The Jesus Lizard, la seconda giovinezza di David Yow e compagni

di Max Murgia 3 Giugno 2025

Venticinque anni anni dopo “Blue”, un nuovo album e un tour mondiale per gli alfieri del noise rock
Invecchiati nel corpo ma non nello spirito, i Jesus Lizard infiammano il palco del Magnolia
Milano, 03 Giugno 2025
In un ipotetico libro dedicato all’evoluzione del rock, un capitolo andrebbe dedicato a quel manipolo di magnifici perdenti che, pur avendo de facto inventato nuove sonorità, nuovi generi ed influenzato intere generazioni di musicisti, non ha mai potuto assaporare quel successo e quella popolarità che poi è toccata a chi di quelle sonorità se ne è impossessato.
Chissà cosa deve essere passato per la testa di un Buzz Osborne, che usava sedere accanto ad un giovane Kurt Cobain sotto il ponte che scavalca le rive fangose del Wishkah River nei sobborghi di Aberdeen WA, quando “Nevermind” fece il botto. Pensiamo a band seminali ed innovative come i Masters Of Reality di Chris Goss oppure i King’s X di dUg Pinnick: osannati dagli addetti ai lavori ma non compresi dal grande pubblico. Quel grande pubblico che ti permetterebbe di vivere della tua musica senza preoccupazioni, e che invece ti costringe a sbarcare il lunario facendo affidamento su lunghi ed estenuanti tour. E sulla previdenza sociale (chiedete al buon dUg…), perché – alla fine della fiera – di sola gloria non vivi.
In quel manipolo di magnifici perdenti un posto spetta di diritto ai Jesus Lizard, una band nata dalle ceneri degli Scratch Acid, la seminale band di Austin in cui militavano il tanto folle quanto carismatico front-man David Yow ed il bassista David Wm Sims.
Insieme ai Fugazi e agli Slint, i Jesus Lizard hanno definito i parametri del noise rock e del post-hardcore, influenzando le generazioni a venire con una manciata di dischi indipendenti, pubblicati dalla mitica Touch And Go e prodotti dal compianto Steve Albini, che li considerava «la miglior band degli anni ’90, erano immensi ed hanno cambiato la musica in meglio».

Per dirla tutta, ci hanno provato i Jesus Lizard ad uscire dall’underground, firmando un contratto con la Capitol Records che poi si rivelò disastroso per il futuro della band, decretandone il prematuro scioglimento nel 1999. Perché quando nasci underground, vivi underground e respiri underground, o sei i Nirvana o nell’underground ci resti. E, probabilmente, ci muori. Lo stesso Albini criticò questa scelta, che li avrebbe portati ad essere «a third-string act for a big corporation that didn’t give a shit about them or their audience».
Da allora, a parte qualche sporadico reunion tour, la band è rimasta silente. David Yow si diede al cinema, mentre il chitarrista Duane Denison si unì a Mike Patton, Trevor Dunn dei Mr. Bungle e John Stanier degli Helmet per formare i Tomahawk. Poi, finalmente l’annuncio: a distanza di 26 anni dall’uscita di “Blue”, i Jesus Lizard tornano sul mercato discografico con un nuovo album, dal canonico titolo a quattro lettere, come da tradizione.
Il 13 settembre 1994, la Ipecac di Mike Patton rilascia “Rack”, un disco secco, diretto e consistente che in 36 minuti scarsi riporta tra noi una band, tra l’altro in formazione originale, che si rivela ancora oggi rilevante ed ancora incazzata come allora, a dispetto dell’età non certo più verde dei suoi componenti.
Non siamo ai livelli di “Goat” e “Liar”, e un po’ la mancanza della produzione di Albini si sente, ma quanto a qualità dei contenuti non facciamo troppa fatica nel posizionarlo subito al di sotto dei due illustri predecessori. Inutile dire quanto la prospettiva di un tour a supporto del nuovo album abbia reso felici i fan dei Lizard, soprattutto all’annuncio di ben tre date italiane, tra cui quella odierna presso il Circolo Magnolia di Milano, ottima occasione per chiudere in bellezza la Festa della Repubblica.
Siamo a giugno, e quindi il Magnolia si presenta nella sua veste estiva, in formato open-air. La serata non è particolarmente calda e anzi minacci qualch goccia di pioggia, come in effetti avremo modo di constatare a metà concerto. Niente di che, se non altro ci ha risparmiato il consueto assalto delle zanzare assassine che popolano questo angolo verde in riva alla città.
Come si diceva, i Lizard non attirano migliaia di persone, da qui la scelta di farli suonare sul più piccolo dei due palchi del Magnolia, davanti a poche centinaia di fan. Un pubblico magari non numerosissimo, ma sicuramente ben disposto a farsi spettinare da Yow e compagni per la prossima ora e mezza.
Con discreta puntualità Duane Denison, David Wm Sims e Mac McNeilly raggiungono il palco, subito seguiti da Yow, che ci resta per meno di dieci secondi: posa la birra, dedica il primo pezzo a Steve Albini e poi subito via, in volo a planare sulle prime file mentre la band attacca uno dei pezzi più noti ed attesi della serata, ‘Mouth Breather’, il primo dei cinque estratti da ‘Goat’ che avremo modo di ascoltare questa sera. Yow pare aver dimenticato che tra un paio di mesi compirà 65 anni, avventurandosi più volte in crowdsurfing sulla folla, o in piedi a bordo palco, protratto verso il pubblico adorante.
Sputa come un cammello, tanto da temere che prima o poi scivoli sulla pozzetta di saliva che deve aver lasciato accanto alla postazione del microfono. Constato che il buon Yow, a dispetto dell’aspetto fisico che denuncia ognuno dei suoi quasi 65 anni, non pare aver perso un’oncia di quella rabbia punk che ne ha sempre contraddistinto le performance, troviamo invece un po’ statici gli altri tre. I capelli oramai argentei e l’abbigliamento sobrio donano loro un aspetto vagamente impiegatizio, un po’ come fossero tre colleghi che si ritrovano alla sera in sala prove, salvo poi mettere mano agli strumenti e spettinarci come solo loro sanno fare. Sims e Mc Neilly sono una macchina da groove pazzesca, con Sims che pesta come un fabbro seguendo il basso pulsante di Sims.

Tra i due si intrufola la chitarra precisa ed affilata come un rasoio di Denison, e ciò che ne viene fuori è una sorta di uragano sonoro di rara potenza dove però ogni strumento risulta perfettamente discernibile, ci stupiamo infatti di come cotanta potenza non vada a discapito della pulizia dei suoni. Il concerto si sviluppa con un main-set da una quindicina di pezzi, seguiti da due corposi encore che portano la scaletta a quota 23. A farla da padrone è per ovvi motivi il materiale del nuovo album ‘Rack’, che viene questa sera presentato – pur diluito tra i brani del passato – quasi per intero, con due soli pezzi mancanti all’appello. Brani come ‘Hide And Seek’, la punkeggiante ‘Dunning Kruger’ e il blues acido di ‘Armistice Day’ non solo non sfigurano accanto alla produzione passata, ma si integrano e la complementano alla perfezione.
C’è anche parecchio ‘Goat’ in questo concerto, che comunque propone canzoni da tutta la discografia della band con l’unica eccezione di ‘Blue’, di cui francamente non si è sentita particolarmente la mancanza. Pur non numerosissimo, il pubblico dei Lizard non si è certo risparmiato. La partecipazione è stata piuttosto fisica, con qualche accenno di pogo sui pezzi più vibranti. Qualche temerario ha anche deciso di imitare il buon David e di surfeggiare sulla folla, sotto lo sguardo divertito dello stesso front-man. Anche per lui l’età non è un fattore secondario, ecco quindi comparire sul palco una sedia, essenziale per consentire al buon David, per quanto possibile, di recuperare almeno in parte le energie tra un brano e l’altro, salvo poi ri-lanciarsi tra la folla.
A chiudere definitivamente quello che riteniamo essere stato uno dei concerti più crudi e coinvolgenti degli ultimi mesi, una micidiale ‘Blockbuster’ con quel ‘Do ya, motherfucker!’ reiterato all’infinito, con tutta l’audience a scandirlo insieme alla band. Lasciamo dunque il Magnolia nella consapevolezza di aver ritrovato una band che pensavamo di aver perso definitivamente. Venticinque anni, praticamente un quarto di secolo, è un lasso di tempo che cambierebbe chiunque.
Anche i Lizard sono cambiati, per lo meno fisicamente. Il tempo avrà anche lasciato il segno sul corpo ma non ha avuto alcun effetto sullo spirito, e quell’attitudine, quella rabbia nichilista e quello spirito provocatorio che è sempre stato il substrato su cui si muoveva la creatività della band è ancora lì, integro ed intonso. Il principio di una seconda giovinezza? Noi speriamo ardentemente di sì.