Roger Waters – The Wall

Roger Waters | THE WALL

2015/11/18
Nexo Digital
Durata 155’
4k

Dopo il 1990 Roger Waters aveva già provveduto alla seconda riesumazione dell’ingombrante pachiderma intitolato “The Wall“, era il 2010.
Due anni dopo, triplicata la potenza degli effetti audio/video, lo show si adattava alla grandezza degli stadi illuminando anche la nostra capitale.

Oggi “The Wall” torna sul grande schermo.
L’anteprima cinematografica, lanciata in ottobre e in un secondo passaggio a novembre, produce nei fan lo stesso effetto del campanello dei cani di Pavlov.

Se dal vivo avevamo ammirato la magniloquenza nella sua forma macroscopica, è nei dettagli in close up del film che emerge il dramma personale di Roger Waters. L’artista scopre il fianco mostrando le debolezze generate da paure di remota memoria.
Le immagini sono precedute da un’introduzione intensa di Liam Neeson che precede il viaggio di Roger verso il cimitero. La giornata grigia, il freddo silenzio che protegge le tombe e il tema maestoso di ‘Outside The Wall‘ attraverso la tromba di Roger Waters, sono lo snodo cruciale per comprendere il messaggio nella sua interezza.
L’uomo e il musicista sono finalmente riusciti a soffocare quell’insofferenza, mista a dolore, attraverso la visita al monumento dedicato al padre Eric, caduto nella seconda guerra mondiale e il cui corpo non è mai stato ritrovato.
Il viaggio inizia in Francia toccando Anzio e Montecassino e allungandosi in una sorta di fusione fra immagini live e passaggi on the road.
Il tutto è ben dosato da un sano equilibrio fra Sean Evans e Roger Waters in regia.

Roger Waters

Nel 2015 “The Wall” è un’opera (am)moderna(ta), trascinata in vetta da un prezioso lavoro d’immagini e di messaggi in linguaggio globale.
L’impatto audio è un raid aereo, un fuoco incrociato sostenuto e amplificato dalle immagini in 4k. L’impressione è di essere schiacciati contro le poltroncine da una forza oscura e ancestrale. Ci si aggrappa ai braccioli, affondando le unghie nel tessuto respingendo a stento i singulti emotivi suscitati dalle immagini di ‘Mother‘. A suo dire Waters, in quel periodo, era un «patetico e miserabile giovane arrabbiato». È affascinante vederlo doppiare se stesso mentre scorre il video dell’Earls Court.
Trovarsi di fronte un settantenne che canta quei brani (che ormai dovrebbe odiare) con furia emotiva e una ferocia letale, simile a quella di un animale ancora ferito, ci lascia storditi.
Anche durante i passaggi in cui Robbie Wyckoff è la voce principale, Waters è presente e resiste spingendo la sua voce oltre il limite di un microfono che non c’è.
Impressionante lo slow motion che lo immortala mentre aggredisce il basso. Sentirlo suonare, ascoltarne il parto per comprendere il messaggio e condividerlo sono i mattoni dell’unico muro che ci possiamo permettere. Le sue fondamenta sono saldamente ancorate nel profondo rispetto che nutriamo per questo visionario.
Dopo le valide prove alla chitarra di Kilminster durante ‘In The Flesh?‘ e ‘Another Brick In The Wall (part II)‘ tocca all’inossidabile Snowy White e alla sua Gibson Les Paul, estensione naturale del corpo, dare prova di raffinatezza.
Il tocco delicato, la scelta delle progressioni armoniche durante i solo e il sustain prolungato della sei corde sono da brivido mentre l’esecuzione chirurgica di Young Lust, in tandem con l’altra chitarra, è perfetta.

Il nuovo “The Wall” è paziente e psicoanalista di se stesso, scava indebolendo i pilastri, ne diminuisce la stabilità abbattendo il vecchio muro per mostrarcene degli altri, più pericolosi.
C’è anche dell’altro, Roger Waters si libera da sé stesso, è la fine dell’incubo attraverso la commemorazione di tutti i caduti in guerra. L’argomento ricorrerà per tutto il film, sviscerato nelle chiacchierate con il suo compagno di viaggio che gli rivela di aver sognato per anni di essere inseguito da un orso. Waters, con un ghigno sinistro, suggerisce che il sogno rappresenta la paura della Russia. L’orso è il simbolo della nazione sovietica e, assistendo alla proiezione di un film, la mente non può che correre rapida a Stanley Kubrick e alla scena di “Shining” in cui l’uomo vestito da orso (La Russia) si piega per fare del sesso orale all’uomo in giacca e cravatta (L’America).
Se nel 1979 la violenza del giudice ordinò l’abbattimento del muro di Pink (Roger), costringendolo a vivere in quella società da cui si era volontariamente isolato, oggi il bassista sigilla questo capitolo della sua vita. Il tiro alto mira ai cardini politici e alle inevitabili ripercussioni economiche di una società percepita come tirannica. Sbattere in faccia al pubblico la propria visione non è saccenza né una lezione ma la presa di coscienza di chi è capace di guardare dritto il mostro.
Le immagini degli occhi lucidi dei ragazzi nelle prime file, i pugni (pro)tesi verso Roger e i testi urlati a gola rossa sono difficili da ignorare. Si stenta a trattenere le lacrime condannando il corpo a quella tensione emotiva che impedisce di respirare. In ‘Mother‘ la traduzione della risposta a «should I trust in government?» è diversa da paese a paese che da noi si trasforma in un esplicativo «Col cazzo!».

Sebbene vista e ascoltata così tante volte da farsela venire a nausea, è impossibile ignorare il picco emotivo raggiunto da ‘Comfortably Numb‘. La pelle brucia durante l’assolo di Dave Kilminster e lo stomaco stretto nei pugni sferrati da Roger contro il muro.
A rincarare la dose ci pensano la disperata solitudine di ‘Hey You‘ e ‘Waiting For The Worms‘ con tanto di martelli in marcia e Pink avvolto da un lungo impermeabile in pelle, occhiali da sole e fucile mitragliatore.
Durante il processo Waters interpreta tutte le parti, dal giudice alla madre passando per il sadico professore. Ammirabile la sua dedizione nei confronti dell’opera di cui è stato padre e schiavo per tutti questi anni.

Dopo l’abbattimento del muro tutti i musicisti riguadagnano visibilità e, mentre il tema di ‘Outside The Wall‘ risuona solenne, sfilano verso il backstage. Graham Broad (batteria, percussioni), Jon Carin (tastiere, chitarra), Dave Kilminster (chitarra, banjo, basso), Harry Waters (Hammond, tastiere, fisarmonica), G. E. Smith (chitarra, basso, mandolino), Robbie Wyckoff (voce), i coristi: Jon Joyce, Kipp Lennon, Mark Lennon e Pat Lennon. Infine il leggendario Snowy White (chitarra, basso) è omaggiato dal più potente dei ruggiti prodotti fino a quel momento dai 70.000 presenti.
Smaltendo la commozione suscitata da un concept precursore dei tempi, e perciò ancora attuale, ci ritroviamo di fronte il bassista e Nick Mason pronti a rispondere sinceramente a una serie di domande dei fan.
La vecchia sezione ritmica discute faccia a faccia punzecchiandosi come fanno due vecchi amici-nemici che ormai hanno sepolto l’ascia di guerra. Ridono molto, non risparmiano qualche frecciatina a David. Su una potenziale reunion Waters cambia immediatamente espressione bollandola definitivamente come «out of question».
Si parla anche di rimorsi e aneddoti più o meno conosciuti ai fan. Quello che è davvero impagabile è l’espressione di Nick Mason dopo il “no” secco di Waters su probabili rimpianti dopo la dipartita artistica dai Pink Floyd. Il suo diniego è così netto che non gli si può che voler bene per l’ostentata sicurezza, letta da molti come arroganza.
Non c’è una risposa per tutte le domande, alcune vengono volutamente bypassate fra battute e occhiatacce.

Roger Waters ha una personalità fastidiosa, i suoi interessi oggi sono l’antimilitarismo e la causa palestinese. Il nuovo muro non poteva essere immune da tali condizionamenti. Ci si ritrova davanti una carrellata dei caduti nelle diverse guerre. I loro volti sono una sorta di ancoraggio alla memoria, un monito per non dimenticare e la lente che mette a fuoco l’ingiustizia dei governi e dei loro conflitti bellici.
L’alienazione di tre decenni fa si fa voce degli orrori proclamando la sua condanna attraverso una schiacciante potenza di fuoco prodotta dal possente impianto.

Girato in 4K e mixato in Dolby Atmos, il lavoro fonde gli spezzoni di tre differenti location: Francia, Brasile e Grecia.
Più di 4 milioni di fan hanno assistito all’esecuzione integrale dal vivo di questo capolavoro. Il film differisce nella capacità di far vivere allo spettatore l’esperienza del concerto unito in un solo corpo con il road movie.
Waters finalmente paga il conto della (propria) guerra senza smettere di riflettere sull’impatto esercitato dalla guerra sulla (sua) famiglia.

The Wall” è un highlander, ha vissuto reincarnazioni e la terza (numero propizio) finora sembra essere quella più efficace.

«Tutti soli, o in coppia, quelli che davvero ti amano vanno e vengono al di là del muro.
Alcuni mano nella mano, alcuni riuniti in gruppi.
I cuori teneri e gli artisti resistono.
E quando ti avranno dato il meglio di loro, qualcuno barcollerà e cadrà.
Dopotutto non è facile picchiare il cuore contro il muro di un pazzo»

Monumentale.

0 Comments

Join the Conversation →