Riserva MOAC – Babilonia

Quando si tratta di narrare storie da ascoltare, solo la natura più profonda della Musica può immergersi in un mondo fatto di colori, ricordi e passioni che, tradotte nei linguaggi più contemporanei, possono giungere a quell’energia  che rivela l’essenza di un senso artistico maturo e consapevolmente ironico, come sempre nelle prove più “diaristiche” e caleidoscopiche di coloro che sanno estendere la saggezza artistica in un percorso in continuo movimento .

Già, il movimento è la quintessenza dell’arte, e la prorompente sponda cromatica della Riserva MOAC disegna con “Babilonia” tele surreali di grande impatto emotivo, lucide simbiosi di cooperazioni intertribali, balcaniche, tropicali, funk, ska,  ragamuffin e mediterranee, come nella dinamica esistenzialista della title track,  nella trance spirituale di ‘Jackpot‘, nella fiera scossa energica di ‘Balkoscenico‘, nello stralunato notturno di ‘Alcolizzato sentimentale‘ che mette in scena un “balordo” secondo la Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) di Kurt Weill :“Sono il lupo delle favole/e ballo col mio demone/sono legge senza regole/sono quello che mi va/sono il cielo senza nuvole/sono inafferrabile”.

Le sintassi interattive di elettricità guerriera alla B-52’s  nella visionarietà magrebina di ‘Komba Bomba‘ e le voci rapping al di là di stereotipi coreografici de ‘La verità‘ sono scelte come rivelazioni di un’Indipendenza estetica che dia un aspetto più naturale possibile ai testi cantati come letture del Tempo, del nostro Tempo così propenso alle strettoie culturali ed ad i suoi vuoti esistenziali.

Sarebbe fin troppo facile e riduttivo leggere nella “Babilonia” solo la passione per la coscienza dell’atto undergrond e l’annullamento dei confini culturali metropolitani: il fil rouge della gamma emozionale amplia il respiro dei Riserva MOAC in un orizzonte ben più ampio e seducente, volutamente sbilanciato nell’eludere il vuoto di una modernità facile e scontata.   

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