Luca Cesaroni: il segreto delle chitarre di Adriano Viterbini

di Giulio Marino 25 Aprile 2025

Il creatore del marchio Cloe Guitars ci apre le porte del suo laboratorio
Intervista con Luca Cesaroni
Genzano, 7 Aprile 2025
Sono la faccia nascosta della musica. Quasi nessuno vi dice il loro nome o vi mostra il loro volto. Passano ore, giorni, settimane, mesi chiusi in studi di registrazione, laboratori, dietro banchi di regia e computer. Oppure sono circondati da cavi, pialle, frese, tester, bobine metalliche e diavolerie varie. L’obiettivo finale è sempre uno solo: farvi saltare, farvi spaccare tutto, farvi fidanzare, farvi cantare fino a perdere la voce, farvi godere, farvi piangere. Quando un suono vi fa venire i brividi o gli occhi lucidi, sappiate che al 50% i “colpevoli” sono loro.
Siamo andati a trovarne uno, si chiama Luca Cesaroni. Il suo laboratorio di Genzano, ai Castelli Romani, è frequentato da alcuni tra i più grandi chitarristi italiani e internazionali. Avrete sicuramente ascoltato le chitarre messe a punto da lui in parecchie canzoni, ma senza saperlo.
Per cominciare, Luca, raccontaci qualcosa di te. Come sei arrivato alla liuteria elettrica?
Il motore di tutto è stata la passione. Avevo 15 anni, suonavo la chitarra, ma cercavo anche di capire come un semplice pezzo di legno e corde di metallo potesse produrre sonorità così speciali. Iniziai a smontarla e studiarne le componenti. Poi passai ad aprire e modificare i registratori a bobina, amplificatori a valvole, chitarre vintage ed effetti a pedale che scoprii un giorno nella soffitta di mio zio musicista. La mia scuola è stata l’esperienza diretta sul campo.
Quando smisi di suonare, avviai il mio primo laboratorio nel garage di casa. Poi formai una società e ne aprii altri due. Rimasto solo, mi concentrai solo sul laboratorio di Genzano. Ora sono casa e bottega ed è diventato il posto dove finalmente ho potuto fare di tutto. Ogni giorno è una nuova opportunità per spingermi oltre, per creare e per continuare a vivere questa passione.
Mi è giunta voce che al tempo suonavi con un ragazzo promettente.
Ero il chitarrista di Marco Conidi quando, durante le prove di un tour, decidemmo di aggiungere un’altra chitarra. Portai alle prove un mio amico talentuoso e dopo poche note capimmo di aver davanti un fenomeno. Era Adriano Viterbini

Cloe è anche un marchio. Realizzi chitarre e produci anche effetti a pedale. Come crei il tuo suono?
Cerco di seguire l’esempio di musicisti molto bravi. Partono dai loro idoli, cercando inizialmente di imitare quello stile e quelle sonorità. Poi ascoltano linguaggi musicali diversi. Alla fine, miscelano il tutto e creando qualcosa di unico che non esisteva prima. Ad esempio, Adriano ha amato e studiato sia i chitarristi ipertecnici, come Nuno Bettencourt, sia i bluesmen essenziali e tecnicamente “sporchi”. Oggi ha una tecnica non di questo mondo e, al contempo, ha un suono viscerale e ricco di anima.
E per te in che modo la diversità di ascolti diventa importante?
Ascoltare tanta musica diversa ti dà la possibilità di capire in tempi rapidi e a 360 gradi quello che serve in determinate condizioni e contesti musicali. Ti permette di pensare lo strumento ad hoc per quel suono. Ai clienti che entrano in laboratorio la prima volta chiedo subito cosa devono o vogliono suonare. A volte hanno un’idea specifica, ma poi scopro che amano sonorità ben diverse da quelle che tirerebbero fuori dallo strumento che mi chiedono. Questo accade in particolare con una precisa tipologia di musicisti.
Approfondiremo tra poco. Chi è che suona chitarre Cloe o che porta i suoi strumenti a far modifiche e settaggi.
Adriano Viterbini su tutti, poi Davide Aru, turnista con Gazzè, Mannoia, Tiziano Ferro, Cristicchi. Ho avuto in laboratorio anche le chitarre di Elisa e di suo marito Andrea Rigonat. Ho costruito una chitarra appositamente per Rick Nielsen, chitarrista dei Cheap Trick. Di recente ho preparato le chitarre e i bassi che il Teatro degli Orrori sta portando in tour. Un’esperienza divertente mi è successa con i Litfiba.
Ti va di raccontarla?
Stavano registrando “Eutòpia” a Roma. Mi chiama Franco Li Causi, al tempo loro bassista. Mi dice che Piero Pelù aveva deciso di usare la sua collezione di bassi per il disco. In poche ore mi ritrovo a fare il loro “dottore”, mentre Pelù ogni tanto si affacciava per chiedermi come stessero i suoi “bassini”. Alla fine, mi invitarono a restare per ascoltare le registrazioni e dare un parere. Seduto tra lui e Ghigo Renzulli, ascoltavo il disco, emozionato mentre mi chiedevano cosa ne pensassi.
E invece la tua più grande soddisfazione professionale?
Ciò che mi riempie più di orgoglio è che alcune mie chitarre, le abbia Phil Palmer. È una leggenda. Ha suonato con Dire Straits, Frank Zappa, Pete Townshend, Roger Daltrey, Eric Clapton, Tears for Fears, Lucio Battisti, Claudio Baglioni, ma la lista è infinita. Utilizza un compressore della Secret EFX, progetto che realizzo con i miei amici e soci Guido Borghesani e Roberto Moscetta. Si è innamorato del suono al primo ascolto. Lo conobbi nella data romana di un tour di Eros Ramazzotti. Dopo avergli consegnato la chitarra che mi aveva chiesto, lui ed Eros mi invitarono a restare nel backstage. La sera, mentre tornavo a casa, mi arrivò un messaggio su Instagram. Era Ramazzotti che si complimentava per come suonava la chitarra.

Però alla fine, mi pare di capire che il musicista con cui sei affettivamente più legato è uno.
Sì, con Adriano Viterbini siamo amici da tanti anni. Oltre a essere uno dei più grandi chitarristi nel panorama musicale mondiale, è una delle persone migliori che puoi incontrare nell’ambiente musicale. Onesto, gentile, educato e umile. Sa sempre gestire ogni situazione, non si arrabbia mai e si mette sempre nei panni del suo interlocutore. Vive di musica e per la musica. Che sia in tour o in sala, lui deve necessariamente suonare tutti i giorni. Sperimenta qualsiasi stile; dal pop di Jovanotti, alla world music di Bombino, ai suoi progetti dei Bud Spencer Blues Explosion o degli I Hate My Village in cui ritrovi influenze di qualsiasi tipo; afrobeat, elettronica e rock viscerale
Di chitarre per lui ne avrai costruite parecchie
Tantissime. Ma quella che ha suonato più di tutte le altre, e che continua a portare in tour, è la Coodercaster. Ha un corpo Stratocaster e una paletta dalla forma modificata. Ma soprattutto ha una particolare configurazione di pick-up. Al ponte è quello di una Lap Steel, che non trovi mai sulle tradizionali chitarre elettriche, con un suono molto potente e definito. Al manico invece ha voluto lo stesso usato da Ry Cooder, dal quale suono era affascinato. È uno strumento che può avere sia un suono molto violento e molto rock, sia una timbrica morbida, da usare con lo slide.

Per gli amatori della sei corde, hai altre chicche sulla sua strumentazione?
Non usa più le classiche corde zigrinate roundwound, le flatwound, lisce da jazz. Hanno un suono più ovattato, con meno sustain e con attacco più rotondo. Negli ultimi anni, per avvicinarsi di più ai suoni afro, ha iniziato a mettere dei piccoli stop di gommapiuma vicino al ponte. Si lascia influenzare anche da elementi non musicali per poi trasformare gli stessi in musica. Adriano non è solo un musicista, ma un vero artista.
Invece qual è un musicista con il quale non hai mai lavorato ma che da sempre vorresti avere come cliente?
Sorpresa! Il mio idolo assoluto non è né un chitarrista, né un bassista. Fare qualcosa per Peter Gabriel per me sarebbe il coronamento del sogno di una vita. Per me è il vertice nella scrittura della musica contemporanea, oltre qualsiasi genere. Mentre tornando alle chitarre sono legato ai musicisti dei miei tempi, come Steve Vai o Joe Satriani, anche se oggi il mondo della chitarra è cambiato tantissimo.
In che direzione?
Penso al mainstream degli anni Ottanta in cui la chitarra era protagonista; oggi non lo è più. L’elettronica la fa da padrone e le band che mantengono ancora la chitarra in primo piano sono di metal estremo, che a me non piace. Restano alcune eccezioni, sempre in ambito metal, ma più colto ed elegante, come i Leprous. Scrivono e suonano pezzi raffinati e usano chitarre molto moderne a livello concettuale.
Cosa intendi per concettualmente moderne?
Penso ad alcune chitarre moderne prodotte con un polimero innovativo, usano materiali tecnologici come carbonio e resine. Sebbene suonino bene, producono tonalità fredde e taglienti, poco adatte alle calde timbriche del blues e del classic rock.
E sono cambiati anche i chitarristi?
Oggi emergono molti chitarristi tecnicamente straordinari, spesso giovanissimi e attivi su piattaforme come YouTube e TikTok. Mancano di capacità compositive e musicali profonde: non sanno scrivere canzoni memorabili. Li metti in una band e scopri che non sanno suonare. Non hanno senso del tempo, delle dinamiche o della forma-canzone. Brillano per tecnica, ma non sono musicisti completi. Probabilmente non saprebbero nemmeno sostenere il lavoro da turnisti in studio o dal vivo.

Addirittura?
Sì, perché il bravo session man deve essere veloce nel registrare un pezzo. Gli studi di registrazione costano; se lo stesso produttore ti chiede di suonarlo in una qualsiasi altra tonalità, tu devi traslarlo immediatamente, non puoi dire: “eh, aspetta dammi il tempo di studiarlo”. Molti di questi “guitar hero” del web, sono abituati a studiare un pezzo a memoria, ma se gli chiedi di suonarlo in un’altra tonalità, con un tempo diverso o con suoni diversi vanno nel pallone.
Cambiate le chitarre, cambiati i chitarristi. Cambiato anche il tuo lavoro?
Poco. Secondo me la novità più interessante nel mondo della liuteria è stata l’invenzione della Plek. Capii subito che sarebbe stata una rivoluzione enorme e nel 2008 la acquistai. Usa un sistema computerizzato per rettificare i tasti al millesimo di millimetro, regolare la curvatura del manico e migliorare l’intonazione. Consente una messa a punto accuratissima e personalizzabile in base alle richieste del musicista, per uno strumento perfetto in ogni dettaglio. Considera che lo strumento più economico settato alla perfezione suonerà sempre meglio di quello più costoso regolato male.
Altri cambiamenti?
Non rilevanti. Alla fine, sono quasi sempre modifiche sulle tre “basi”, Stratocaster, Telecaster e Les Paul. Hanno fatto la storia dei suoni del rock e non solo. Chitarre entrate nella storia della musica e pietre miliari della cultura giovanile, e non solo, contemporanea. Non puoi prescindere da loro, a meno che non voglia suonare metal moderno o cose particolarmente strane.

Torniamo ai clienti, quali sono le tipologie più frequenti e quali le più complicate da soddisfare?
Sono tre: il professionista, il collezionista e l’amatore. Il professionista arriva già con le idee chiare e le specifiche dello strumento che desidera. Il mio intervento si limita a piccoli dettagli che possono meglio incontrare le sue esigenze. Il collezionista è attratto dal lato estetico. Punta a replicare i particolari di uno strumento, magari di un suo guitar hero. Gli amatori mi impegnano di più. Sono anche bravi musicisti, ma hanno idee meno chiare sul suono. Sono spesso loro a richiedere una chitarra costruita ex novo. A volte poi ti chiedono una cosa, ma in corso d’opera ti dicono che ci hanno ripensato e vogliono tutt’altro. Oppure vogliono cose assurde, tipo chitarre-arpa.
Mi aspettavo fossero i professionisti
I professionisti che richiedono chitarre su misura sono artisti con progetti personali o turnisti. Questi ultimi, però, evitano strumenti con un’identità sonora troppo forte, preferendo versatilità e facilità di esecuzione per adattarsi a generi diversi. Spesso acquistano chitarre di fabbrica con buon rapporto qualità-prezzo e successivamente richiedono modifiche personalizzate. Il loro obiettivo è ottenere uno strumento capace di offrire un’ampia gamma timbrica, senza sacrificare la comodità e la funzionalità, indispensabili per affrontare performance live e sessioni in studio.
Che consigli daresti a chi oggi volesse fare la tua professione?
Innanzi tutto, selezionare con attenzione i tutorial online, molti contengono errori. Non tutti però, esistono anche ottimi video e manuali professionali. Poi ci sono le scuole: le migliori sono la Galloup School e la Roberto Venn negli USA, ma costano parecchio. In Italia spiccano Cremona per la liuteria classica e la Civica di Milano, che include strumenti moderni a pizzico. Ma, non si scappa. Senza passione e spirito di sperimentazione non si va lontano.
L’ultima per stavolta. Le tre “Regine”. Stratocaster, Les Paul e Telecaster. Quale salvi e non butti giù?
Per me, la chitarra che mi fa sentire più a casa è la Strato, per la sua sensazione, il suono e la versatilità espressiva. È anche la più comoda ed ergonomica. In termini di estetica e raffinatezza, però, considero la Les Paul la più bella tra le solid body.
E adesso come faccio a dirgli che non ha menzionato la mia preferita?
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