Godblesscomputers – Veleno

Lorenzo Nada ha una mente estremamente vivace.
Parafrasando, Godblesscomputers ha creato un disco incredibile.

Prendere in prestito suoni e rumori provenienti dal mondo circostante non è certamente pratica nuova.
In questo caso, però, non si parla di una mera ricerca accademica, eventualmente fine a se stessa; ci troviamo di fronte ad una necessità, un’urgenza filosofica che risulta indispensabile ai fini della speculazione sull’essenza più profonda e immateriale del disco e che, indubbiamente, lo nobilita.
Esso è figlio di Natura e Uomo.
Queste due entità si contaminano a vicenda, incessantemente.
Tale inquinamento possiede la sua più tangibile rappresentazione proprio in un’opera come questa, frutto delle forme di Natura più immediate e dirette (Acqua, Terra, Aria e così via) così come quelle relative all’Uomo, nella figura del nostro protagonista, e delle dinamiche invece più recondite e, se vogliamo, iperuraniche che riguardano il continuo intrecciarsi/scontrarsi dei nostri due soggetti.

Veleno diventa una massa che massa non è.
Una sostanza al quale non riusciamo ad attribuire una consistenza, un “qualcosa” di incatalogabile, che esula certamente da qualsiasi considerazione che potremmo anche soltanto sforzarci di fare.
Componenti urban, essenza elettronica/elettrica, vagiti trip-hop, visione in terza persona di un’immaginifica potenza e non potenza stessa, e questo è molto importante.
Viene attuata una grandiosa opera di snellimento delle cupe atmosfere tipiche dei generi citati poco sopra, proprio attraverso un registro poetico estremamente bucolico (Nothing To Me, Yuan).
Il corpo lascia spazio all’anima, libera di manifestarsi in tutto il suo splendore, finalmente padrona di sé stessa e non più prigioniera.

Così, Seventh Floor e I Cry diventano l’essenza del ritmo, gioia di lasciarsi trasportare da un fresco fiumiciattolo di suoni e di colori, immersi in un verde e rigoglioso bosco sotto una volta celeste che non abbiamo mai visto così pura.
What We’ve Lost diventa un manuale su come perdersi in un bicchiere d’acqua seguendo la lezione downtempo di inizi anni ’90.
Lo spirito diventa più forte della materia, la sensazione più forte dello stimolo, la fruizione più forte dell’analisi.
Orange cesella la chiusura perfetta di un lavoro corto (7 tracce in mezz’ora) ma concentratissimo, calibrato al millesimo.

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