I Chemical Brothers e quel debito eterno a Trainspotting e a Irvine Welsh

Gli anni Settanta ci hanno messo molto a terminare, quasi tre lustri.
Questo perchè furono portatrici di due rivoluzioni: quella punk e quella dance.
Poi ci furono gli anni Ottanta, che prepararono il terreno nascosti dietro lustrini rosa e lacca per capelli.
Poi in Gran Bretagna a metà anni Novanta un moderno scozzese scrittore maledetto rivoluzionò le sottoculture giovanili nascenti: si chiamava Irvine Welsh e il suo libro era “Trainspotting”.
Il vaso di Pandora fu scoperto: molti ragazzi improvvisamente tornarono alla necessità di sentirsi moltitudine, con tutti i lati oscuri e di luce di questo significato.
E così la voglia di ballare (termine desueto) e quindi danzare, la ricerca dello sballo chimico della modernità, la voglia di non dormire e sentirsi qualcosa di altro, aumentare i battiti e rallentarli improvvisamente.
Nella musica ci fu una nuova ondata rivoluzionaria che non nasceva dal nichilismo punk, ma piuttosto dalle università, da chi studiava anche il suono nei suoi innumerevoli cristalli.
Da qui originano i Chemical Brothers, alfieri e cantori della rivoluzione dance degli anni Novanta con album come “Exit Planet Dust”, “Dig your own hole” e “Surrender” – una produzione sconfinata ricca e intellettuale.
Artisti della consolle che hanno saputo tracciare una direzione nella quale si sono incanalate più di due generazioni. Insieme ai Prodigy e a Fatboy Slim hanno ridisegnato la scenda dance di quegli anni e non pare smettano di farlo.

La capacità di contaminarsi col mondo del rock e del pop e quindi di non essere rinchiusi in qualche cassetto nostalgico.
Lo hanno dimostrato per l’ennesima volta il 19 luglio in quel di Capannelle, nell’ambito del festival Rock in Roma.
Tom Rowlands e Ed Simons sembrano ancora divertirsi come matti e possono permettersi un lavoro sul palco che coniughi impatto visivo e ritmi acceleratissimi.
Non mancano alcune delle loro hits come ‘Hey Boy, Hey Girl‘ o ‘Elektrobank‘ o ‘Block Rockin’ Beats‘.
Ci sono persino i richiami ai loro inizi quando il duo si chiamava ancora Dust Brothers.
In questa fase della loro produzione live sembrano avere messo da parte le loro collaborazioni col mondo rock (vedesi alla voce Gallagher e Summer per esempio), quasi per affermare la loro indipendenza artistica che non ha alcun bisogno di compimento.
Insomma deejay, artisti o semplici musicisti capaci di interpretare la modernità attraverso il forte pulsare di un battito di quei giovani che negli anni Novanta si sentivano tanto come Renton nel finale di “Trainspotting”.
Con i Chemical Brothers ad accompagnarli nell’età adulta, in giro per il mondo.

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