
Whisperng Sons, un’oscurità luminosa
I Whispering Sons regalano un’ipnosi post punk
Da Bruxelles a Bologna, il live al Locomotiv Club
Bologna, 14 marzo 2025
Il Locomotiv Club di Bologna si è trasformato venerdì in un portale verso le atmosfere più affascinanti del post-punk contemporaneo grazie ai Whispering Sons, formazione belga trascinata dall’algido fascino di Fenne Kuppens.
I Whispering Sons traggono il loro nome da un brano dei Moral, trio coldwave danese degli inizi degli anni ’80. Nonostante i vari cambiamenti interni al gruppo, il quintetto belga rimane fedele al proprio DNA sonoro: un post-punk che richiama tanto le radici storiche dei Joy Division quanto le evoluzioni più contemporanee del genere, in linea con band come gli americani Interpol e i britannici Editors.
Mentre fuori piove e l’allerta meteo diramata in alcune zone della regione ha bloccato i fans più distanti, sotto le luci soffuse del palco bolognese, la band ha presentato con potenza i brani del loro ultimo album “The Great Calm”, pubblicato lo scorso anno. Un lavoro che segna un’evoluzione significativa rispetto alle produzioni precedenti – se prima dominavano le chitarre shoegaze, ora è la voce di Fenne Kuppens la vera protagonista dello show.
La sua presenza scenica ricorda le atmosfere oscure del primo Nick Cave e il carisma iconico di Ian Curtis. Sul palco si genera un certo magnetismo intorno a lei. Indossa un completo di gessato grigio, dalle forme oversize che ne accentuano i movimenti snodati, come quelli di un burattino, ma precisi, teatrali, volutamente chirurgici. La sua voce è potente e profonda, cupa, avvolge e ti cattura. Si esprime con intensità tanto nei momenti sussurrati quanto nelle esplosioni emotive che caratterizzano brani come ‘Balm’.

La band, composta da Kobe Lijnen (chitarra), Bert Vliegen (basso), Tuur Vandeborne (batteria) e Sander Pelsmaekers (tastiere) entra nella penombra. Il set attraversa l’intera discografia della band, da “Surface” a “Satan Tango”, passando per l’intensa “Poor Girl”. Il basso incisivo di Bert Vliegen guida la formazione attraverso strutture sonore a tratti sperimentali, dove anche le tastiere trovano il loro spazio. Impossibile resistere al ritmo di “Alone”, estratto dal loro primo capolavoro “Image”, che fa muovere le anime anche dei più restii.
“The Great Calm” rappresenta una svolta nella loro estetica: pur mantenendo l’oscurità caratteristica, la band ha introdotto spiragli di luce in quell’universo cupo.
Quando i Whispering Sons salutano sulle note di ‘Heat’, rimane nel pubblico quella sensazione di dolce incompiutezza – il desiderio di prolungare ancora l’immersione in quell’atmosfera onirica che ormai ci ha completamente avvolti.
Una band che conferma come la presenza scenica sia un’attitudine innata. E lo fa anche in una serata non da tutto esaurito, offrendo un’esperienza live capace di ammaliare completamente chi ha avuto il privilegio di assistervi.