Radiohead live a Firenze: un sogno senza fine

Firenze, 14 giugno 2017: siamo alla Visarno Arena per assistere ad una delle date italiane che i Radiohead hanno fissato in questo tour mondiale – due dopo ben cinque anni di assenza dai nostri palchi.

Ed è un Thom Yorke divertente e divertito quello che ci accoglie sul palco fiorentino, così pieno di luci e di effetti, in grado di coinvolgere grazie alla spettacolarizzazione visiva un pubblico già emotivamente acceso.
Ben 50mila persone hanno infatti portato a compimento quel raduno di depressi con cui tanto ci aveva fatto ridere Lercio.it, ma che invece della banale depressione ha dimostrato ancora una volta quanto la musica sia un veicolo potente per unire le persone e quanto, in essa, ognuno di noi sappia cercare un rifugio ricreando il proprio mondo entro confini nuovi. E condividendolo, anche in questo sold out.

Lo spettacolo inizia comunque presto, nell’atmosfera rarefatta composta da polvere, sole, musica e dall’incontro di tante persone. Dai giovanissimi ai meno giovani, la sensazione è quella di trovarsi in compagnia di nostri simili, estimatori della band inglese per innumerevoli ragioni.
E nonostante la corsa alla rivendita su cui si era fatta tanta ironia sui social si è davvero in tanti, potendo persino incontrare distrattamente un Claudio Santamaria, un Dario Brunori, un Piero Pelù.

Come dicevamo, non sono nemmeno le 19 quando sul palco salgono i Junun, un progetto ideato da Jonny Greenwood e da Shye Ben Tzur, con i loro ritmi orientali e il loro sprint coinvolgente e armonioso. A seguire, una decina di minuti prima delle 20 è James Blake, elegante e raffinato ma in qualche modo ancor più distante dei Junun dai gusti dei presenti; sebbene la sua performance sia stata piacevole, forse per molti è stato un intermezzo semplicemente noioso.

Passate le 21 e con un tramonto a far da sfondo, arrivano i tanto attesi Radiohead, introdotti dal concetto per cui «dreamers never learn», di “Daydreaming”: in effetti se tante persone sono qui, è anche perché non hanno smesso di sognare.

Ad un certo punto è il palco a sorprendere, illuminandosi con migliaia di piccole luci ed accompagnando quello che intanto prende forma sul palcoscenico e sugli schermi laterali, il più delle volte ritraenti i componenti della band in maniera caleidoscopica.
Dopo l’equilibrio di ‘Desert Island disk‘, le chitarre ed i bassi sgambettano su ‘Full stop‘ e i ritmi iniziano il proprio crescendo, come avviene con i riff di ‘Airbag‘, uno dei brani tratti da “Ok computer” inseriti in scaletta.
Il frontman non riesce a star fermo, come avviene sugli affilati ritmi di ‘15 step‘ e su quelli roboanti di ‘Myxomatosis‘, ammaliante.
Tra risatine e battute in un italiano un po’ sghembo, si giunge con gioia verso chitarre che si intrecciano grazie a ‘Lucky‘ e verso Yorke al piano per la commovente ‘Pyramid song‘, per poi volgere alle distorsioni di ‘Everything in its right place‘, che in questa serata ha un senso davvero compiuto.
L’arena del Visarno passa dalle danze alla contemplazione adorante, mentre il tutto vibra sulle note di brani come ‘Let down‘ e ‘Bloom‘.
Altri pezzi di “A moon shaped pool” inseriti in scaletta sono ‘The Numbers‘ e ancor prima ‘Identikit‘, cui a seguire sono dei boati che accolgono pezzi ipnotici come ‘Weird fishes/Arpeggi‘ e gli echi di ‘Idioteque‘. 
Il silenzio assoluto lascia quindi spazio alla voce e alla chitarra di ‘Exit Music (for a film)‘.
A concludere questa prima parte del concerto è ‘Bodysnatchers‘ e la sua verve, che portano con sé, danzando, un po’ di ”In rainbows”. 
Al ritorno sul palco, Thom ci chiede se va tutto bene e se ne vogliamo ancora.
Alla riposta chiaramente affermativa ci permette di intraprendere un viaggio sulle note, suonate e cantante al piano, di ‘You and whose army?‘.

Si riaccende l’eccitazione su ‘2+2=5‘ e sui tamburi di ‘There there‘ e c’è grande emozione su ‘Paranoid android‘, accentuata da maestosi effetti visivi sui maxi schermi.
Un’emozione che si trasforma anche in lacrime per molti quando a chiudere questo primo bis  è ‘Street spirit (Fade out)‘.
Un brano del genere evidenzia, come se ancora dovesse servire, la grazia di questa band, così esclusivamente originale da aver realizzato brani che sembrano cicatrici profonde sulla nostra pelle, che fanno un po’ male quando sollecitate.

Stravolto da un abbraccio così forte, il pubblico viene nuovamente a contatto con i Radiohead grazie ad un acclamato e necessario secondo bis.
Il balletto indimenticabile di ‘Lotus flower‘ ha il compito di riportare l’attenzione dei presenti sul palco, poi a dir poco infiammato da due tra le ballate storiche del gruppo di Thom Yorke, ‘Fake plastic trees‘ e la suprema ‘Karma Police‘.
Manca quasi il fiato, mentre uno sciame composto dalle voci di 50mila persone canta «and for a minute there, i lost myself».

E perdersi così, probabilmente è il modo più bello, tra musica, sorrisi ed un cielo stellato a proteggere il tutto.

 
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Leslie Fadlon

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Cerco la bellezza ovunque, come Cristiano Godano insegna. Sono un'amante del rock'n'roll e credo fermamente che un giorno senza musica non sia degno di essere vissuto. In love with Afterhours and many more.

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