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High Fade

High Fade: funk, rock e sfrontatezza dalla periferia di Edimburgo

Dai 30 milioni di visualizzazioni ai palchi infuocati: la band scozzese conquista con energia e autenticità

Un ponte tra funk e rock suonato a tutta velocità, tra pogo, riff e stage diving: gli High Fade sono una vera scossa live

Roma, 11 Aprile 2025

Sono giovani gli High Fade. E come è giusto che sia, il loro approccio, almeno dal punto di vista pubblicitario, è strettamente legato a formule contemporanee, che qualche vegliardo (come il sottoscritto…) potrebbe considerare atipiche. E così, i loro primi singoli non sono stati pubblicati su formato fisico, ma solo in MP3. E come medaglia sul petto non si appuntano vendite roboanti, ma 30 milioni di visualizzazioni.
Poi però arriva il palco. E da che mondo è mondo, senza trucchi e senza inganni, è su quelle assi che il valore di un musicista si misura sul serio.

Gli High Fade non hanno alcuna paura: sfrontati e sicuri dei propri mezzi, sono da mesi in giro con il loro Life’s Too Fast Tour, massacrante serie di concerti che prende il nome dal titolo del loro album d’esordio, uscito lo scorso novembre… questo sì, in formato fisico.

Avevano destato la mia curiosità quando ho letto che a parlarne bene è stato nientemeno che Glenn Hughes, un musicista che adoro per talento e versatilità, capace come pochi altri di gettare un ponte fra il funk/soul più sensuale e l’hard rock più sanguigno; un sommario ascolto on line del loro repertorio mi aveva ulteriormente ben disposto, ma aspettavo la prova del palco per poterli valutare appieno.

Beh, c’è poco da dire, se non che Glenn Hughes ha sempre ragione. O che me ne sono ritornato beatamente a casa con una copia in vinile del loro album. Perché Harry Valentino, Calvin Davidson e Oliver Sentance, lungi dall’essere dei virtuosi dello strumento, sono tre musicisti ben più che competenti; perché hanno la voglia, la freschezza, oserei dire la fame del gruppo giovane, che deve ancora emergere e prova a farlo spremendo tutta l’energia possibile; e soprattutto perché hanno la cosa che conta più di tutte: le canzoni.

High Fade
High Fade

Il punto di partenza di High Fade è senza dubbio il funk: Stevie Wonder, Nile Rodgers, i Meters, i Parliament. E lascia piacevolmente interdetti realizzare quanto quel suono ‘nero’ sia penetrato nel sangue di tre ragazzi bianchi della periferia di Edinburgo. Ma attraverso le note di ‘Fur Coat’, ‘Scorpion’ o ‘Sharpen Up’ quel suono, violentato dalla batteria terremotante di Davidson e dal basso valvolare del baffuto Sentance, si trasforma in qualcosa di man mano sempre più contundente, tanto da ritrovarsi a passare, nell’arco letteralmente di pochi secondi, dal muovere i fianchi seguendo il ritmo all’essere coinvolto in un furioso pogo sottopalco. Un ponte fra il funk ed il rock duro percorso a velocità spesso supersonica, e se l’ascolto in cuffia della loro proposta vede prevalere il primo ingrediente, l’esperienza live testimonia l’avvenuto sorpasso della parte più heavy e viscerale.

Non che manchino momenti decisamente più catchy, come la sognante ‘Sometimes I Wonder’; o autenticamente divertenti, come ‘Bone To Pick’ (in odor di Living Colour) in cui ci ‘costringono’ ad agitare le mani e a farci cantare il refrain ‘To The Left, To The Middle, To The Right’. E si dimostrano anche interpreti tecnicamente dotati, avventurandosi nelle partiture oblique degli strumentali ‘Gossip’ e ‘Chameleon’, quest’ultima presa in prestito dall’ispirato pennino di Sua Maestà Herbie Hancock, un altro signore che nella sua leggendaria carriera ha saputo mediare fra generi apparentemente poco conciliabili quali il funk ed il jazz.

Harry Valentino non è forse vocalist d’eccezione, ma alla chitarra sa mediare fra arpeggi intricati, tapping Van Haleniano e lascivo rifferama disco/funk: però il pubblico viene da lui definitivamente conquistato nel momento in cui scende dal palco e comincia a suonare letteralmente in mezzo a noi. Eppure è niente a confronto del batterista che interrompe il toboga della conclusiva ‘Life’s Too Fast’ per gettarsi a corpo morto sui fans in un impetuoso stagediving degno di un concerto degli Anthrax o dei Circle Jerks dei tempi che furono.

Gli Humble Pie vitaminizzati? Jimi Hendrix al servizio del Groove Metal? I Funkadelic al testosterone? Possiamo definire gli High Fade in qualsivoglia fantasiosa maniera, ma una cosa è certa: se fossimo ancora nel 1975, ed esistesse la possibilità, per una band giovane, di emergere davvero… se ci fosse un mercato florido e non un mondo nel quale si vendono ancora solamente le ristampe di dischi usciti 30, 40 o 50 anni fa… beh, mi sento di scommettere che questi tre scozzesi diventerebbero qualcuno.

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