Atmosfera avvolgente e suoni minimali: Caribou live a Milano

Caribou si fa in quattro per il pubblico del Magnolia.
Se la produzione in studio è da attribuirsi interamente all’eclettico Dan Snaith, sempre avvalendosi di numerose e prestigiose collaborazioni, il 28 maggio all’aperto nei giardini del circolo milanese sono in quattro a calcare il palco: oltre al titolare del marchio, l’assetto dell’ ‘Our Love World Tour‘ comprende i sodali Ryan Smith, Brad Weber e John Schmersal.
Il risultato è una maggiore profondità, visiva e non, dell’esibizione, che si rivela ben più strutturata di quanto ci si potesse aspettare, vista la natura elettronica dell’artista e della sua musica.

La scaletta del concerto è composta interamente da brani degli ultimi due dischi pubblicati appunto come Caribou, senza tener conto delle altre identità conosciute (gli inizi come Manitoba, la recente parentesi come Daphni), con leggera predominanza di ‘Our love‘, com’è giusto che sia, sul penultimo ‘Swim‘.
La diversità di suoni tra i due album, anziché rendersi omogenea, viene ulteriormente accentuata dall’esecuzione: da un lato i suoni e le voci calde dell’ultimo disco, l’atmosfera avvolgente e un po’ di soul e di r’n’b latente, se non addirittura il post-funk e la post-disco che richiamano gli ultimi Daft Punk, dall’altro l’elettronica più fredda e nervosa, i suoni minimali e psichedelici, le iterazioni e i cambi di ritmo improvvisi del disco che portò Caribou all’attenzione del grande pubblico nel 2010.
Questa contrapposizione nasce sul palco ma si trasmette istantaneamente al pubblico, che da una parte ondeggia e si adagia coi pezzi più recenti, dall’altro viene trascinato e dimenato dai suoni più incisivi dei brani vecchi, schizofrenici nel loro addormentarsi ad un certo punto con un loop calante per poi rialzarsi inesorabilmente e ricominciare a pulsare, come testimoniano le numerose mani che a più riprese si sollevano quando i pezzi sembravano già destinati a scemare.

Si apre con ‘Our love‘, raddoppiata nella lunghezza originale senza traccia di ripetitività, i suoni bassi e vibranti e la voce ipnotica, una sorta di passaggio di consegne tra le due anime di Caribou. Si chiude con ‘Sun‘, un encore di dieci minuti e una sola canzone, per non dire una sola parola. In mezzo luci e bassi, ipnosi e colori. Volendo fare un appunto, possiamo dire che l’esecuzione di ‘Odessa‘, che molti attendevano e desideravano, risulta in un tono un po’ minore, un coinvolgimento non all’altezza del resto del concerto per un brano che ha invece un potenziale e un tiro pazzesco.
Di contro, i momenti più alti si hanno nella già citata apertura di ‘Our love‘, nella chiusura del set prima dell’encore con l’accoppiata ‘Your love will set you free‘ e l’ammiccantissima e ruffiana ‘Can’t do without you‘, dal groove quasi discotecaro, e nel risveglio quasi zen di ‘Found out‘, con qualcosa che suggerisce che da un momento all’altro possa arrivare l’alba da dietro il palco.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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