
High Fade, welcome to the groove machine!
Un Legend Club al limite del sold-out saluta l’energico funk-rock degli High Fade
Il trio scozzese diverte, si diverte e pone le basi per lasciare le strade di Edimburgo e conquistare il mondo
Milano, 10 Aprile 2025
Durante il breve tragitto che separa casa mia dal Legend Club, il locale dove mi stavo recando per assistere al concerto degli High Fade, ho fatto partire lo streaming del loro debut-album “Life’s Too Fast”. In quei pochi minuti d’auto ne sono riuscito ad ascoltare tre pezzi, quanto basta per chiedermi dove diavolo erano nascosti questi tre allegri ragazzi scozzesi cresciuti facendo busking tra le strade di Edimburgo, e per quale insano motivo non me ne sia interessato prima.
Sguinzagliando Google e leggendo quanto ho trovato al loro riguardo, mi son reso conto di essere uno dei pochi pirla che non ne aveva ancora sentito parlare. Sul web i loro pezzi hanno ammassato una trentina di milioni tra passaggi in streaming e visualizzazioni, tra i loro fan spiccano i nomi di Jack Black, di Glenn Hughes, di Brad Wilks dei Rage Against The Machine e persino dei Cypress Hill e di Emily Sandé, e chiunque li abbia visti in azione li sta additando come la next big thing.
Pensavo di andare a vedere il solito concertino con quattro gatti tra il pubblico, ed invece trovo il parcheggio (a pagamento) del Legend totalmente sold-out, costringendomi a dover girovagare non poco alla ricerca di uno spazio per l’auto. Dulcis in fundo, all’ingresso del Club mi son ritrovato in fondo ad una fila di chilometrica di persone, come poche volte mi è capitato di vedere. Eh, sì mi sa che il pirla sono proprio io.
Riesco finalmente ad accedere alla sala concerti, già straripante di gente. La band è appena salita sul palco ma non ha ancora iniziato a suonare. Per miracolo trovo un minimo di spazio vitale nelle retrovie, sulla pedana rialzata che da poco ha fatto la sua comparsa nel club. Il locale è talmente imballato che riesco a vedere i tre musicisti solo dalla cintola in su, perdendomi lo spettacolo del kilt indossato dal front-man Harry Valentino (chitarra e voce), ma non quello del bassista Oliver Sentance, una specie di via di mezzo tra Faso e Geddy Lee.
Lo show prende vita con ‘I Hate This Road’, il brano con cui si accende quella infernale macchina da groove che si rivelano essere gli High Fade. Difficilmente etichettabile, il sound di questo trio edimburghese mescola funk, disco music, soul, rock, metal, rap, jazz e improvvisazione, per dar vita ad un caleidoscopio di suoni e colori sostenuta dal ritmo indiavolato impresso dal basso di Sentance e dalla batteria di Calvin Davidson, su cui scorrazza il virtuosismo chitarristico di Valentino, eccellente anche alla voce e perfettamente a proprio agio nel ruolo di front-man.

I tre suonano compatti e perfettamente amalgamati, il ritmo è irresistibile ed in pochi secondi l’intera sala non può fare a meno di lasciarsi rapire dal groove e dall’energia che i tre sprigionano dal palco. «Voglio vedervi ballare!» urla Valentino, ma è un invito di cui non c’era bisogno alcuno, perché l’intera sala era già in piena estasi danzereccia. Pur avendo un solo album all’attivo, presentato questa sera per intero, gli High Fade ci hanno offerto più di un’ora e mezzo di spettacolo. In scaletta anche altri brani di repertorio non facenti parti del disco ma che, se volete ascoltare, potete tranquillamente trovare sulla loro pagina Bandcamp. In aggiunta anche un paio di cover, tra cui un’acidissima versione di ‘Chameleon’ di Herbie Hancock e – per concludere la serata nel casino più totale – ‘Break Stuff’ dei Limp Bizkit. Quasi una dichiarazione di intenti: siamo qui per spaccare tutto.
In setlist comunque troviamo pezzi a presa rapidissima come ‘Fur Coat’, su cui Valentino chiama il pubblico al controcanto; il singolone ‘Sharpen Up’ che da solo ha raccolto una decina di milioni di passaggi; la più tranquilla ‘Sometimes I Wonder’ ed il funky blues di ‘Taking Care Of Business’. Ciò che colpisce di questa band è la capacità di creare atmosfera e coinvolgere il pubblico in maniera viscerale. Anche coloro che, come il sottoscritto, li hanno appena conosciuti.
Strumentalmente ineccepibili, i tre condiscono i loro brani con sprazzi jammati ricchi di improvvisazioni, concedendosi anche il lusso per un solo di batteria ed uno di chitarra, fortunatamente non tirati troppo in lungo e comunque ben posizionati in modo da non infrangere troppo la surriscaldata atmosfera di questo live, davvero coinvolgente ed accattivante.
Io di solito sull’hype del web non faccio troppo affidamento, tendo a considerare più attendibili i miei occhi e le mie orecchie (anche sa, ahimè, non hanno più lo smalto di una volta). Ma è innegabile che, alla prova dei fatti, quell’hype è risultato ampiamente giustificato. Chi ha avuto modo di vederli questa sera, e nei prossimi giorni nelle restanti date italiane, può ritenersi fortunato. Stando a queste premesse, difficilmente in futuro questa band potrà rimanere confinata negli angusti spazi dei piccoli club di periferia.