The Morlocks live a Brescia: la leggenda (metropolitana) del garage

Se è vero che i gatti hanno sette vite, Leighton Koizumi è senza dubbio un gatto dalle fattezze umane. In occasione della data dei The Morlocks il 6 dicembre alla Latteria Molloy di Brescia, possiamo raccogliere le prove di questa resurrezione e trarne ciascuno le proprie conclusioni.
Nati a San Diego nel 1984, svaniti nel nulla pochi anni dopo, alcuni album pubblicati in contumacia, un frontman sparito dalla circolazione per più di dieci anni e dato semi-ufficialmente per morto salvo poi riapparire sulle scene, in realtà dopo anni di galera, dando nuova linfa vitale al gruppo tra i mille progetti alternativi.

La storia dei The Morlocks è una commistione di leggenda metropolitana e garage rock, da cui non può che scaturire uno show travolgente e assurdo. Per non allontanarci molto dal mood, in apertura troviamo i bresciani Seddy Mellory, che per l’occasione portano sul palco alcuni pezzi in anteprima dal nuovo disco, che pare caratterizzato da un suono fragoroso come sempre ma al tempo stesso diritto e pulito.

Giunge poi il momento dei The Morlocks, e l’apparizione sul palco di Leighton Koizumi è tutta un programma. Camminando nella penombra, la fisicità un po’ provata di chi ne ha passate veramente di tutti i colori, sebbene la reattività non ne risenta, capelli lunghi con un ciuffo che copre totalmente la metà destra del viso, microfono e tamburello per lui mentre il resto del gruppo è votato sin da subito a fare casino.

Quante sfumature può avere il garage rock? Più delle cinquanta del grigio, probabilmente, l’unico limite che ci si deve porre è quello temporale dell’ora e mezza di show. The Morlocks attingono dunque dal passato più remoto e da quello più recente, lo show di Leighton Koizumi è fatto anche di una forte interazione col pubblico e l’introduzione quasi di ogni brano è occasione per una piccola gag, che sia uno shot di grappa in omaggio alle tradizioni locali o un richiamo ai 50’s «when you’re mom and daddy were still fuckin’».
La voce si fa potente e corposa quando la linea musicale è scarna, mentre sa mettersi in disparte quando la batteria e la chitarra vengono alla ribalta o quando c’è una seconda voce importante, come per ‘Teenage head‘ e Leighton Koizumi si può concedere anche il lusso di giocare con l’armonica. Il tempo è comunque un concetto alquanto relativo, alcuni pezzi sono in balia di un saliscendi apparentemente scoordinato, altri come ‘My friend the bird‘ con dedica a tutti i broken hearts presenti in sala racchiudono due diversi sviluppi, uno più blues rock e un riff più incisivo.

Le influenze che i The Morlocks raccolgono e rielaborano sono infinite, dal punk-core al rock ‘n’ roll più classico, dalle ballate acide al glam rock, con alcuni passaggi di altissima portata come ‘Dirty red‘ che hanno in sovraimpressione semplicemente la scritta GARAGE. (leggasi “garage, punto“).
C’è spazio in chiusura per un altro paio di brani tirati e urlati e per un riff ipnotico e ripetuto su cui Leighton Koizumi ci porge i saluti finali. E l’impressione è quella che il ragazzo si sia contenuto, in fondo ha solo rotto inavvertitamente e quasi goffamente l’asta di un microfono, detto un po’ di parolacce e si è adoperato in movenze feline.
Per uno che hanno dato per morto e poi invece è risorto cosa volete che sia?

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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