Sick Tamburo, energia incalzante che non delude mai

Tony Curtis, pseudonimo di Bernard Schwartz, nasce nel 1925 e cresce tra le bande del Bronx.
Chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale, decide al ritorno di diventare attore e inizia a studiare arte drammatica.
Il successo arriva in “A Qualcuno piace Caldo”, accanto a Marilyn Monroe e Jack Lemmon e per decenni è stato un simbolo della commedia Hollywoodiana.
Roger Moore, invece, nacque a Stockwell, vicino Londra, nel 1927.
Indirizzatosi verso una carriera militare, a causa di un grave incidente occorsogli optò per il cinema, agevolato anche dalla presenza e prestanza fisica.
Passò alla storia succedendo a Sean Connery nell’impersonare James Bond: ad oggi è ancora l’attore che più volte ha impersonato il più famoso agente segreto al servizio di Sua Maestà.
Entrambi entrarono nella mia vita alla fine degli anni Settanta, protagonisti di una serie televisiva (allora li chiamavamo telefilm) di successo planetario.
Si chiamava “Attenti a Quei Due” ed era periodicamente riproposta dalla Rai di allora come riempitivo del primo programma contenitore della storia della tv o prima del Tg1 delle venti.

Seppur per pochi minuti, vi rientrano stasera alle 22.45 all’Orion di Ciampino: l’introduzione del live dei Sick Tamburo è annunciata dalla sigla che apriva ogni episodio della serie.
È un sorriso, un’ondata di calore in una serata climaticamente gelida, una riflessione dolce e ancor più calda: Elisabetta Imelio è accanto a Gianmaria Accusani, lo sarà sempre e dovremo sempre stare attenti a entrambi. Nell’aprile di quest’anno è uscito il sesto album della band. “Non Credere A Nessuno”, un concept album lungo il filo conduttore dell’idea del viaggio; il primo dopo la scomparsa della metà artistica del fondatore, leader, cantante e chitarrista.

Sick Tamburo

Non è facile suonare a Roma la stessa sera in cui si esibisce, a meno di 15 chilometri di distanza, un cantautore di Latina, ma il pubblico di riferimento è decisamente diverso ed è nutrita la schiera di fan che ha sfidato temperature e umidità degne del nord della Scozia, per essere qui.
Rosso è il colore dominante: le camicie della band e le luci sul palco, i fari bianchi che interrompono la marea color carminio sono traccianti di contraerea a tempo con l’incalzare della musica (sapere che i componenti della band si mostrano sul palco sempre a volto coperto aiuta la comprensione della prossima riga).
Sullo sfondo domina l’immagine iconica di occhi e bocca dietro il passamontagna nero che si alterna con il video in soggettiva di un tunnel autostradale percorso a tutta velocità.
La corsa folle nel tunnel sarà una costante del light show che accompagna il live della band nata sedici anni fa dalle ceneri dei Prozac+.
È l’immagine più coerente con la musica che ci sta regalando la band, in cui intorno a Gianmaria Accusani orbitano Mattia Toso alle chitarre, Tommaso Mantelli al basso e Carlo Bonazza alla batteria. Il concerto non privilegia l’ultimo disco, ma pesca a piene mani nella loro intera discografia e ci aggiunge ‘Betty Tossica‘, vecchio brano dei Prozac+.
Ventidue brani dall’anima punk, più una versione hardcore di ‘Arrivederci Roma‘, per complessivi novanta minuti di durata.

Pochi orpelli, pochi fronzoli, poche parole tra un pezzo e l’altro, poca elettronica: solo energia incalzante.
Un concerto martellante, senza sconti, dal suono caldo e cattivo, aggressivo.
L’accoppiata Gibson-Marshall era un bel po’ che non la incontravo sui palchi e mi mancava.
Brani tiratissimi hardcore, con incursioni nel metal (come in ‘Qualche Volta Anche Io Sorrido‘) portatori di sonorità più cupe che strizzano l’occhio alla new wave (‘Facciamoci La Festa‘). Fornitura di birre regolarmente consumate e che fanno bella mostra sulla testata del Marshall di Gianmaria, finali secchi, senza indugiare in lunghe code e poi ripartire.
Il pubblico e i fan apprezzano.
Apprezzo molto anche io ma mi riservo un “ma”.

E questo “ma” non dipende certamente dai Sick Tamburo, quanto dalla pessima acustica del locale.
Quando il suono si fa aggressivo, i canali distorti degli ampli vengono sollecitati a dovere e i potenziometri si avvicinano verso la fine corsa, l’Orion ricorda a tutti di essere un locale progettato e realizzato per essere una discoteca e non una sala concerti.
In sintesi, la voce di Gianmaria Accusani è spesso sommersa sotto il muro di suono delle chitarre.
Per farla ancor più breve: si sente appena di più di un cazzo.
Ed è un doppio peccato: una prima volta perché, al di là della forza trascinante, del pogo, del suono grintoso, si perde la bellezza delle linee melodiche e del contrasto che hanno con il deflagrare del suono che le sosterrebbe; una seconda volta perché l’impatto dei Sick Tamburo non può prescindere dalla forza dei testi.
Gianmaria Accusani affronta temi forti, in modo tanto drammatico e profondo quanto immediato, efficace, asciutto.
Quello che apprezzo sui loro dischi lo sto perdendo questa sera.
E se questo può andar bene alla fanbase fidelizzata, agli irriducibili del sottopalco e del pogo, a quelli che «aho amo arzato er caos», fa male a una sola cosa: alla musica.
Per questo, mentre sto lasciando l’Orion con un’ambientazione intorno a me che non ha nulla da invidiare alla tundra artica, so per certo che la band mi è piaciuta e tornerei sicuramente a vedermela.
Ma devo ancora decidere se, stasera, il concerto nel suo complesso mi abbia riempito l’anima di bellezza, oppure no.

Ciampino (RM), 07 dicembre 2023

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© Andrea Melaranci

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