Liam Gallagher, (nonostante tutto) alla fine vince sempre lui

Dopo le quattro serate di giugno a tema mainstream, con il primo di luglio agli I-Days 2023 oltre alla calura estiva arriva anche il Rock’n’Roll, quello con la R maiuscola.
Nella cornice dell’Ippodromo La Maura (per intenderci quello dedicato al trotto, da non confondersi – vista anche la vicinanza logistica – con l’altro Ippodromo, il San Siro, dedicato invece al galoppo) sbarca una line-up di tutto rispetto che offre in sequenza i Nothing But Thieves, The Black Keys e Liam Gallagher.

Sono da poco passate le 17:00, e il La Maura ci apre le sue porte sotto un sole pieno che fa presto salire il termometro su valori filo-africani. Raggiungo il fronte del palco, solo per rendermi conto che è posizionato proprio con il sole alle spalle, il che fino a tarda serata costringerà il sottoscritto ed il resto del numerosissimo pubblico accorso ad una continua e spasmodica ricerca di uno spiraglio d’ombra, un po’ per sfuggire alla caldazza ma soprattutto per riuscire a vedere qualcosa senza rimanere abbagliati.

Previo approvvigionamento di una buona scorta dei nefandissimi token necessari per rifocillarsi, mi procuro una prima birretta che tenderà inevitabilmente a riscaldarsi nel giro di pochi secondi, per poi appostarmi in una dei punti meno colpiti dai raggi solari, sorseggiando il terribile intruglio nell’attesa degli opener della serata, i Nothing But Thieves, gruppo britannico di cui fino a ieri molto onestamente conoscevo poco o nulla, e verso i quali avevo iniziato a sviluppare una sorta di repulsione atavica per colpa degli infiniti passaggi in radio di quel singolo irritante che è ‘Welcome To The DCC‘.
Dovendo assistere al concerto, ho pensato bene di non arrivare (troppo) impreparato e quindi nelle giornate precedenti mi sono sottoposto ad una sorta di crash course, con una full immersion in buona parte della loro discografia (poi ditemi che le piattaforme di streaming non servono, eh?), solo per scoprire che in effetti quell’odiato singolo risulta abbastanza fuorviante rispetto al sound della band.
Che, grazie al cielo, riesce ad offrire ben più di quel fastidioso ritornello in falsetto.
Peccato che decidano di aprire il concerto proprio con quel pezzo, quindi occhi al cielo nella speranza che finisca in fretta, in modo da lasciare debito spazio a brani decisamente più pregnanti, e che musicalmente parlando si muovono ai confini tra alternative e pop, con qualche richiamo nemmeno troppo velato alle sonorità dei primi Muse.
Suonare alle 18:00 con il sole ancora alto in cielo non è il massimo, ed infatti visivamente la performance non è propriamente di quelle che poi ti fanno scrivere a casa per raccontarla.
Tra i cinque spicca sicuramente il frontman Conor Mason, carismatico quanto basta e dotato di una vocalità che compensa in emotività quel che gli manca in termini di potenza.
Spenderei una nota di merito anche per i due chitarristi Dominic Craik e Joe Langridge-Brown, dalle cui corde si dipana il substrato su cui si intarsia a meraviglia la voce di Mason.
La scaletta è sostanziale e corposa, alla fine suoneranno anche qualcosina in più di Liam Gallagher.
Viene dato spazio largo al nuovo album “Dead Club City”, uscito non più tardi di 48 ore prima, e qui rappresentato da ben quattro estratti, tra cui l’iper-inflazionato singolo di cui sopra.
In tutta franchezze, ho trovato maggior interesse nell’ascolto dei pezzi meno recenti, con particolare menzione per ‘Futureproof‘, con cui di solito usavano aprire i loro show’, la delicata ‘Particles‘ e l’immancabile chiusura con ‘Amsterdam’.
Brilla per la sua assenza quella ‘Ban All The Music‘ che invece avrei proprio gradito ascoltare.
Nell’accomiatarsi dal pubblico, più volte ringraziato nel corso del concerto, Mason rimanda i fan milanesi al prossimo mese di febbraio, quando i Nothing But Thieves si esibiranno da headliners al Fabrique.

Nothing But Thieves

Mentre continua imperterrito l’afflusso di spettatori all’interno di un Ippodromo che si sta progressivamente riempiendo, arriva finalmente il momento forse da me più atteso, quello in cui sul palco si devono palesare i The Black Keys, mai visti primi e sicuramente oggetto di mia estrema curiosità.
Premetto di non esserne un grande fan: loro hanno sicuramente i pezzi ma faccio una fatica infernale ad apprezzarne fino in fondo suoni ed arrangiamenti, che all’orecchio del sottoscritto appaiono sempre un po’ troppo moderni rispetto al sostanziale mix di blues e classic rock che, scavando sotto la produzione, traspare dal loro sound.
Vedere che sullo stage Dan Auerbach e Patrick Carney non ci salgono da soli ma accompagnati da un tastierista e soprattutto dai fratelli Gabbard (Andy alla chitarra, e Zach al basso, in pratica i 2/3 dei Buffalo Killers) mi fa tirare un sospiro di sollievo, ed infatti fin dalle prime note di ‘I Got Mine‘ possiamo finalmente sentire la band come dovrebbe suonare quando dai loro brani viene tolta la patinatura produttiva: puro rock blues, impreziosito dai virtuosismi chitarristici di Auerback, oggi in splendida forma anche dal punto di vista vocale, e perfettamente sostenuto dai ritmi semplici, ma potenti e precisi scanditi dalla batteria di Carney.
La setlist spazia grosso modo lungo tutta la produzione della band, ma si concentra in particolare su ‘Brothers‘, qui rappresentato da ben sei brani, tra cui citerei ‘Ten Cent Pistol‘ ed ‘Everlasting Light‘, lasciando per il finale il grosso degli hits che, detto tra noi, sono la cosa che meno apprezzo dei Black Keys, con quei ruffianissimi «oh-oh-oh» dall’incedere alle mie orecchie piuttosto irritante (anche se tra un coretto e l’altro ci hanno infilato una meravigliosa versione di  ‘Little Black Submarines‘).
Il problema è tutto mio, ovviamente, perché su pezzi come ‘Gold On The Ceiling‘, ‘Wild Child‘ e la conclusiva ‘Lonely Boy‘ le circa ventimila persone presenti non si risparmiano proprio per nulla nel fornire il proprio frastornante supporto vocale ad un Auerback visibilmente soddisfatto, che chiude il concerto quando sul La Maura iniziano finalmente a calare le prime ombre della sera.

The Black Keys

L’attesa per l’esibizione di Liam Gallagher si fa trepidante, quando finalmente dal PA parte ‘I Am The Resurrection‘ dei The Stone Roses, seguita dai cori dei tifosi del Manchester e dai ‘Fuckin’ In The Bushes‘ mentre sui maxi-schermi scorrono le immagini autocelebrative di Liam, sovrastate da tutta una serie di aggettivi tra il serio ed il faceto, che raggiunge il top quando vedo scorrere la parola humble ed a quel punto trattenere una risata diventa per il sottoscritto davvero difficile soprattuto ripensando allo scambio di delicatezze con il povero Mark Lanegan, nel lontano 1996.
Lo ammetto, con gli Oasis ed i Gallagher ho sempre avuto un rapporto di amore/odio pressochè totale: non ne sopporto l’attitudine e mi fa terribilmente incazzare che nonostante questo non riesca a fare a meno di ascoltarli, apprezzarli e, perché no, amarli.
E ancora una volta mi trovo qui, sotto un palco enorme ad aspettare che il buon Liam ci salga sopra… e mi faccia incazzare per l’ennesima volta.
Cosa che per altro gli riesce benissimo.
Solito parka con cappuccio, shorts, occhiali da sole, espressione persa nel vuoto, visibilmente scazzato, probabilmente con qualche problema di salute e neanche del tutto sobrio, poi ti piazza lì una ‘Morning Glory‘ qualsiasi, cantata pure male, ed ecco esplodere l’intero Ippodromo, sottoscritto compreso.
Ok, Liam hai vinto tu anche stavolta: dovevi fare un concerto da un’ora e un quarto, e invece tanta manna se siamo arrivati all’ora e cinque minuti.
Rispetto alla scaletta del giorno prima al Rock Werchter hai fatto sparire ‘C’mon You Know‘; ‘Everything’s Electric‘ brilla per la sua assenza e degli Oasis fai sempre le stesse cose.
Sulla voce, no comment, probabilmente non stavi bene.
Per dirla tutta, sarebbe anche sbagliato dire che alla fine quei ventimila all’Ippodromo ti abbiano perdonato tutto: in realtà avresti potuto cantare le pagine gialle seduto sul cesso, e l’effetto sarebbe stato identico. 
Quelli non ti hanno perdonato perché per loro non c’era nulla da perdonare, erano lì per te, e te hanno avuto, warts and all.

Liam Gallagher

Sono solo le 23, il pubblico defluisce lentamente lungo le vie circostanti mentre da un gruppo piuttosto nutrito di ragazzi parte spontaneamente una ‘Don’t Look Back In Anger‘ che risuona tra i palazzi del Gallaratese mentre camminando sotto la tremolante luce dei lampioni raggiungo finalmente l’auto, metto in moto e penso che, in fondo, in quel coro catartico da fine concerto c’è un po’ tutta l’essenza di questa lunga giornata agli I-Days.

Milano, 1 luglio 2023

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