvero parlare di parallelismo tra queste due formazioni, ma è innegabile che appaiono un po’ come le due facce di un’unica medaglia.

Vintage Trouble

La setlist pesca a fondo dai brani che troviamo nel nuovo disco, così oltre alla già citata ‘Repeating History‘ possiamo ascoltare anche il singolo ‘The Love That Once Lingered’, ‘Who I Am’ e gli altri due gioiellini, ‘Not The One’ e ‘You Already Know’, su cui Ty invita – con immediato successo – il pubblico ad unirsi nei refrain.
Non mancano richiami al passato, con ‘Gracefully’ ed una fantastica ‘Nancy Lee’, ed una cover, quella ‘Higher Ground’ di Stevie Wonder già ripresa tempo fa dai Red Hot Chili Peppers, lasciando a ‘Knock Me Out’ – probabilmente il loro pezzo più celebre – il compito di chiudere un concerto.
Concerto che, garantito, non esito a mettere tra i migliori visti in quest’annata.
Nella segreta speranza che, vista l’affluenza di pubblico (o mancanza di essa), non ne risulti compromessa la possibilità di rivederli in azione qui da noi nel prossimo futuro.

Milano, 4 luglio 2023

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