The Winstons live a Milano: un viaggio sensoriale che profuma di progressive e jazz rock

La capienza del Biko è quella delle grandi occasioni e la sensazione a pelle è che ci sia molto fermento, curiosità ed attesa per questo incredibile album omonimo dei The Winstons (Roberto Dell’Era, Enrico Gabrielli, Lino Gitto) che profuma di progressive e jazz rock.

Apre il concerto del 14 gennaio a Milano Milo Scaglioni, da anni bassista di Dell’Era. Prevista in primavera l’uscita del suo primo album, presenta i brani voce e chitarra – eccetto per ‘October‘ (accompagnato da Enro Winston) e per ‘The First The Second and the Last (accompagnato da tutti e tre).
Dopo di lui arriva il momento dei The Winstons, che salgono sul palco incarnando anche nel look uno stile Sixties.
Si parte alla grande con ‘Nicotine Freak‘, primo singolo estratto e brano che apre l’album: Gitto alla batteria, Gabrielli  alle tastiere e al basso Dell’Era.
L’ordine di esecuzione dei brani segue quello del disco riservando comunque alcune sorprese e numerosi scambi di ruolo tra i musicisti.
Diprotodon‘, episodio musicale che aspettavo con grande curiosità dal vivo, vede Gitto e Gabrielli impegnati anche con la lingua giapponese.

Il pubblico è stipato e si gode da subito questo live dal respiro internazionale.
Play with the Rebels‘, cantata da Dell’Era, ci restituisce una magia come ponte tra gli anni ‘60 e i 2000, e lo fa in maniera netta, in una transizione spazio-temporale dov’è facile sentirsi calati in un club fumoso d’oltremanica.
I The Winstons sono in 3 e sembrano in 10 per la quantità di evocazioni sonore che producono.
L’intro di ‘…On a Dark Cloud‘ è affidato al violino di Rodrigo D’Erasmo, guest della serata: i ragazzi sembrano divertirsi, Roberto gioca coi piatti della batteria, Gitto si diletta in interessanti vocalità.
Proprio Lino Gitto ho avuto occasione di vederlo molte volte nelle serate milanesi, muoversi in scioltezza nei diversi ruoli musicali: è una bella sorpresa scoprirlo anche con una bella voce, le note sanno di Gong, Robert Wyatt.

Questa è una serata paradosso, nel tempo e fuori dal tempo: è necessario chiudere gli occhi, staccare la mente per scoprire di aver bisogno anche di questi suoni.
I tempi dei brani sono dilatati, istanti che diventano estensione; la musica è ipnotica come nella miglior tradizione della psichedelia: abbandono e felice smarrimento.
She’s My Face‘ ha rimandi a cori beatlesiani che s’innescano nel prog, musica che scorre libera e che prende sentieri sconosciuti ed improvvisati per poi ricondursi alla melodia di base.
Spesso quando vado ai concerti sono parimenti incantata da ciò che accade sul palco e tra la gente: stasera le acclamazioni sono veramente potenti così come le manifestazioni di stupore genuino. Gabrielli si rivolge al pubblico «Siete troppi, pensavamo di trovare gente come ad una festa di compleanno».
Prosegue l’accompagnamento onirico con ‘A Reason for Goodbye‘, e di nuovo è Gitto a sorprendere con quel suo destreggiarsi tra voce e batteria mentre il sax di Gabrielli regala grandi contaminazioni Jazz.
Che ci sia un estro fuori dal comune nei The Winstons è nelle evidenze: Gabrielli sembra un po’ scherzarci, portandosi alla batteria per quello che lui stesso dichiara essere il «momento della pubblica umiliazione».
È così che parte ‘Dancing in the Park With a Gun‘, un momento un po’ più pop, con tastiere che rimandano ai Doors.
Torna il violino di D’Erasmo sul palco per ‘I Know What I Like‘ dei Genesis, reinterpretata in una versione di grande rispetto che ha segnato un altro momento di respiro internazionale.

«Arriva il momento difficile», annuncia Gabrielli, e si tratta di ‘Number Number‘, altro pezzo cantato in giapponese; è singolare come i diversi tipi si suono facciano muovere il corpo in maniera differente: qui c’è l’abbandono, l’essere trasognato, oscillante.
I The Winstons stasera danno un grande senso all’essere accompagnatori musicali (nel senso più rispettoso della definizione), guidando nelle profondità sondabili gli ascoltatori durante tutta la durata dei brani: più si va avanti più si concretizza il pensiero che il loro non è un concerto da cantare ma da ascoltare.
La chiusura arriva con ‘Tarmac‘, incantevole: un sottofondo vocale da ninna nanna psichedelica accompagna tutto il pezzo ed è Dell’Era stavolta che canta.
Salutano il pubblico, si assentano per poco per poi tornare sul palco con ‘Viaggio nel Suono a Tre Dimensioni‘: dopo l’ascolto della parte vocale registrata si snodano trame sonore dal ritmo vorticoso con esplosioni da gran finale.
E come se non fossimo già paghi di tanta experience, arriva un omaggio gigante: ‘Changes di David Bowie, con Milo Scaglioni ai cori e di nuovo D’Erasmo al violino. Dopo tanto silenzio in estasi per il concerto, il pubblico esplode in un boato di cori.

Credo che uno concerto simile meriterebbe spazio anche nei teatri: progressive rock inglese sì, ma con qualcosa di attuale e coinvolgente.
Quella dei The Winstons è musica apparentemente per gusti di nicchia, ma la risposta del pubblico stretto intorno al palco e alla band, pronto a perdersi dentro lo spettacolo, smentisce questa credenza.
L’ecletticità dei musicisti ha fatto “perdere nei sensi” i presenti, per cui con il “The Winston Tour” la parola d’ordine è solo una: esserci.

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