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Mogwai - The Bad Fire

Mogwai – The Bad Fire

“The Bad Fire”, i Mogwai ridefiniscono (ancora) il Post-Rock.

Con l’ultimo album, la band scozzese esplora nuove profondità emotive e sonore.

Dopo oltre due decenni di carriera, i Mogwai non lasciano dubbi riguardo il loro posto nel panorama post-rock, e ce lo confermano una volta in più con “The Bad Fire”, il loro ultimo album studio. Attraverso questo nuovo capolavoro riescono a ridefinire il proprio linguaggio musicale, pur mantenendo intatta la loro essenza sonora. Le parole chiave? Intensità emotiva e sperimentazione.

La band scozzese nasce nel 1995 a Glasgow da un’idea di Stuart Braithwaite, Dominic Aitchison e Martin Bulloch. I tre hanno costruito una carriera internazionale basata su composizioni strumentali evocative, esplorando sin dagli esordi il confine tra quiete e caos e alternando momenti di fragilità a esplosioni di energia. Con dischi iconici come “Young Team” (1997) e “Come On Die Young” (1999), hanno gettato le basi per il post-rock contemporaneo, influenzando numerose band. La loro capacità di reinventarsi senza perdere la propria identità è stata la chiave del loro successo, portandoli a pubblicare lavori di altissimo livello. Tra essi, non possono non essere menzionati il cinematico “Les Revenants” (2013) e l’emozionante “As the Love Continues” (2021).

“The Bad Fire” è il loro ultimo lavoro e si inserisce in questa scia evolutiva, rappresentando laddove possibile un ulteriore passo avanti. L’album è stato registrato nel loro studio di Glasgow e prodotto dalla Rock Action Records (la loro etichetta). La produzione, affidata per la prima volta all’americano John Congleton (già al lavoro con Explosions In The Sky e Sigur Rós), porta un suono più definito e a tratti sorprendentemente aggressivo. Il risultato è un album che mantiene l’identità dei Mogwai, ma con sfumature nuove. C’è una potenza più controllata e una sperimentazione sonora che va oltre il solito crescendo strumentale. Texture più elettroniche, ritmiche meno prevedibili.

 

Tra le dieci tracce proposte in “The Bad Fire”, tre emergono come pilastri del disco. ‘God Gets You Back’ è un inizio che lascia senza fiato. Descritta dalla band come «un ibrido tra Daft Punk e My Bloody Valentine», è un perfetto esempio di tensione e rilascio, dove synth pulsanti si mescolano a chitarre sature creando un’atmosfera quasi apocalittica. ‘Fanzine Made Of Flesh’, invece, mostra il lato più cinematografico della band. Un’epicità che cresce fino a raggiungere un climax esplosivo, ricordando le loro migliori colonne sonore. Infine, ‘Lion Rumpus’ è il brano che più ho apprezzato. Incarna il senso di caos organizzato: distorsioni, percussioni potenti e un crescendo travolgente la rendono una delle tracce più esaltanti dell’album.

Se “The Bad Fire” nasce da un periodo buio, è anche un album che riesce a trascendere la sofferenza per trasformarla in energia allo stato puro. I Mogwai dimostrano ancora una volta la loro capacità di evocare emozioni senza bisogno di parole. Sebbene non reinventino la formula, la affinano con una consapevolezza ed una profondità che pochi altri gruppi del genere riescono a eguagliare. Un disco che si imprime nella mente e nel corpo, tra bellezza e distruzione.

I fan di vecchia data potrebbero considerare l’album meno immediato rispetto ai dischi precedenti. I Mogwai sembrano voler esplorare nuovi territori, mantenendo però al centro della produzione la loro caratteristica sensibilità emotiva.

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