Vasto Siren Festival 2016: per noi contano i dischi, i bagni nel mare, l’umanità

Per me contano i dischi, i bagni nel mare, l’umanità…

Se si potesse racchiudere l’esperienza del Siren Festival in una frase, di sicuro questi versi di ‘Post Punk‘ de I Cani sarebbero da incidere sulle mura della città.

Il Siren Festival è ormai una realtà consolidata nel panorama festivaliero estivo italiano e non solo. La rassegna abruzzese è probabilmente l’evento più importante per un certo movimento musicale che riesce a far convivere l’anima elettronica e quella rock.
Il programma anche quest’anno, infatti, proponeva il doppio binario con frequenti e piacevoli incontri e cortocircuiti.

La struttura ricalcava la falsariga delle scorse edizioni: quattro giorni di musica e non solo, a partire da giovedì 21 luglio con la presentazione di “Aladdin” da parte di Adam Green fino alla festa in spiaggia che chiude ufficialmente la rassegna musicale come in una grande festa in cui si uniscono organizzatori e spettatori (24 luglio).

A Lee Ranaldo, cofondatore dei Sonic Youth (ma anche apprezzato solista con una carriera che parte dal 1987) è toccato il primo showcase del festival, con un set acustico capace di introdurre all’atmosfera dei giorni successivi.

Ph. © Giulia Razzauti
Ph. © Giulia Razzauti

Venerdì 22 luglio

Il venerdì era probabilmente la giornata più densa di concerti, per numero e qualità degli artisti che si sarebbero esibiti a partire dalle 19 del pomeriggio.
Ad aprire la giornata però uno degli appuntamenti più apprezzati della manifestazione che oltre alla proposta musicale proponeva anche degli incontri con scrittori e, nel caso del 22 luglio, anche con apprezzati fumettisti come Angelini e Taddei che hanno presentato Anubi insieme a Gli Scarabocchi di Maicol e Mirco. Il mondo del fumetto è probabilmente la realtà che più si avvicina, all’interno del mondo dell’editoria alla filosofia del Siren Festival e per questo l’incontro dedicato alla presentazione di questi libri è stato un momento ben calibrato ed anche partecipato del festival.

A Porta San Pietro intanto cominciavano gli show gratuiti che mettevano in mostra molte delle migliori realtà emergenti del panorama nazionale, a partire dai Pop X, famosi per la loro produzione ma soprattutto per i loro brillanti remix tra cui quello con cui hanno dato ampio sfogo alla loro vena goliardica di ‘Luca lo stesso‘.

A.R. Kane sul palco principale intanto fanno da intermezzo per il set di Nosaj Thing che nel Cortile D’Avalos impiega qualche minuto per entrare in sintonia con la platea, è un’esibizione in crescendo la sua che riesce alla fine a cogliere nel segno nonostante un inizio balbettante.

Ph. © Giulia Razzauti
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Immaginate di assistere ad una partita di tennis, a tratti il Siren, con i suoi orari quasi svizzeri, sembra proprio un math del genere con il suo via vai di persone che cercavano di non perdere nemmeno un’esibizione. Uno sciame di persone guidato dalla musica in cortei rilassati e pacifici, accompagnati da molta birra e anche dagli immancabili arrosticini, di cui sono stati vittima anche gli artisti, come ad esempio i Notwist che tra gli stand hanno dimostrato di apprezzare parecchio la cucina del posto.

Yakamoto Kotzuga e i Parrots dal canto loro hanno dimostrato quanto si dice di buono su di loro, specialmente sul giovane produttore italiano che a dispetto dell’età porta a casa una bella esibizione.

Il live di Calcutta è storia a parte perchè è proprio quest’artista a fare storia a parte da più di un anno. In pochi mesi è stato in grado di arrivare a tutti, nel bene e nel male, il suo album Mainstream è stato profetico, portando il suo cantautorato misto a liriche non sense in ogni parte dello stivale, fino ad arrivare sul palco principale del Siren Festival.
Piazza del Popolo ha accompagnato l’esibizione cantando tutto o quasi, perché Edoardo ha dato anche spazio a brani di “Forse”, oltre chiaramente all’ultimo singolo ‘Oroscopo’.
In piazza si canta, ed anche tanto, e forse è proprio questo che le persone cercano quando ascoltano Calcutta, cantare.
Stop, senza farsi troppi problemi, con buona pace di chi storce il naso quando vede il suo nome associato al genere “cantautore”. Quando si sta per andare via ed il concerto sembra finito ecco rispuntare Calcutta accompagnato da Niccolò Contessa a regalare un bis voce e piano in cui i due cantano ‘Cosa mi manchi a fare’.

Ph. © Giulia Razzauti
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Con Calcutta inizia il momento migliore del festival, in un crescendo di emozioni che porta al palco di Cosmo.
Definire palco quello dove si è esibito Cosmo poi è un eufemismo perché il live di Marco Jacopo Bianchi è stato senza dubbio quello più intenso di tutto il festival, un artista che ha saputo unire l’elettronica al cantautorato e che con il suo secondo lavoro solista “L’ultima Festa” sta girando lo stivale in lungo e in largo facendo parlare molto bene si sé. Il suo concerto parte con un’attitudine punk, con i fan ad aspettarlo impazienti, quasi a dire che Porta San Pietro sta stretta a questo artista che riesce ad infiammare i presenti portandoli a debordare fino a ridosso dei suoi musicisti in un finale fatto di sudore, urla e tantissima carica. Il concerto che lo stesso Cosmo ha definito “probabilmente il più bello della sua carriera” per chi lo ha vissuto dal vivo è stata una botta di vita, seconda a nessuna performance del festival. L’esibizione giusta per arrivare agli headliners della serata, gli Editors.

Un gruppo che non ha bisogno di presentazioni, in grado di radunare una folla che nemmeno lo scorso anno si era riusciti a vedere in Piazza del Popolo.
Il loro concerto è una garanzia: profondità, ritmo, elettronica e tanto cuore, tutti in gradienti mischiati a dovere a partire dai vecchi classici come ‘Smokers outside the hospital door’ e ‘Bones’ fino ad arrivare alle recenti ‘No harm’ e ‘Forgiveness’ passando per le immortali ‘Papillon’ e ‘Munich’. Esibizione senza sbavature che conferma quanto si dice di buono della band di Stafford. La voce di Tom Smith riesce a rapire il pubblico con la stessa disinvoltura con cui sa farlo ballare.

Ph. © Giulia Razzauti
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Dopo gli Editors i dj set di Low.E- Harmonized e Marco Passarani chiudono una giornata di musica che a voltarsi indietro per riguardarla pare enorme, per come è stata interpretata dai suoi protagonisti e per quanto è riuscita a sorprendere in molti live.

Sabato 23 luglio

Il sabato si apre con la presentazione di ‘Superonda’ di Mattioli, Robertini e Chiara Colli. Un libro che sembra parlare della scena italiana di questi anni, ovvero della storia segreta della musica italiana che parte dagli anni 60. Un bel viaggio utile a riscoprire artisti spesso tralasciati e a volte sottovalutati. La componente che ha caratterizzato la terza giornata è stata quella degli imprevisti, a partire dal forfait di Gold Panda, passando per il ritardo di Rodion, fino al meteo che ha portato tutta la scaletta a slittare di mezz’ora.

Probabilmente a bocce ferme e dopo aver assistito alle loro esibizioni mi sento di dire che Thurston Moore e la sua band avrebbero meritato il palco principale a discapito dei Notwist. L’esibizione dell’ex Sonic Youth infatti è stata un viaggio incredibile all’interno di sonorità e scenari a tratti soporiferi, in territori della mente che difficilmente si raggiungono con altri performer. Il pubblico che ha gremito il cortile ha assistito al rito celebrato da Moore in modo quasi sacrale. L’empatia tra palco e platea era totale e difficilmente si riusciva a sfuggire al suono compatto della band.

Ph. © Giulia Razzauti
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D’altro canto i Notwist che hanno suonato per intero “Neon Golden” hanno faticato a trovare, a mio parere, punti di contatto con gli spettatori.
Il loro live è stato tecnicamente ineccepibile, le soluzioni sul palco erano svariate e il mio non è certo un giudizio di merito, ma è innegabile che il feeling con chi era lì sotto ad ascoltare è scoppiato soltanto con la conclusiva ‘Consequences’.

Ph. © Giulia Razzauti
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Sul versante San Pietro invece la sorpresa di giornata è stato Francesco Motta.
La sua esibizione ha seguito quella di His clancyness, uno dei gruppi italiani di maggior respiro internazionale, e quella degli Holy Strais.
Motta
 ha dimostrato quanto un live può dare forza ad un album (“La fine dei vent’anni”) piuttosto che il contrario. Francesco Motta, che solo pochi anni fa girava l’Italia suonando con Giovanni Truppi, con il suo album d’esordio è riuscito a far puntare molti occhi su di lui, nonostante il suo atteggiamento schivo ai limiti della timidezza appena imbraccia la chitarra o le bacchette diventa un animale da palcoscenico.
Le sua canzoni lo trasportano lontano, e accompagnato da una band eccellente, riesce a regalare uno dei live più intensi a questa manifestazione.

Ph. © Giulia Razzauti
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Dall’altro lato della piazza intanto Powell con i suoi suoni scostumati sta spettinando molte teste, un’esibizione la sua senza sconti, ne tantomeno timori reverenziali, anzi rimane quasi rammaricato di non riuscire a continuare ancora un po’, una delle costanti di un programma che ha incastrato in poche ora un numero davvero alto di esibizioni e quindi per questo motivo doveva essere inflessibile.

Tutto secondo programma quindi se non fosse per la gradita sorpresa di trovarsi Josh T. Pearson che da una terrazza a metà strada tra piazza del Popolo e Porta San Pietro improvvisa un live a sorpresa con schiere di fan distesi sulle aiuole sottostanti ad ammirare un po’ lui e un po’ il cielo finalmente sgombro da quelle nuvole che per qualche ora avevano fatto temere il peggio.

Giusto il tempo di riprendersi e riposizionarsi che I Cani sono già pronti con ‘Questo nostro grande amore’ pezzo d’apertura del loro ultimo e fortunato album. Il loro live, da headliners, non tradisce le aspettative, tra il pubblico e nel backstage si intravedono anche alcuni artisti cantare e ballare.
La scaletta di Contessa e soci alterna vecchi classici a successi recenti senza sosta, all’appello non manca quasi nessun brano. A farla da padrone sono senz’altro l’album d’esordio e “Aurora”, ma probabile è con ‘Vera Nabokov’ che lo show raggiunge uno dei suoi massimi livelli di intensità. È il trionfo della nuova musica italiana, un’esplosione di suoni e di parole che riescono finalmente a decretare come un movimento musicale come quello che molti per brevità definiscono ‘indie’ possa fare numeri importanti e possa parlare a molte più persone di quanto si immagini.
Niccolò chiude questo live come d’abitudine nel suo tour lanciandosi sul pubblico e questo è davvero tutto, o quasi.

Ph. © Giulia Razzauti
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Si ha appena modo di recuperare l’esibizione di Rodion, live che magari fatto nel pomeriggio avrebbe attirato e meritato più persone, ma che nonostante tutto al suo termine lascia molti a chiedere l’ultimo pezzo. Tutto molto bello, anche se oramai è quasi finito.

Giusto il tempo di assaporare l’ultima, a tratti mistica, esibizione di Josh T. Pearson nella chiesa di San Giuseppe, la stessa chiesa da cui dei miscredenti il giorno prima avevano intimato a Thurstone Moore di interrompere le sue prove perché interferiva con un matrimonio!!

La musica è comunione d’intenti, è una comunità di persone familiari anche se sconosciute, Vasto è questo, un punto d’incontro in cui potersi riconoscere sotto un palco, alla fine di una performance, nella corsa verso un’altra esibizione o nella scoperta di artisti nuovi.
In Italia e non solo è ormai un punto di riferimento per poter ascoltare le migliori proposte musicali venute fuori dalla discografia invernale ben miscelata con i padri nobili dell’indie rock e dell’elettronica.
Il Siren è un festival orizzontale dove la distanza tra artista e spettatore è abbattuta, dove puoi bere una birra parlando con il tuo performer preferito e dopo pochi minuti assistere al suo live attaccato ad una balaustra.
Per questo e per mille altri motivi, al netto di preferenze artistiche, logistiche o organizzative ogni anno alla fine del festival la sensazione è sempre la stessa, cercare di capire quanto manca alla prossima edizione.

Ph. © Giulia Razzauti
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