Cosmo – L’ultima Festa

«Un dottore, chiamate un dottore, qui c’è un ragazzo che muore affogato nella palude del nazional-popolare»
CosmoLe Voci

Anni fa avevamo una macchina, la nostra prima Station Vagon. Era una Regata. Un giorno mentre giravo con la bici vedo mio padre uscire, lo vedo tornare pochi secondi dopo con lo sguardo smarrito. Avevano rubato la nostra Regata. Non avevo neanche avuto il tempo di affezionarmi a quella macchina. Forse è per questo che quando ho ascoltato ‘Regata 70’, la penultima traccia dell’ultimo album di Cosmo, la mia mente è ritornata subito a quel momento in cui ho incrociato lo sguardo di mio padre.

Il disco di CosmoL’ultima festa” arriva tre anni dopo il debutto solista, con “Disordine”.
Lo avevo incontrato quando girava con i Drink to Me, avevamo scambiato due chiacchiere in occasione del Suo.Na. Festival questo settembre a Napoli.
Ciao Cosmo/Chiamami Marco.
Disse di avere delle canzoni da parte e da quel momento le aspettavo, e forse non ero il solo, in mezzo ci  sono stati altri dischi, tutti da produttore, tra cui l’ultimo de L’Orso, fino ad arrivare alla conclusione di questo lavoro, un disco ricchissimo di spunti ma allo stesso tempo compresso nelle sue sole otto tracce. A pensarci bene questo mio episodio potrebbe uscire direttamente da ‘Impossibile’ dove “nulla è per caso e tutto è per caso”.

Questo album è una cavalcata che si apre con ‘Le Voci’ il primo singolo estratto dall’album che ne ha anticipato ed annunciato, quasi a sorpresa, l’uscita. E’ di sicuro il pezzo più completo, tirato ma anche melodico, capace di mescolare techno e campionamenti di parolacce in dialetto bolognese. Cosmo è il tipico esempio di come una cosa è per tutti impossibile fino a quando qualcuno che ignora questo assunto arriva e la fa. Nel nostro caso si tratta di dare nuova forma alla musica pop, condirla con l’elettronica, si tratta di ballare ma anche di cantare, di urlare ma anche di sorridere, e magari mentre prendi fiato anche di ricordare qualcosa o qualcuno a cui tieni.

L’ultima festa” sembra seguire le regole d’oro contenute in  “Alta fedeltà” di Hornby per comporre una compilation degna di questo nome, alterna accelerazioni e frenate senza mai perdere quell’equilibrio dinamico. La seconda canzone, che dà il titolo al disco non abbassa il ritmo di un millimetro, anzi. Capiamo che in questo album c’è voglia di cantare, di ballare, di sfinirsi, senza troppe paturnie (ho davvero usato la parola paturnie?!). Non buttiamoci giù, sempre per citare Hornby, insomma, e viviamoci le serate come vengono. Sono anni complicati è vero, ma non per questo non si può trovare un buon motivo per passare del tempo e renderlo degno di essere vissuto.
Questo album è pieno di vita, ma senza boria, senza ostentazione, è un suono denso quello che ci viene proposto. I testi riescono a rimbalzare sui bassi in modo sinuoso. Rispetto al primo disco gli spigoli sono smussati e c’è meno voglia di prendersi sul serio. Semmai è il momento buono per guardarsi attorno, capire cosa ci siamo lasciati alle spalle, senza troppi rimpianti. Ciò che pervade tutto l’album è la voglia di vivere il momento senza perdersi nei rimorsi. ‘Dicembre’ e ‘L’altro Mondo’ sono questo, cantautorato vecchia scuola messo in un frullatore insieme ad un patito di sintetizzatori e campionamenti.
Il livello resta alto e sale ascolto dopo ascolto. Dopo la musica cominciano ad entrarti in testa le parole, ed è quella la vera forza di Cosmo, in anni in cui anche i cantanti che non trovano più serate per la loro musica si riciclano come DJ.

Rispetto a “Disordine” si percepisce la misura di chi ha più padronanza dei propri mezzi. Si può dar forma alle proprie idee, e a Cosmo di certo non mancano, ma lo si può fare senza urlarle. In fondo basta ripetersi “Marco, sono tutte cazzate” in modo quasi ipnotico, con un ritmo che galoppa mentre ci si divincola nei mille rivoli della rete, dove ci si imbatte in blogger, leggende metropolitane e leoni da tastiera, ma dove l’unica bussola resta sempre quella di non prendersi troppo sul serio.

Questo è il punto di svolta del disco. Da qui si scollina, le canzoni si fanno più intime. Si intravede la madre di Cosmo, come del resto la intravediamo nella copertina dell’album. Sembra un tuffo nei ricordi, come all’interno del disco dove troviamo degli art work formati da lavori di grafica e immagini prese direttamente dall’album dei ricordi di Marco.  Sembra di vivere quella sensazione in cui durante una festa, mentre si balla e si beve ci si guarda un po’ dall’esterno, la musica si sente ovattata e per qualche veloce momento entriamo in contatto col nostro subconscio che si sputa pezzi di cuore. Uno di quei momenti in cui è meglio non avere un cellulare tra le mani per evitare di mandare messaggi di cui ci pentiremmo la mattina dopo.

«Il nostro amore ci aspetta, non c’è fretta, niente canzoni tristi, è un lunedì di festa»

Sembra chiuso tutti qui dentro lo spirito dell’album, in una strofa dell’ultimo brano, appunto, ‘Un lunedì dì festa’. Siamo ormai fuori dal locale, fuori dal weekend, ma la festa continua, non urliamo più, sembriamo ancora storditi, ma non stanchi, ancora non esausti, scarichi semmai, da tutte le scorie e le negatività.
Se ci voltiamo indietro questa mezz’ora è stata una catarsi per lasciare le zavorre, è qui che capiamo che questo disco è stato fatto bene.

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