Oca Nera Rock

Concerti, news, musica, interviste, foto, live reports

The Jesus Lizard: perchè vederli almeno una volta nella vita

Giulio Marino
di Giulio Marino
2 Giugno 2025
The Jesus Lizard

Tornano a Roma dopo 15 anni in una serata difficile da dimenticare

La catarsi dei The Jesus Lizard a colpi di hardcore e noise-rock

Roma, 1 Giugno 2025 | Ph. © Giulio Paravani

«Domenica ci vorrà l’armatura»

Il primo messaggio ricevuto lunedì mattina apre la settimana che condurrà al concerto dei The Jesus Lizard. Giulio sarà nel pit a fotografarli (spoiler: sarà una serata movimentata per lui), è la sua didascalia è a commento di un’immagine che non lascia presagire una tranquilla serata. La foto è scattata dalle primissime file durante uno degli ultimi concerti. Il frontman David Yow è lanciato in uno stage diving a pancia in giù su un’orgia di mani, teste, corpi sudati. Il primo piano del volto di uno spettatore si divide con il cantante la ribalta della scena: ne vedremo delle belle.

«Se il sound del punk-rock era il sound di un campo di battaglia, il sound dei Jesus Lizard e il sound dei feriti che agonizzano nel freddo della notte.»

Piero Scaruffi fa accapigliare sui social professionisti del settore musicale come nessun altro. Ma raramente ho trovato una descrizione del sound di una band così efficace e incisiva nel cogliere l’essenza di una band. The Jesus Lizard slatentizzarono le psicosi che dimoravano, in silenzio e in segreto, nell’inconscio dell’essere umano che aveva attraversato i “meravigliosi e luccicanti” anni Ottanta.  The Jesus Lizard, urticanti, corrosivi, implodenti e portatori di un suono forte dell’arma più potente: la verità.

“The Jesus Lizard sono la band più importante di tutti gli anni Novanta”

Così parlò Steve Albini. La loro parabola artistica è intrecciata con quella del produttore pietra miliare della scena alternative mondiale di quegli anni; colui che modellò il suono di capolavori di Nirvana, Pixies, Pj Harvey. Lo stesso Albini che sul concetto di “verità” e della sua personale traduzione in suono e musica, costruì il marchio di qualità del suo lavoro e che li abbandonò quando firmarono per la Capitol: una major.

The Jesus Lizard
The Jesus Lizard nel 1992

Come alcune delle band di quel periodo, oggi, negli anni Venti del secondo millennio, The Jesus Lizard decidono di riprendere il discorso interrotto. Dopo un primo scioglimento e una reunion interlocutoria, tornano con “Rack”, nuova uscita in studio, a distanza di ventisei anni dal precedente “Blue”. E vanno in tour, tre date italiane, Bologna, Milano, Roma, in un nevrotico su e giù lungo lo stivale. In che condizioni saranno? Sarà un malinconico concerto per dinosauri? Hanno ancora non dico un futuro, ma almeno un presente? C’è solo un modo per rispondere. Il tempo di prendere una solida corazza e sono al Monk.

«Era il 21 Settembre 2009 e noi al Circolo degli Artisti c’eravamo. Da lì non ce ne siamo mai veramente andati.»

Aprire per la band che ti ha ispirato e guidato nel tuo fare musica è il privilegio che stasera tocca ai Beesus. Band romana che un tempo fu, ma che per l’occasione si ritrova nella primissima formazione, per omaggiare e consacrarsi a David Yow & friends. Tra invocazioni a Vanna Marchi ed altre di diversa natura (è opportuno ometterle), si lanciano in trenta minuti di devastazione sonora. Il volume annichilisce, nonostante io sia appostato sul lato del palco e non sono direttamente investito dall’onda d’urto sonora. Batteria, basso, chitarra e voce; niente elettronica, niente computer, niente sequenze. Esulto

Un muro di violenza sonica senza alcuna apertura che possa consentirti una fuga.  I loro suoni non hanno molto in comune con il mio retroterra di ascolti, quantomeno attuale. Ma non importa. Sono felici di stare sul palco, si divertono e non si risparmiano. In un mondo di nuove generazioni di artist, preoccupati più del numero dei followers che di quello che realmente suonano, riportano tutto alla giusta dimensione.

The Jesus Lizard: perchè vederli almeno una volta nella vita » Reports
Beesus

Torneranno a suonare? Non lo so e non importa. Hanno dato tutto quello che avevano. È la cosa che su un palco conta più di ogni altra. Touis, il vocalist, si accascia sulla passerella tra palco e il pit dei fotografi, dando il cinque al pubblico che ha conquistato la transenna. Uscendo dal palco lo dà anche a me che sono di lato. Per un attimo incrociamo lo sguardo. Sorride sotto il cappuccio della felpa che gli copre parte del volto. A volte più la musica è violenta, meno fanno paura i volti. I mostri guardati da molto vicino smettono di essere tali.

Ma non serve guardare da vicino per capire la ricetta segreta di David Yow. Prendere una parte di Henry Charles Bukowsky e una parte di Mike Ehrmantraut. Mettere nello shaker e agitare bene. Barcollante, birra in mano, camicia stropicciata fuori dai pantaloni. Il contrasto con Duane Denison, David Wm. Sims e Mac McNeilly, impeccabili, sobri e concentratissimi, i primi due in particolare, è accattivante e magnetico.

The Jesus Lizard
The Jesus Lizard

Nulla al confronto con quello che accade un secondo dopo. McNeilly batte quattro alla batteria, mentre abbasso lo sguardo sullo smartphone per appuntarmi una sensazione. Due secondi dopo lo rialzo, ma non vedo più Yow. Davanti a me solo una selva di gente accalcata e mani alzate che impugnano macchine fotografiche. Con il primo colpo di cassa, la voce dei The Jesus Lizard si è lanciata nel primo stage diving della serata. Si scatena una discreta iradiddio, volano sputi e bevande alcoliche lanciate alla cieca. L’aroma delle gocce che mi centrano non mente. Riguardo alle tracce salivari, ne conterò diverse decine a pavimentare il palco

Ero rassegnato alla morte della funzione liberatoria del rock and roll. The Jesus Lizard mi stanno facendo ricredere. Altroché psicosi che escono dallo stato latente; quello che vedo davanti a me è il DSM IV nella sua interezza. Guardi David Yow e pensi che, prima o poi, stramazzerà a terra, lancerà l’asta del microfono sul pubblico, vomiterà sul palco. Ma non accade nulla di questo. A vomitare sarà solo la sua voce, mentre continua a darsi in pasto al pubblico, accarezzando braccia protese e volti; o quando si abbandona sul palco in modo sinuoso e delicato con le movenze di una ballerina; o ringraziando tra un pezzo e l’altro con la dolcezza che non ti aspetti. O soprattutto, quando chiede al pubblico di ripetere con lui a gran voce «Fuck Trump» prima di ‘What if’

«È una vivace canzoncina su una strega che non sa comportarsi bene, e ha quasi tanti agganci quanto un combattimento di Mike Tyson» [David Yow]

‘Hide and Seek’ è il singolo estratto dal loro ultimo lavoro. Yow ha doti profetiche? Chissà. Durante l’esecuzione del pezzo, la strega assume sembianze umane. Il vocalist si getta nuovamente tra il pubblico, le prime file lo sostengono. Nel centro della sala si stanno ammazzando a colpi di pogo. Mentre la sicurezza ha occhi su quanto accade, dalla parte opposta della sala una bizzarra figura che sembra uscita da un esorcismo, elude i controlli e, come da fotogallery in calce al report, sale sul palco.

Mi scorre davanti agli occhi il film del concerto dei Jane’s Addiction, nel marzo del 1991. Sims, Denison e Mcneilly non fanno una piega, Yow, che se lo trova improvvisamente davanti ritornando sul palco, appare perplesso, il piccolo diavolo non accenna a scendere. La security interviene prima con le buone; il tentativo sembra avere successo. Ma il tipo non demorde, si agita, prova a risalire e stavolta l’addetto non la prende benissimo. Non so, stante la sua lucidità psicofisica, quanto questo spiritello ricorderà della serata. 

The Jesus Lizard

E poi c’è la musica. Quella dei migliori The Jesus Lizard: implacabile, indemoniata. Duane Denison, David Wm. Sims e Mac McNeilly instancabili. Un’ora e mezza di groove tarantolati, tirati allo spasimo. Attaccano i pezzi e suonano senza che abbiano bisogno di guardarsi, sanno dove si trovano e che nessuno tradirà gli altri. Il feeling e le impalcature ritmiche costruite dai The Jesus Lizard stupiscono. Parti di chitarra ricercate, assoli fuori tonalità, rumoristici e schizofrenici; groove di basso martellanti, ossessivi, implacabili; batteria impazzita, in altalena tra tribalità e scarna essenzialità, bellissima da vedere.

Arrivano i classici da “Goat” e con essi l’omaggio a Steve Albini al quale dedicano ‘Mouth Breather’. Capisco cosa intendesse dire il produttore californiano quando li insignì della palma di band più influente degli anni Novanta. ‘My Own Urine’ è uno spoken word recitato nel pieno di una crisi da sindrome bipolare. Ascolti ‘7vs8’ e comprendi chi devono ringraziare per l’ispirazione i Rage Against The Machine; e non solo loro.

Piacciano o meno, The Jesus Lizard aprono le porte al regno del rimosso, di fantasie senza censura. La loro musica assume i riflessi di una sublimazione della pulsione di morte. Abbatte il velo dell’ipocrisia perbenista per rivelare il marcio, l’oscuro che la menzogna benpensante cerca di nascondere a sé stessa. Musica archetipica: il caos del Distruttore che abbatte i falsi miti, le convenzioni incrostate e subite passivamente; l’iconoclastia, il gioco, lo sperimentare oltre i limiti accettati del Folle, che gode della pienezza e della gioia della vita, senza vincoli e catene di alcun tipo.


Per molti, gli anni Novanta sono stati l’ultimo colpo di coda del rock, prima della sua morte. The Jesus Lizard stasera ne sono stati la (definitiva?) celebrazione, nel ricordo di chi c’era (stasera “i reduci” erano parecchi) e nell’immaginazione di chi avrebbe voluto esserci, inaspettatamente in cospicuo numero.
Io torno a casa con la maglietta che puzza di whisky torbato. Non succedeva da tempo.