Daniela Pes e l’Archetipo della Triplice Dea

Da principio era una Trinità; tre Dee, la Fanciulla, la Madre, l’Anziana. Dee archetipiche del Femminile associate con le prime tre fasi del ciclo lunare; crescente, piena e calante. La luna nuova (o nera) simboleggiava la Dea Distruttrice Oscura o, secondo altre interpretazioni, il principio fecondatore maschile.
Mettiamole da parte, non è la sera adatta per evocarle.

Facciamo un salto in avanti di qualche decina di migliaia di anni di anni e arriviamo in Grecia.
La trinità femminile lascia spazio alla religione Olimpica. Nella terna a giocare con le umane sorti entra l’elemento maschile, ma resta qualcosa della precedente religione matriarcale.
Sono le tre Moire, figlie di Zeus e di Temi, che decidevano al momento della nascita il destino di ciascun essere umano.
Custodi del filo della vita: Cloto lo reggeva; Làchesi lo avvolgeva intorno a un fuso e decideva il destino in base al colore, bianco per i giorni felici, nero per i giorni infausti; Atropo lo tagliava nel momento della morte.
Tutti gli Dei erano tenuti all’obbedienza nei loro confronti, in quanto garanti dell’ordine dell’universo.

Oggi, 12 dicembre 2023, torno al Qube dopo un tempo indeterminato. Una prima birra mi dà la giusta lucidità per datare al 2008 la mia ultima apparizione: ritrovo tutto come lo avevo lasciato. Il locale di via di Portonaccio è lo specchio della città che lo ospita, è cambiato, invece, il pubblico. Pochi reduci come il sottoscritto, età media piuttosto giovane e respiro internazionale insolito per Roma. La Biennale MArteLive ogni due anni offre spazio alle nuove tendenze emergenti di musica, teatro, pittura, fotografia, teatro, danza, video art. Un pot-pourri che, meriterebbe ben altra visibilità e infrastrutture e luoghi più adeguati alla musica.

I palchi sono due; al piano terra si esibiscono le nuove proposte e per arrivare al mainstage si sale di due piani. Giro un po’ alla scoperta di opere e artisti, poi arrivo ai piani superiori. Lounge e chillout music, in tempo per apprezzare l’opening di Piove..
I due punti non sono un errore: si scrive Piove. e si legge piovepunto, misterioso e accattivante progetto di un’artista senza volto. Elettronica, hip hop, jazz, ritmiche tribali, visual show futuristici e distopici. Ahimè, l’impianto ha del vergognoso; il locale è una discoteca e non una sala per concerti, costante romana, le casse sono troppo vicine al palco e spesso vi sono dei rientri fastidiosi. Non saranno gli unici inconvenienti della due giorni.

Daniela Pes

E alle 22.20, dalle nebbie dell’inconscio collettivo, appare Daniela Pes ed evoca l’archetipo della Triplice Dea. L’artista di Tempio Pausania, vincitrice pochi mesi fa della Targa Tenco per la miglior opera prima con il disco “Spira”, troneggia al centro tra le due musiciste accompagnatrici: Mariagiulia Degli Amori alle percussioni e Maru, al secolo Maria Barucco, alle tastiere ed elettronica.
Le luci di palco esplorano le possibili variante delle tonalità del blu. Bassi potenti, sonorità elettroniche, sfumate nel dark e improvvise aperture su orizzonti mediterranei. È cerimonia pagana, tribalità percussive in alcuni casi non convenzionali (catene e lastre metalliche), ossessioni elettroniche, polifonie vocali marchio di fabbrica della musica popolare sarda.

Gli elementi etnici compenetrano le sonorità avveniristiche. Durante l’esecuzione di ‘Carme’ ho l’epifania delle Moire greche tessitrici delle vite umane e dei destini dell’universo. Intorno a me uomini ammutoliti davanti alle Dee, adoranti e terrorizzati, speranzosi di captarne benevolenza e la misericordia. Uomini appesi a un filo sottile.
La musica scorre su tempi ternari, sui quali si dondola il cantato della Pes, in una lingua che nasce dalla fusione di dialetto gallurese, italiano e parole onomatopeiche inventate. l’Idioma di una religione della natura, precorritrice della civiltà che un giorno verrà a sostituire, o a salvare, la razza umana.

Viene dal jazz Daniela Pes, ma volge il suo sguardo verso Laurie Anderson, Lisa Gerrard, Kate Bush o Elizabeth Frazer che non a vocalist più tradizionali. ‘Làira’ è un mantra polifonico in cui le mie orecchie credono di cogliere armonizzazioni costruite su intervalli di seconda che fanno un po’ “Mistero Delle Voci Bulgare”. Più in generale, nonostante la massiccia presenza dell’elettronica è  forte il legame e il radicamento con le storie della sua isola. Traspare l’anima popolare dell’Ichnusa, sofferta, struggente, contadina e fortemente legata al mare.

Purtroppo, la performance è in parte penalizzata della non buona acustica della sala e, come detto, da un impianto non all’altezza. Il suono risulta in alcuni momenti impastato e poco definito, tende a perdersi e, con il suo assottigliarsi, tende a calare l’attenzione del pubblico. Al religioso silenzio della prima mezz’ora si sostituisce un leggero brusio di fondo che disturba l’incantesimo e l’incanto. Forse alla lunga tutto risulta un po’ uniforme e può stancare. C’è bisogno di un elemento che irrompa a perturbare e a scuotere i chakra più vicini alla terra e lasciare che siano i corpi a raccogliere le vibrazioni più “basse” e reagire di conseguenza.
Tradotto: sfruttare di più le percussioni per riportare in alto l’energia e il tiro.

Ma per una divinità, leggere nei pensieri degli umani è un gioco da ragazzi, e questo accade con ‘Arca’, brano che chiude il set, catartico, purificatore. È qui che la Dea una e trina rivela il suo vero volto, non oscuro, ma celeste. Alla fine del set Daniela, Mariagiulia e Maru si abbracciano radiose. Non più le Moire greche, imperturbabili, insensibili e spietate con il nostro destino, ma Saraswati, Lakshmi e Parvati, i tre volti di una dea assoluta e primordiale dello shaktismo, una delle tante scuole dell’induismo.
Saraswati, dea dal potere creativo, legata all’arte, alla conoscenza e all’apprendimento; Lakshmi, dea della prosperità, dell’armonia della condivisione e della crescita attraverso lo scambio; Parvati, moglie di Shiva, dea della molteplicità, dea bambina, donna e vedova.
Tre volti, tre maschere di una Dea assoluta primordiale, della quale ogni madre, ogni compagna, ogni amante e ogni figlia sono un aspetto.
Il mio cuore e la mia mente seguono i venti verso est e volano a Varanasi.

Poi improvvisamente dietro di me uno urla come dopo un gol nei supplementari della finale di Champions League.
L’India anche stavolta aspetterà.
Bentornato a Casalbertone, bellezza.

Roma, 12 dicembre 2023

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