Fiori di Hiroshima – Nabuk

Al loro debutto i pisani Fiori di Hiroshima hanno già le idee ben chiare: sono decisi, graffianti, e ci regalano un album di ampio respiro, che punta ad affermarli nella scena musicale senza mezzi termini.
Il loro lavoro si chiama “Nabuk“, seconda esperienza con Phonarchia Dischi ed in uscita il 22 Gennaio.

Le cinque tracce di “Nabuk” sono accomunate da un sound basso e originario, che sorge dalla terra per afferrarti lo stomaco. Si sente perfettamente che questo è il prodotto di un percorso faticoso di crescita musicale, grazie al quale i quattro di Casciana Terme sono risusciti a trovare una strada personale, tenendo ben presente il dedalo di strade che non hanno scelto, di storie che non hanno voluto raccontare. Ascoltando pezzi come ‘Nociva‘ si ha la sensazione di esplorare un paesaggio ricco, guidati da un groove coinvolgente, con delle influenze blues che attraversano trasversalmente un po’ tutta la tracklist.
I Fiori di Hiroshima sono stati capaci di costruire melodie che permettono di spaziare con lo sguardo – o con l’udito? – e cogliere somiglianze, differenze, rimandi; il tutto mantenendo fermo e al centro della scena lo stile di  “Nabuk“, inconfondibile e originale.
Si tratta senza dubbio di una veste estremamente azzeccata per un gruppo che non nega, e si sente, di attingere anche dal panorama indipendente italiano degli ultimi anni, ma riesce a distinguersi con decisione nel mare magnum della scena “underground”.
Una cosa è certa: con queste sonorità calibrate e incisive, a tratti quasi orientaleggianti eppure perfettamente coerenti con la tradizione del migliore rock occidentale, i Fiori di Hiroshima possono regalare performance live al cardiopalma.
Basta ascoltare pezzi come ‘Scan‘ e viene subito da domandarsi come si possa rimanere calmi e posati di fronte a una tale esplosione di energia sprigionata dalla band, la quale sotto al palco non intende fare prigionieri.
In ogni caso anche nella versione in studio la potenza dei pezzi arriva forte e chiara, come uno schiaffo in faccia a chi sperava in un disco “tranquillo, di sottofondo”: per la band pisana non esiste sottofondo, non esiste passare inosservati, esistono solo i volumi altissimi e la voglia di far saltare l’ascoltatore sulla poltrona.

Nabuk” è per i toscani un esordio piccolo piccolo ma con i fiocchi, che speriamo spiani soltanto la strada a future grandi imprese.
Chapeau!

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