Julia Kent – Asperities

Immaginate uno spazio in disuso: una di quelle strutture che, nonostante le mura rovinate e l’intonaco scrostato, emanano carattere e fascino nella loro naturale dimensione di decadenza urbana.
L’ascolto di “Asperities“, l’ultimo lavoro di Julia Kent uscito per The Leaf Label, avviene così: all’interno di un’area poco accogliente, con l’aria che sa di umidità e le grandi finestre offuscate dalla polvere e dai segni che lascia il tempo.
Ogni tanto un brivido raggiunge la schiena: il vento si intrufola tra le vetrate rotte e raggiunge il corpo con fare tagliente, come mille lamelle desiderose di marchiare la pelle.

Asperities“, in fondo, è questo: ostilità e durezza della vita costretta a rapportarsi in una realtà isolata e scostante.
Asperities“, ovvero la poesia parnassiana, musicata e senza parole, da Mendès a Gautier, che scivola violenta e con fare stridulo sulle corde di un violoncello.

Con questo disco Julia Kent approfondisce con tonalità cupe ed incalzanti l’ansia e l’angoscia, sentimenti opprimenti che intossicano il quotidiano.
Un disco emotivo che non lascia spazio a speranze ed ottimismo ma che insiste con una certa testardaggine a scavare nell’anima, nella materia inconsistente della pesantezza portando al crollo totale delle proprie certezze.
Un’immagine, questa, che prende forma all’ascolto di ‘Empty States‘ piuttosto che di ‘Tramontana‘, brani così diversi tra loro da risultare tuttavia simili nella capacità d’espressione (senso di sgretolamento nel primo, rassegnazione disperata nel secondo).
Ed è questo, da sempre, il fiore all’occhiello della Kent: la completezza di ogni sua composizione è tale da regalare ricchezza in immagini e sensazioni.
Le proiezioni mentali che prendono vita con le percussioni in ‘Flag No Country‘ si disperdono lungo le mura della stanza: chiudendo gli occhi aumenta il senso di incompletezza e smarrimento, temi ricorrenti in tutto il disco.

Eppure, nonostante le tinte da cinematografia noir, l’ex Rasputina canadese con le sue asperities ammalia l’ascoltatore con un suono intrigante e tagliente: il fascino della decadenza, qui prepotente più che mai.

1 Comments

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  1. bella copertina, anche

    Paolo Plinio Albera / Rispondi

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