Sting, just an Englishmen in Rome

A torto o ragione, presumo che anche voi abbiate una personale black list di brani che per i motivi più svariati (non per forza logici o condivisibili) non sopportate.
Per quanto mi riguarda l’elenco non è lungo ma ne fanno parte canzoni, forse, insospettabili.
Canzoni che hanno raggiunto anche successi di una certa importanza che, però, appena incrociano il mio timpano hanno il potere di cambiare (in peggio) l’andamento della giornata.
Uno di questi brani è ‘Every Breathe You Take‘.

L’odio nei suoi confronti mi ha portata per molto tempo ad ignorare i Police.
Sì, lo so, sembra assurdo e suona come un’eresia, vero?
Perché non ascoltare i Police significa perdere lungo il cammino un tassello fondamentale nel passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta.
Anzi aggiusto il tiro: ascoltare musica è un conto, (tentare di) capirla è un altro.
Con i Police non ci si può fermare ad un ascolto fugace: hanno portato un nuovo suono nel panorama musicale, combinando elementi di rock, punk, reggae e new wave e dando vita ad uno stile innovativo. 
Con testi intelligenti e impegnati, hanno affrontato tematiche sociali e personali, conquistando man mano un pubblico sempre più vasto.
La loro maestria tecnica e la capacità di sperimentare con nuovi suoni hanno ispirato generazioni di musicisti, contribuendo ad influenzare il rock e la musica pop per molti anni a venire.

E arriviamo quindi ai giorni nostri.
Luglio 2023, calendario alla mano: Stewart Copeland ospite ad Umbria Jazz, Sting al Roma Summer Fest.
Il mio interlocutore è Giulio.
«Perugia e Roma distano tra loro un paio di ore, te lo immagini cosa può accadere? Sta a vedere, Sting ci fa la sorpresa e chiama ospite Copeland».
Nonostante fosse scritto ovunque che entrambi i concerti si sarebbero tenuti la sera del 14 luglio, il mio cervello aveva sdoppiato l’informazione: a lungo sono stata convinta che Copeland avrebbe suonato il giorno prima di Sting.
Insomma, ‘sta carrambata, sul palco a Roma, s’aveva da fare per forza.
Dopo aver appurato che gli eventi sarebbero stati in contemporanea, il sogno di una notte di mezza estate è svanito senza tuttavia intaccare l’entusiasmo nel rivedere dal vivo Mr. Sumner.

Il «My songs 2023» ha richiamato all’Auditorium Parco della Musica poco più di 5.000 persone, la serata è andata a stretto giro sold out.
L’apertura è affidata a Joe Sumner: esteticamente, vocalmente e stilisticamente si sente l’eco del genitore.
Figlio maggiore di Sting, Joe è un musicista e cantautore di talento.
La sua carriera inizia con diverse band indipendenti ma è con i Fiction Plane che raggiunge il successo negli anni Duemila.
Sebbene abbia sviluppato il proprio stile musicale, è inevitabile che venga paragonato al padre.
Tuttavia, Joe Sumner ha dimostrato di essere un artista affermato, guadagnandosi il rispetto dei fan e dei critici musicali.
La sua eredità familiare gli ha sicuramente aperto le porte giuste nel mondo della musica ma sono il suo talento e l’impegno ad averlo aiutato a farsi un nome nell’industria musicale e a Roma è stato accolto con benevolenza e calore.

Joe e Gordon Sumner

Al termine dell’opening calano le luci della sera, non si respira, l’afa è alle stelle e serve una boccata d’aria.
Il quesito più gettonato, per chi non ha voluto sbirciare quanto accaduto nelle tappe precedenti del tour: «Chissà come sarà la scaletta».
Dopo lo scioglimento della band, Sting ha intrapreso una prolifica carriera solista ottenendo grande successo con album come “The Dream of the Blue Turtles” e “Ten Summoner’s Tales”.
La svolta pop degli anni post Police da un lato ne evidenzia la versatilità artistica ma non al punto da lasciare un’impronta incisiva come con le produzioni precedenti.
E poi, siamo onesti: chi oggi sceglie di assistere ad un concerto di Sting lo fa con la speranza che la scaletta sia tratta dalla discografia con i Police (Gordon, perdona ma apprezza la franchezza).

Finalmente le luci si abbassano e poco dopo sul palco appare Sting, il cui ingresso è preceduto dalla band (Dominic e Rufus Miller alle chitarre, Shane Sager all’armonica, Kevon Webster alle tastiere, Josh Freese alla batteria e le vocalist Gene Noble e Melissa Musique). 
Nell’aria si elevano le note di ‘Message in a Bottle‘ e con esse anche le speranze nei confronti della setlist.
Siamo parte di un fenomeno di isteria collettiva: braccia alzate e si balla, si cantano con una voce sola l’elegante e jazzata ‘Englishman in New York‘ e la perla pop rock ‘Every Little Thing she Does is Magic‘.
Se fino a qualche minuto prima era un bagno di folla che boccheggiava, adesso c’è un bagno di sudore che vive di una nuova energia – in pratica, il caldo che non molla la presa non è più una preoccupazione per nessuno.

Dalla partenza in stile Police si passa ben presto ai brani della produzione solista: ‘If it’s Love‘, ‘Loving You‘ e ‘Rushing Water‘, tratti dall’ultimo disco (“The Bridge”, 2021), vengono apprezzati timidamente da un pubblico attento ma che non si fa coinvolgere.
Si torna poi con ‘If I Ever Lose My Faith in You‘ e ‘Fields Of Gold‘ (“Ten Summoner’s Tales “, 1993) seguite da ‘Brand New Day‘ (dall’omonimo album del 1999) e la serata prende così una nuova spinta.
La produzione solista pesca dai dischi degli esordi i brani più conosciuti di Sting, ottimo anello di congiunzione tra la parentesi dell’ultima uscita discografica e quella che è la sua vita precedente.

Il mio sogno di un duetto sul palco in Cavea, Sting in parte lo esaudisce: a sorpresa chiama accanto a sé Giordana Angi per l’esecuzione di ‘For Her Love / Amore‘.

C’è spazio anche per un richiamo al reggae ed un omaggio a Bob Marley con ‘No woman no cry‘ incastonata tra le sempiterne ‘Walking on The Moon‘ (“Regatta de Blan”, 1979) e ‘So Lonely‘ (“The Police”, 1978).

Sting dal palco incanta: è magnetico, affascinante e non perde un colpo.
Soprattutto, sembra l’unico a non soffrire le temperature estenuanti nonostante le luci sul palco siano un’aggravante al caldo afoso che ci circonda.
Sorride, tiene ben saldo in mano il suo Fender Precision ma non parla molto.
O meglio, parla il giusto: è accogliente pur mantenendo un aplomb tipicamente British, si diverte (e lo intuiamo) ma.
C’è una compostezza di base, un freno che gli impedisse di essere uno di noi.

Durante la serata ho scattato una fotografia, eravamo ancora nel limite dei tre brani consentiti ai fotografi professionisti e nello specifico durante l’esecuzione di ‘Every Little Thing she Does is Magic‘.
Basso a tracolla, Sting si ferma ad osservare il pubblico ed alza le braccia verso i 5000 fan che cantano al posto suo.
Se guardo quella foto penso debba essere un’emozione indescrivibile trovarsi davanti a persone (la cui età media è alta) che dopo quarant’anni sono ancora fedeli all’artista.
Poi ragiono e sorrido: sono fedeli a ciò che quell’artista ha rappresentato quarant’anni fa, quando non era Sting ma Sting nei Police.
Con i Police.

Sting © Emanuela Vh. Bonetti

La caratura di un musicista supera ogni struttura spazio-temporale, Sting ne è la riprova.
Possono cambiare i testi, le melodie, le attitudini, le tematiche: nelle produzioni soliste le qualità tecniche emergono, sarebbe ingiusto non ammetterlo.
È solo che a volte alcune congiunzioni astrali, il destino o chissà cos’altro, sono la giusta combinazione che dà vita a cose straordinarie.
E i Police questo erano, una cosa fuori dall’ordinario.
Chissà se in cuor suo Sting è davvero consapevole di quanto siano stati importanti i Police.
Chissà se lo ha capito che in cuor nostro tutti abbiamo un sogno nel cassetto che non riguarda Sting ma Gordon, Andy e Stewart.

Fun fact: non avendo il dono dell’ubiquità, Giulio ed io ci siamo mandati diversi messaggi durante la serata per tentare di carpire qualche emozione anche dal concerto al quale non eravamo presenti.
«Il video più fico l’ho fatto all’ultimo pezzo», apro il messaggio ed è ‘Every Little Thing she Does is Magic‘ di Copeland.
Gli rispondo e mando l’unico video da me portato a casa durante la serata: lo stesso pezzo, di Sting.
Alla fine, si parla sempre di potere e magia – quelli della musica.

PS: sì, ovviamente Sting ha cantato anche ‘Every Breath You Take‘, proprio prima dell’encore affidato a ‘Roxanne‘ e ‘Fragile‘.
Scusate, non ce l’ho proprio fatta a restare.

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