Thirty Seconds to Mars, il fuoco sotto pelle
Un’estate da ricordare per Gorizia, Capitale Europea della Cultura 2025, che nella cornice della rassegna GO!2025 continua a portare sul proprio palco nomi internazionali.
Dopo i Massive Attack, il 3 luglio è toccato ai Thirty Seconds to Mars: Jared Leto, Shannon Leto e Stevie Aiello hanno fatto vibrare l’Arena Casa Rossa in una delle serate più attese di tutto l’anno.
di Andrea Agati 4 Luglio 2025

Gorizia, 03 Luglio 2025
C’è qualcosa che accade solo nei concerti che non ti aspetti. O meglio: ti aspetti l’urlo, il pogo, le mani al cielo – poi arriva quel dettaglio che ti scava dentro. Quel momento in cui la musica si trasforma in carne, sudore, verità. E i Thirty Seconds to Mars lo hanno fatto. Lo hanno fatto eccome.
Il pubblico è arrivato a Gorizia da ogni angolo del Nord Italia e persino oltre confine, si è radunato con quell’attesa tipica di chi freme per vedere i propri idoli. Zaini, bandiere, facce dipinte: una generazione cresciuta tra A Beautiful Lie e This Is War, pronta a vedere Jared Leto da vicino e a sentirsi parte di un’onda.
Il live non ha tradito le aspettative. Anzi, le ha prese a calci.
I Thirty Seconds to Mars sono esplosi sul palco con tutta la furia che solo una band capace di miscelare show, elettronica e potenza vocale può sprigionare. Jared Leto, carismatico come un predicatore rock in una cattedrale di led e bassi, si è preso la scena da subito. Non ha chiesto il permesso, ha semplicemente preso. Lo sguardo, la voce, i movimenti: tutto gridava seguitemi.
Ed il pubblico non se lo è fatto dire due volte. Mille voci, mille cuori, mille braccia in aria: zero pose da influencer, solo musica e presenza scenica. Quella vera. Poi, il colpo di scena.
A metà concerto Jared è rimasto solo: le luci si sono abbassate, l’energia si è raccolta. Nessun effetto speciale, niente fuochi. Solo lui, una chitarra classica e il silenzio rumoroso della platea.
Un momento intimo, quasi fragile, in cui il frontman dei Thirty Seconds to Mars ha aperto una finestra sul lato più umano del suo universo. Ha parlato al pubblico, ascoltato le richieste, sorriso ai nomi gridati. Ha improvvisato strofe. E tra quelle, una carezza dal passato: Capricorn (A Brand New Name), dal primo disco. Quel brano che sa ancora di garage e sogni acerbi, suonato con la voce un po’ rotta ma l’intenzione perfetta.
Certo, in quel momento il ritmo si è abbassato. C’è stato chi ha tirato un sospiro, chi si è seduto a terra, chi ha colto l’attimo per respirare. Ma è stato necessario.
Una pausa per ricordarci che dietro le urla e gli effetti speciali ci sono ancora persone: dita sulle corde, piedi scalzi sul palco.
E poi di nuovo l’impatto. La band è tornata al completo e da lì in poi è stata una risalita vertiginosa. Le luci sono esplose come un temporale in piena estate, il suono è diventato un’onda che ha travolto tutto. I brani si sono susseguiti con ritmo serrato: Kings and Queens, Up in the Air, Stuck.
Il pubblico, stremato ma affamato, ha risposto con un’energia inesauribile. Jared ha fatto salire sul palco alcuni fan, li ha fatti sentire parte dello show. E lì, nel caos lucido di una serata che non voleva finire, i Thirty Seconds to Mars hanno scritto un altro capitolo della loro storia live.
Non è stato un concerto perfetto. E per fortuna. E non è stato solo rock bensì qualcosa di più vicino all’arte di perdersi e ritrovarsi in 90 minuti, urlando un ritornello all’unisono con perfetti sconosciuti. I Thirty Seconds to Mars quando arrivano lo fanno come un temporale estivo: improvviso, totale, liberatorio. E tu, se sei stato lì, adesso lo sai.