Marky Ramone, cinquant’anni di vita punk

Storico membro della band più irriverente della scena newyorkese, in questa calda estate Marky Ramone è tornato nuovamente in Italia.
Molto legato al nostro territorio, non è difficile riuscire a vederlo in concerto, grintoso più che mai, dietro la batteria.
Sebbene sia arrivato nel gruppo solo nel 1978 (quattro anni dopo la formazione della band), con i Ramones ha lasciato il segno in un’epoca, andando ad influire con il proprio stile non solo sulla musica ma anche nella moda di un decennio in fermento ed evoluzione.

In quest’ultimo tour è stato protagonista di una serata al Druso di Ranica, club in provincia di Bergamo sempre attento ad offrire al pubblico una programmazione talvolta di nicchia ma decisamente interessante e lungimirante.
Prima dell’esibizione c’è stato il modo di fare quattro chiacchiere, ripercorrendo attraverso i ricordi di una vita intensa e, naturalmente, punk-addicted, la vera storia di Marky Ramone.
In grado di (ri)unire sotto palco vecchie e nuove generazioni, dietro la fama da rocker si cela un uomo calmo, semplice e disponibile: un gentleman d’altri tempi, a dispetto della fama da bad boys che per anni ha caratterizzato tutti i membri della band.
In una saletta nel backstage ci sediamo ma prima di iniziare, in modo educato, Marky fa chiudere le porte ai ragazzi della band che lo supporta e che vanno avanti e indietro facendo trambusto.
«Sono giovani», dice, quasi con un filo di ironia, e qui inizia il nostro racconto.

Non solo musicista ma anche scrittore: come è stato scrivere un libro autobiografico?
Possiamo dire che è uno strumento per raccontare la tua verità sui Ramones e la scena punk newyorkese dei tardi anni Settanta che ruotava intorno al CBCG’s?

È tutto vero, è decisamente la storia della mia vita.
Non è stato semplice, ci sono voluti quattro, cinque anni per scriverlo.
Ed in verità è stato anche molto stancante, ma ho volutamente iniziato questo racconto dalle mie radici: se eri un ragazzino che viveva a Brooklyn in quei anni (è nato nel 1956, ndr), avere dei problemi era all’ordine del giorno.
Però, al contempo, tutto quel che è stato mi ha forgiato e aiutato ad inseguire i miei sogni, anche quando i Ramones erano considerati degli sbandati.
Il CBCG era la nostra casa.

I Ramones furono senza dubbio i primi a creare il wall of sound del punk.
Come l’hai presa quando poi, in Inghilterra, gruppi come Sex Pistols e Clash imitarono tutto quello che avevano già fatto i Ramones?

Noi suonavamo per divertirci e lo facevamo in modo sarcastico, rompendo degli schemi e riportando ciò che vedevamo intorno a noi in quel momento senza filtri.
Non abbiamo mai avuto l’intenzione di proporre slogan o ricette ideologiche.
Nel nostro piccolo abbiamo sicuramente cambiato un certo modo di approcciare la musica.

Hai cominciato a suonare con la band a partire dal quarto album, “Road To Ruin”: in quali canzoni senti maggiormente il tuo contributo?

Sicuramente ‘I Wanna Be Sedated‘ e ‘I Just Want To Have Something To Do‘, parlando di “Road To Ruin”.
Poi anche ‘Rock’n’roll High School‘, ‘Do You Remember Rock’n’roll Radio‘, ‘The KKK Took My Baby Away‘ e ‘Pet Semetary‘.

Quali musicisti ritieni che a loro volta vi abbiano influenzati maggiormente?

Ai tempi ci piacevano tante cose, dalla musica doo-wop degli anni ’50 ai primi rockers: Jerry Lee Lewis, Chuck Berry e Little Richard.
Poi ci piacevano quelli che oggi sono considerati i classici del periodo, Who, i Beatles ma anche i Beach Boys e la musica surf.

Nel 2000 hai collaborato con Joey Ramone per la creazione del suo album solista, “Don’t Worry About Me”, suonando alla batteria la cover, favolosa, di ‘What a Wonderful World‘ di Louis Armstrong.
Qual è la cosa più bella che ti viene in mente ricordando quella esperienza?

Avevo un rapporto speciale con Joey, era il più gentile di tutti noi.
Quando mi ha chiamato per partecipare al suo album ho accettato senza pensarci.
Era già ammalato ed è stato l’ultimo più bel ricordo che ho di lui, l’ultimo che può rimanermi.
Ho suonato la batteria in ben sei brani di quel disco ma ‘What a Wonderful World‘ rappresenta il suo sconfinato ottimismo, anche in punto di morte.

Nei brani dei Ramones c’è qualcosa di intrinsecamente legato alla gioventù: che sia questo il segreto del vostro eterno successo?

Noi credevamo nel potere d’urto della musica e nell’energia che essa poteva avere sulle persone.
Le nuove generazioni hanno bisogno di quella energia per affrontare i problemi attuali, in modo da rilasciare le tensioni e scatenarsi senza freni, liberandosi dallo stress.
Ciò che noto oggi nei giovani è una sorta di rassegnazione nell’accettare tutto ma è proprio la musica che ha il potere di cambiare tutto.

La scelta di non scrivere più pezzi nuovi e concentrarti sul bagaglio musicale che hai ereditato, è stata una conseguenza spontanea dell‘essere rimasto “l’unico Ramone”?

Nella vita ho vinto un Grammy, il mio nome è presente sulla Rock and Roll Hall of Fame, ho scritto un libro che racconta tutta la mia storia: penso di aver già detto tutto ciò che volevo, non c’è bisogno di aggiungere altro.
Ora preferisco concentrarmi nel fare sentire a tutto il mondo chi erano i Ramones e ciò che sono io.

Negli ultimi due anni, a causa della pandemia globale, il settore musicale è stato duramente penalizzato soprattutto dal punto di vista dei concerti.
Quale pensi possa essere una giusta strategia per tornare ai live con il tanto prezioso human element?

Continuare a suonare dal vivo, continuare a coinvolgere le persone, far sentire loro l’energia nella voglia di saltare e di cantare a squarciagola insieme.
Nonostante quello che è successo, tutto questo non si può e non si deve fermare.

Sei una buona forchetta: i tuoi fans conoscono la ricetta della tua salsa alla marinara, sappiamo che ti piacciono le gite gastronomiche in Italia con degustazioni di prodotti tipici e hai prestato il tuo volto come testimonial del gelato Cookies.
Una su tutte: quel è la pietanza italiana che ti fa impazzire?

Senza dubbio, tra tutte, preferisco la cucina mediterranea.
Però, in particolar modo, adoro proprio gli spaghetti alla marinara!

Alla domanda di rito, se ci siano o meno in serbo ulteriori novità per il prossimo futuro, sorride e non risponde: con un generico «ne vedrete delle belle», sicuramente qualcosa gira in testa a Marky ma forse è troppo presto per qualsiasi anticipazione.
Chiedo un autografo al suo libro, uscito nel 2015, che racchiude davvero una storia eccezionale.
Con la battuta «È un gran bel libro, ottimo gusto» mi scrive una dedica e lo lascio in compagnia della moglie e di vecchi amici.
Presenti all’evento Ringo ma anche i membri dell’unico fan club ufficiale dei Ramones, Paolo Di Gaetano e Maurizio Nodari.

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Yamilé Barcelò

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Nasce all’Avana , Cuba. Studia Storia Dell’Arte all’Università dell’Avana. Lavora come assistente fotografo per diversi fotografi cubani tra cui Alberto Korda e Tito Alvarez. Nello stesso anno si trasferisce in Italia avviando una serie di collaborazioni in ambito fotografico. Realizza inoltre diverse mostre collettive e personali tra qui nel 2003 "In celebration of Indigenous Peoples", presso la sede dell’ONU, New York. Nel 2006 ottenne il secondo premio al concorso Premio Arti Visive San Fedele, galleria San Fedele Milano, per la serie Il Viaggio. Attualmente vive e lavora in provincia di Sondrio, con collaborazioni professionali in regione Lombardia e per Filmagini Produzioni con sede a Bologna.

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