Marco Greco: serve autenticità per essere attuali

Fare parte della “scena romana” senza essere parte della “scena romana”: sembra strano ma Marco Greco è esattamente questo.
Ovvero, un cantautore che nulla ha a che vedere con i nomi più noti dell’indie capitolino.
Marco Greco è “vecchio dentro”: classe ’91, all’ascolto dei suoi brani nessuno potrebbe immaginare che tutto è frutto dell’espressività di un ragazzo così giovane.
Una poetica raffinata accanto a suoni ricercati, semplici ma efficaci: in pratica, un lavoro d’altri tempi.
Con il singolo ‘Sconosciuti‘ ha vinto il Premio Fabrizio De Andrè, e ascoltando le sue produzioni non poteva essere altrimenti: gli sono stati riconosciuti il talento e la capacità di comporre canzoni d’autore, cose rare in un panorama sopraffatto dalla musica commerciale che penalizza sempre più la qualità.

Al giorno d’oggi, uno degli argomenti più scontati e forse obbligatori per i ragazzi della tua generazione riguarda i talent televisivi: che cosa ti ha portato a partecipare al Premio De Andrè piuttosto che ad uno show in televisione?

Vado dove posso essere me stesso e cantare quello che scrivo, quindi i talent sono un realtà che non mi appartiene.
Vedo che per parteciparvi bisogna rinunciare ad una grossa fetta di sé stessi e della propria identità artistica per mettersi addosso una maschera televisiva che ostruisce il passaggio di ogni autenticità, e a queste condizioni non mi sentirei a mio agio. E poi non credo alle scorciatoie: fare il musicista significa fare un cammino di profondità e di ricerca di sé stessi, lungo e faticoso.
La strada tradizionale, pur con le sue difficoltà e lungaggini, mi sembra, anche in questi tempi, quella più giusta.
La musica poi per me ha bisogno di un contorno di rispetto e sacralità che in televisione manca totalmente, si rimane in superficie.
Il Premio De Andrè è un premio serio gestito da persone vere, appassionate ed affamate di qualità e quindi non c’è storia.

Vincere un premio come miglior canzone d’autore, oggi, comporta una grande responsabilità.
Che cosa significa secondo te “canzone d’autore” in questo periodo storico?
Credi sia ancora qualcosa di attuale o è qualcosa che manca nel panorama italiano?

È una grande gioia, prima di tutto.
Personalmente non sono un grande amante degli “steccati” e delle divisioni in generi musicali, quindi credo che la canzone d’autore come qualsiasi altro tipo di musica debba essere vera e autentica per avere forza espressiva ed attualità.
Credo che se un artista riesce a contattare dentro di sé la propria unicità emotiva ed espressiva e a farne la materia prima della propria opera, comunque vada, ha vinto la sua battaglia e avrà lasciato un segno vivo, autentico e quindi anche attuale.
Per intenderci, artisti come Lucio Dalla, Modugno o Luois Armstrong (per allontanarci un po’) saranno sempre attuali perché ogni nota del loro lavoro è intrisa di verità umana e artistica.
Attualità per me significa verità.

Ci racconti il tuo percorso musicale?

Ho cominciato per caso a strimpellare e piano piano c’ho preso gusto.
Così, ho cominciato a scrivere brani miei e la sensazione liberatoria che mi dava tutto questo mi ha incoraggiato a continuare. Ma devo tanto, anzi tantissimo, ad un rapporto speciale che la vita mi ha regalato senza il quale avrei combinato poco e niente.
Mia zia materna Francesca Benigni era un pittrice fantastica ed un persona splendida, e mi ha insegnato ad esprimermi senza veli e senza bugie trasmettendomi una tecnica di scrittura rapida ed evocativa, in qualche modo molto pittorica.
Sotto questa protezione, che per me è stata un vera e propria scuola d’arte, ho trovato il coraggio di lanciarmi e di darmi per quello che sono.
Poi è arrivato tutto il resto: concerti, registrazioni, premi.
Ora ho un gruppo di musicisti fantastici (Riccardo Garcia Rubi, Emanuele De Simone, Filippo Minisola e Alessandro Marzi) che mi accompagnano e mi sopportano nelle gioie e nei dolori e a cui devo molto in termini musicali.

Se oggi De Andrè potesse parlare a voi giovani artisti, secondo te con quale canzone del suo repertorio potrebbe insegnarvi qualcosa?
Ma anche, che cosa può trasmettere ai giovani d’oggi la figura stessa di De Andrè?

De Andrè è stato un grande vero, e come tutti i grandi secondo me avrebbe detto ai giovani di non copiarlo ma di trovare il proprio mondo espressivo.
La sua è stata un figura che ha espresso grandissima qualità musicale e poetica, ma anche una grande dignità ed integrità artistica.
In questo io ci vedo un esempio importante di questi tempi: non andare incontro alle mode ma essere sempre sé stessi.
Nella sua produzione io amo molto, per colori e atmosfere musicali, l’ album in genovese “Creuza de ma” e poi ovviamente credo che ‘La canzone dell’amore perduto‘ sia uno dei brani più intensi e belli mai scritti.

Quando hai saputo della vittoria qual è stato il primo pensiero?

Una grande gioia ed una grande emozione, vincere in un posto così prestigioso come l’Auditorium Parco della Musica…ci siamo abbracciati e presi a “schiaffetti” con tutto il gruppo per capire se era tutto reale ciò che stava accadendo.
Abbiamo lavorato duro in questi anni e questo risultato ci ha dato forza e coraggio: abbiamo festeggiato, ora si continua a pedalare.

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