Venerus, troppi accessori senza direzione

Mi aveva colpito Andrea Venerus, in arte Venerus.
Era la primavera del 2021 mentre provavo a recuperare normalità nella mia vita.
In quel periodo non facevo molto di più che dormire, allenarmi nel soggiorno e guardare la televisione.
Lui era ospite di una seguita trasmissione del venerdì sera ed eseguì dal vivo ‘Lucy‘, canzone estratta da “Magica Musica”, suo primo lavoro uscito pochi mesi prima.
Dopo mezz’ora lo rividi alle prese con ‘Vedrai Vedrai‘, di Luigi Tenco, ma mi ero già innamorato del primo pezzo: strofe strabordanti di soul e black music, punteggiate da stacchi in levare di una sezione fiati. Impossibile da ascoltare tenendo il bacino fermo.
Poi un ritornello ammiccante, testo fiabesco e riferimenti espliciti all’interpretazione più psichedelica e lisergica della lennoniana ‘Lucy in the Sky With Diamonds‘.
Di seguito ascoltai il disco: ottima produzione e miscela equilibrata di digitale e analogico e canzoni jazzate con tocco di autotune (evidente scelta stilistica).
Featuring importanti (Calibro 35 in primis), arrangiamenti e cura dei dettagli sonori.
E poi ancora ‘Lucy‘, nel suo cielo di diamanti padrona del mio cuore.

Venerus

Mi aveva colpito, ma per motivi diversi mi era sempre sfuggito Andrea Venerus.
E allora sotto con il “Tour 18-23”, una summa dei suoi primi cinque anni di carriera, dal primo Ep (“A Che Punto È La Notte”) al recentissimo “Il Segreto”.
Arrivo all’Orion con discreto anticipo e trovo un pubblico giovanissimo che non mi aspettavo.
Un tempo mi sarei insospettito e avrei arricciato il naso ma di recente ho apprezzato, anche parecchio, artisti che vanno per la maggiore tra coloro che potrebbero essere miei figli.
Quindi via i preconcetti, va bene così.
Certo, basta una sola occhiata al parterre perché sembri di trovarmi in mezzo a un campo scout: più di un’ora all’inizio del concerto e un centinaio di ragazze e ragazzi sono sottopalco, seduti.
La postura delle gambe è garanzia del perfetto stato di salute delle loro cartilagini meniscali e certifica la loro età.
Le ragazze sono in maggioranza e da un momento all’altro mi aspetto una chitarra, coccodrilli, piccoli serpenti e aquile reali.
Come prevedibile, non si vedono i leocorni.

A sinistra del palco una batteria con il logo dei Pooh sulla cassa; sulla destra, per esigenze di bilanciamento percettivo, un piano elettrico con due mani posticce che spuntano dalla parte superiore e fanno il segno dell’Om.
Sempre sul piano, completano la visione una sveglia e decorazioni psichedeliche.
La gentilezza di un’anima bella fa sì che la scaletta del concerto mi arrivi con un Whatsapp delle ore 20.53, con un anticipo di trenta minuti sull’inizio del live.
Prima scorsa all’elenco dei pezzi e prima perplessità: ventisette canzoni.
O faremo le due di notte, o farà come i Ramones.
Spoiler: sarà una via di mezzo e il concerto durerà due ore e mezza.
Seconda scorsa all’elenco dei pezzi e prima delusione: ‘Lucy‘ non è in scaletta.
Terza scorsa all’elenco dei pezzi e prima sorpresa: il featuring di due tra i più noti e amati esponenti della scena cantautorale hip-hop e rap.
No spoiler stavolta, scoprirete tutto tra poco.
Secondo fonti bene informate, i due nomi sarebbero stati inseriti e divulgati preventivamente per richiamare il pubblico: se così fosse, l’idea avrebbe dato buoni risultati.
Non c’è il sold out della serata precedente con i The Darkness ma l’affluenza è buona: a occhio posso contare circa 700 persone.


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La band è essenziale, ma con una porta sempre aperta all’elettronica: chitarra elettrica, basso, batteria, piano e tastiere, computer e sequenze.
L’artista cresciuto nel quartiere di San Siro passa all’occorrenza dal piano elettrico a una seconda chitarra.
Indossa abiti femminili, gonna e un top con bretelline, a ricordare una ballerina o forse una sposa.
Contrasta la vistosa barba rossa, posticcia, che si ammira nella sua foto di copertina de “Il Segreto”.
L’effetto è un po’ raffazzonato, ma non ci bado troppo mentre scorre un’intro rock/blues che crea nella mia mente l’immagine di una sala prove.
Venerus è camaleontico nel presentarsi su palco.
Il primo outfit – forse sarebbe più corretto parlare di travestimento – va via dopo cinque o sei pezzi, quando esce dal palco per ripresentarsi con maglietta e cappellino.
Suscita diversi «oooooh» di sorpresa tra il pubblico femminile, ma non sarà l’unico cambio d’abito: lo vedrò più tardi con una camicia sgargiante e ancora abbigliato in modo simile a come appariva sulla copertina di “Magica Musica”.
È camaleontica anche la sua musica, contaminata da diversi generi: si va dal mainstream pop adolescenziale, un po’ troppo facile, all’hip hop, al soul di ‘Non Imparo Mai‘ con un organo carico di suoni neri.
In altri pezzi – vedi ‘Fulmini‘ – linee vocali rap sono commiste a suoni e arrangiamenti psichedelici.
Altre volte l’elettronica conquista la scena – è il caso di ‘Rave‘ – e sfocia in una coda techno in cui il bassista da sfoggio delle sue abilità coreutiche, o diventa trip/hop e lo-fi come in ‘Forse Ancora Dorme‘.
Love Anthem n°1‘ si apre con suoni e atmosfere funky e dance alla ‘Figli delle Stelle‘ e chiude con assolo di hammond quasi in stile Motown: è uno dei due tre brani che risaltano nel lungo elenco di quelli presenti in setlist, insieme a ‘Fuori Fuori‘ con riff e svisate di Telecaster carichi di saturazione valvolare, e ‘Bellusco Blues‘, con intro sperimentale su cui si inseriscono cassa dritta, fraseggi blues di piano e fraseggi di chitarra in risposta

Eppure, c’è qualcosa che stona: sto cercando da un’ora e mezza l’anima del live senza trovarla.
I pezzi sono ben confezionati e ben suonati, ma si perdono dietro questo voler essere tante, troppe cose tutte insieme.
La pervasività del trasformismo alla Zelig nella musica si traduce, nel caso di stasera (perché non posso sapere cosa sia accaduto o accadrà in altri live), in mancanza di identità.
E senza identità difficilmente metti su un concerto e dei pezzi che abbiano cuore, a meno che non si pensi che bastino i cuoricini periodicamente rivolti al pubblico (fatti unendo pollice e indice delle mani) per due ore e mezza.
Forse sarebbe opportuno riflettere prima di fare dichiarazioni roboanti («mi ispiro a Miles Davis e a David Bowie»), per guardarsi dentro e trovare la sua sorgente creativa: David Bowie sapeva quale fosse il suo obiettivo.
A vederlo stasera, Venerus sembra nascondere dietro gli outfit e i discorsi sui massimi sistemi della musica un’immaturità artistica nascosta sui dischi da un eccellente lavoro di produzione.
Quanto a Miles Davis, beh, per cortesia…

E poi meglio aspettare di diventare Springsteen e di avere almeno la metà della sua capacità di stare sul palco prima di pensare ad una setlist di ventisette pezzi. 

Consideravo Venerus, insieme a Lucio Corsi e Lazza, una parte importante del futuro del cantautorato italiano ma alla prova di questo live dimostra di essere diverse spanne sotto rispetto al primo e di non possedere nemmeno la presenza, la centratura e l’energia esplosiva del secondo.
Veste la sua musica di troppi accessori e la sensazione è che non sappia ancora bene dove direzionarsi.
Alla fine preferisce mirare in basso, attento prevalentemente al successo commerciale che gli può arrivare dai giovanissimi – e in questo senso, stasera ha tre alleati.
I primi due sono Franco 126 e Gemitaiz, invitati sul palco per eseguire ‘Senza di Me‘, brano del rapper della Serpentara, scatenando una tempesta di smartphone alzati e urla femminili.
Il terzo è un calibro pesante: allo scoccare della seconda ora di concerto, imbraccia la chitarra acustica ed esegue una cover de ‘La Collina dei Ciliegi‘ di Lucio Battisti.
Datata 1973 e contenuta nel lavoro “Il Nostro Caro Angelo”, è il momento più intenso del concerto: tutto l’Orion canta all’unisono.
A distanza di mezzo secolo Battisti continua a far impazzire le generazioni.

Quello che mi porto a casa dopo una serata così è che puoi girarla come ti pare.
Puoi giocare con l’elettronica, il jazz, la psichedelia, il trip hop, il rap, il soul e il rock.
Puoi avere un pubblico di bisnonni, nonni, genitori, nipoti e pronipoti.
Alla fine, vince sempre lui – Battisti.

Ciampino (RM), 14 novembre 2023

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© Giulio Paravani

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