The Brian Jonestown Massacre, vibrazioni indolenti

Un sold-out preannunciato con qualche giorno di anticipo, quello per la data del 27 settembre dei The Brian Jonestown Massacre in Santeria Social Club a Milano.
La band di San Francisco, da tre decenni sulle scene e con all’attivo un numero sterminato di dischi, si sintetizza intorno alla figura di Anton Newcombe, personaggio dal passato e dal presente tanto turbolento ma dall’indubbia genialità artistica e con un carisma assolutamente particolare.
Un album pubblicato nel 2018, “Something else”, per The Brian Jonestown Massacre, un altro disco preannunciato per i prossimi mesi ma è assolutamente impossibile prevedere cosa ci si possa aspettare da questo live.

Sono le tinte fosche di casa nostra ad aprire la serata, i New Candys arrivano a Venezia, la loro cupa potenza è a noi già nota, e anche in questa occasione sono all’altezza delle loro attitudini. Ritmo e riverbero, suoni scuri e sostenuti con un gran picchiare di basso e batteria, distorsioni leggere e atmosfere nebbiose, con grande sovrapposizione degli strumenti in alcuni refrain, che li fanno suonare in maniera voluminosa.

New Candys

I The Brian Jonestown Massacre si riservano un’entrata molto teatrale, con un passo lento e un’incedere pomposo, tutti e sei gli elementi sul palco mascherati dietro i loro occhiali da sole, e lentamente decidono di iniziare, con un tempo scandito dal loro peculiare tamburello. La voce di Anton Newcombe è riconoscibilissima e piuttosto pulita, pur con il leggero riverbero degli effetti, i giri di chitarra sono anch’essi facilmente inquadrabili e rientrano nei classici canoni della band. Non traspaiono grosse rivisitazioni o artificiosità del suono, la struttura è lineare e soggetta a poche mutazioni, come lo è l’impostazione sul palco, un atteggiamento che sa essere indolente e piacione al tempo stesso.

Tengono il loro passo come fossero corridori in gruppo, i The Brian Jonestown Massacre, e da lì non si spostano, tuttalpiù arricchiscono e ne dilatano la percezione ricorrendo al riverbero. Il suono si fa mano a mano più pieno, la voce inizia a essere meno dritta e più trascinata, ma è ancora molto vaga la sensazione di stordimento da acidi. La pause e gli stacchi tra un pezzo e l’altro smorzano parecchio, a tratti la maniacalità per la preparazione e per il suono risulta un po’ indisponente e rende il susseguirsi degli eventi molto blando. Se non arrivano subito dritti al punto, i pezzi non decollano più e si annegano dentro suoni vaporosi.

THE BRIAN JONESTOWN MASSACRE-2

C’è una scienza e una cognizione, dietro il modo che hanno di stare sul palco The Brian Jonestown Massacre, che non lascia spazio alla casualità. Ogni plettrata, anche apparentemente svogliata, è calcolata, altre schitarrate sono invece secche e urtanti come colpi di fucile che arrivano di soprassalto. Il giro di boa, che ci porta verso una parte di concerto dai contorni meno definiti, arriva con una doppietta che stordisce: ‘Anemone‘ vibra ad altezza stomaco, usa frequenze che si avvertono nella pancia e il ticchettio di tamburello che batte nel cervello, ‘Wisdom‘ è acidissima, riverberata, acuta e pungente da rimanerci stonati e lacerati.

In alcuni frangenti i The Brian Jonestown Massacre offrono anche chitarre in alta definizione, che sul finale si spostano inesorabilmente verso il riverbero. Alcuni pezzi, più guidati e orecchiabili, danno quella sensazione di essere sempre in chiusura, come se fosse un perenne “outro” del brano. Con l’avvicinarsi della fine del set, l’evoluzione del suono tende alla diminuzione della fedeltà, con grandi derivazioni e massiccio uso della dissolvenza. La chiusura è una sorta di jam psichedelica con nove elementi sul palco, di grande concretezza e per niente dispersiva, fino all’uscita dal palco accompagnati dai feedback di chitarra che proseguono per i fatti loro. I The Brian Jonestown Massacre hanno messo in bella evidenza in un paio di ore tutti gli elementi che li hanno resi una band di culto, con un approccio assolutamente personale e che non scende a compromessi con quel che ci si dovrebbe aspettare.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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